N° 8 - Agosto-Settembre 2015
Spiritualità
  Appunti di un Pellegrino
di Gualtiero Sollazzi




            Amnesia

            Un sostantivo temuto, specie dagli anziani. Un sostantivo diventato uno pseudonimo: quello di una ragazzina che vi si nascondeva dietro, segnale di una solitudine senza speranza. Si firmava “Amnesia” su face book, territorio dove la solidarietà latita ed ha grande spazio, invece, l’insulto e il disprezzo. Quella giovane vi ha cercato una parola amica, un aiuto per andare avanti, ma ha solo ricevuto inviti a ‘levarsi di torno’ e farla finita. Purtroppo è andata così. Quell’esistenza si è chiusa col suicidio.
Si può forse parlare di dipendenze da internet, di fragilità legate a esperienze familiari o scolastiche: rimane il fatto di una vita troncata che interroga. Questa figlia non abitava nel deserto, anche se questo l’ha come ingoiata. Forse noi cristiani non abbiamo ancora occhi nuovi, freschi di Vangelo; forse dobbiamo rivestirci dei sentimenti del samaritano per poter essere “vicini alla gente, attenti a impararne la lingua, ad accostare ognuno con carità, affiancando le persone lungo le notti delle loro solitudini” (papa Francesco).
Recentemente è morto il cardinal Cé, pianto da tutta Venezia dove è stato amato patriarca. Un suo insegnamento può aiutarci: “L’annuncio dell’Amore di Dio apre i cuori e dà speranza. Non c’è niente di più bello che dare speranza ai fratelli!”.

 

 

Quegli occhiali

            Avevano una sola lente. L’altra mancava. Quella nonna non poteva permettersi niente, e leggeva con un solo occhio tappandosi l’altro. Possedeva un libro chissà come capitato: la Bibbia. Ogni giorno questa donna si sedeva su una vecchia cassapanca e si nutriva della Parola. Capendo quel che poteva, ma sicura che c’era di mezzo il Signore. Era il suo pane quotidiano che spezzava anche a un nipote, aprendogli scenari inimmaginati.
La nonna conosceva bene il dolore: due figli ‘volati in cielo’ come si diceva; di nove e di ventotto anni. La Bibbia non le avrà asciugato le lacrime, ma le ha insegnato a renderle sante. Molti sacerdoti, racconta il nipote, mi hanno aperto alla Parola; ma la prima maestra rimane lei, chinata su quella Bibbia, con la fatica di leggerla con un solo occhio, alla luce scarsa dell’abbaino. Una donna povera, ricca di Dio.
Emoziona Tonino Bello quando nota: “Forse è proprio per questo che il Maestro ha voluto riservare ai poveri, ai veri poveri, la prima beatitudine”.


  Essere presenti nel presente: facciamo o siamo?
di Stefania



 

            Madre Teresa diceva: “State attenti a non pregare per la preghiera…”. Penso che questa riflessione ci può aiutare non solo per domandarci se ‘facciamo o siamo cristiani’ quando preghiamo e anche se lo siamo nel nostro cammino quotidiano nell’arco della giornata: i nostri gesti, il nostro ruolo, il nostro comportamento, dal mattino quando riapriamo gli occhi, alla sera quando li richiudiamo per il riposo. Tra ‘farle ed esserci’ in tutte quelle azioni c’è un’enorme differenza; sono e saranno diverse non solo per noi, ma anche per tutte quelle persone con le quali entriamo in relazione nell’arco della giornata.
Ovviamente questo impegno e volontà devono essere reciproci, altrimenti come possiamo pensare di arrivare alla ‘vera armonia’ se ognuno non mette nel suo comportamento rispetto verso l’Altro e responsabilità nelle sue azioni (in famiglia, nella scuola, nel lavoro…). Certamente il rispetto, la responsabilità, la verità non le abbiamo applicate tutti e in tutti i ruoli, poiché altrimenti come potremo essere giunti in questo momento del mondo nel quale le ingiustizie sono così enormi!
Quindi ‘facciamo o siamo cristiani!’. Quando abbiamo detto il nostro ’Sì’, il giorno del nostro matrimonio con la persona con la quale abbiamo deciso di unirci e quindi di camminare assieme per tutta la vita; abbiamo deciso che con quel ‘Sì’, ora ‘faccio’ il marito, o ‘faccio’ la moglie; ma con quel ‘Sì’ davanti a Dio, ‘sono’ marito e ‘sono’ moglie e questo ‘essere’ e non ‘fare’ richiede un impegno maggiore, una volontà costante, un lavoro quotidiano di stabilità e reciproco rispetto. E tutto questo è possibile solo se mettiamo Dio al centro di questa unione. La solita cosa quando noi sposi che abbiamo formato la nostra famiglia diventiamo anche genitori. Non è sufficiente ‘fare’ il padre e la madre, dobbiamo avere la consapevolezza che ‘siamo’ padre e madre e di conseguenza mettere insieme le fondamenta per ‘essere’ e non ‘fare’ una famiglia, all’interno della quale, con l’aiuto di Dio, ci sia amore, armonia, rispetto.
Questa differenza tra ‘essere’ e ‘fare’, mi ripeto, dobbiamo radicarla in noi in tutti i ruoli che rivestiamo, come ad esempio: ‘essere’ studente e ‘fare’ lo studente; se lo ‘facciamo’ non nasce in noi quel senso di appartenenza e di responsabilità che abbiamo deciso di intraprendere, così come, sempre rimanendo nell’ambito della scuola, ‘sono’ insegnante o ‘faccio’ l’insegnante… Il ‘fare’ porta a creare rapporti superficiali, egoistici, a ‘fare i furbi’ e a mettere così in difficoltà coloro che si impegnano nel ‘essere’, creando ingiustizie varie; e le ingiustizie, come tutti sappiamo, provocano dolore e ferite nella nostra dignità di persone, portano smarrimento… Non portano l’armonia e la pace che vuole Dio.
Buon cammino di conversione quotidiano a ciascuno di noi e impegniamoci tutti in questo Anno Santo ormai alle porte a fare vero discernimento: tutto non possiamo fare, ma attraverso le nostre scelte del cuore e facendoci aiutare dagli strumenti che la Chiesa ci offre ogni giorno possiamo ‘essere’ delle vere persone cristiane.

 

                                                                                                         

  CONCILIO ECUMENICO DI COSTANTINOPOLI (Parte prima) I° (381 d.C.)
di Antonio Ratti


 

Il Concilio di Sardica, come si è letto nel numero scorso del Sentiero, mette in evidenza le forti divergenze teologiche sulla natura trinitaria e sulla collocazione di ciascuna persona all’interno del mistero trinitario, che nel Concilio di Nicea si pensava superate e chiarite.
Purtroppo, spesso le questioni teologiche rappresentano la maschera che nasconde altre realtà decisamente non nobili, quali l’ambizione di far prevalere le proprie tesi, il non voler ammettere i propri errori seppure compiuti, a volte, in buona fede, i personalismi più deleteri, le smanie di contare.
 Il vescovo Eusebio di Nicomedia è il protagonista esemplare per capire fin dove può arrivare l’ambizione e la voglia di potere (brutta abitudine ancora oggi molto di moda in maniera endemica e poliubiquitaria).
A Nicea nel 325 l’arianesimo è condannato come eresia, perché nega la divinità di Gesù, e a Sardica (343-4) è ribadita la condanna, ma Eusebio, con un abilissimo lavoro sotterraneo negli ambienti della corte imperiale, riesce a tessere un feeling  particolare con l’imperatore Costantino che si convince come l’arianesimo possa essere la posizione vincente, perché  più razionale, convincente e comprensibile al pensiero umano e tale da garantire la pace religiosa all’interno del tremolante Impero. Il momento più esaltante Eusebio lo vive quando Costantino, ormai prossimo alla fine, gli chiede di battezzarlo.
 Il successore Costanzo II, che attraverso una serie di guerre fratricide riesce a diventare l’unico padrone delll’Impero, ha in Eusebio il più fidato consigliere. Nel 338-9, inaugurata la nuova capitale, Costantinopoli, Eusebio ne diventa il primo vescovo e il suo potere cresce enormemente costringendo i difensori di Nicea ai margini e isolati come eretici.
La situazione peggiora con l’imperatore Valente, che prosegue la politica pro-ariana con maggior vigore, arrivando ad imporre vescovi ariani nelle sedi imperiali di Milano, Sirmio ( Sremesko Mitrovica, Serbia), Cesarea di Palestina, Alessandria e, ovviamente, Costantinopoli, entrando in aperto contrasto per l’ingerenza col papa Liborio e provocando una forte instabilità socio-religiosa, cioè, ottenendo il risultato opposto a quanto politicamente desiderato e necessario.
Nella battaglia di Adrianopoli l’imperatore Valente viene ucciso. Questo è il quadro politico-religioso che trova Teodosio I quando nel 379 sale sul trono imperiale. Il clima religioso subisce rapidamente una svolta (non è la prima volta nè sarà l’ultima, ma quasi una routine): Teodosio è fedele all’ortodossia nicena, quindi è normale la radicale mutazione della politica religiosa imperiale tutta a favore dei niceni. Il solo elemento che accomuna Teodosio ai suoi predecessori pro-ariani è la  forte esigenza di mantenere ai massimi livelli l’unità e la pace sociale all’interno per meglio difendere gli sterminati confini dell’Impero dalle frequenti incursioni di popolazioni caucasiche e asiatiche.
 Per conseguire i due obiettivi ( uno politico ed uno religioso) e per dare lustro e visibilità alla nuova capitale imperiale, promuove il primo Concilio ecumenico di Costantinopoli (maggio - luglio 381). E’ ritenuto il secondo Concilio ecumenico della Chiesa cristiana, che insieme ai Concili di Nicea (325), di Efeso (431) e di Calcedonia (451), risulta determinante al fine di definire la questione trinitaria e cristologica. L’ecumenicità del Concilio, a cui non prende parte nessun esponente della Chiesa d’Occidente, è confermata a Calcedonia e da  Gregorio Magno (papa dal 590 al 604) è definitivamente inserito nell’elenco dei 21. L’Assemblea conciliare si apre in prima seduta presso la Reggia imperiale alla presenza di Teodosio, mentre le altre sessioni si svolgono nella chiesa dell’Homonoia. Presiede il patriarca di Antiochia di Siria, Melezio e sono presenti 150 vescovi orientali, tra cui due famosi padri cappadoci, Gregorio di Nissa e Gregorio Nazianzeno. Papa Damaso non invia alcun delegato, forse temendo il ripetersi di quanto accaduto a Serdica. Tra i primissimi atti annotiamo la deposizione di Demofilo, ariano, e la nomina di Gregorio Nazianzeno a vescovo di Costantinopoli. Pochi giorni dopo l’inizio, Melezio muore e viene sostituito alla presidenza dal neo-vescovo della capitale. Gregorio, dopo reiterati tentativi, resosi consapevole di non riuscire a indirizzare le discussioni in modo consono e proficuo tra le opposte fazioni, rassegna le dimissioni. In alcuni scritti parla del clima assurdo e intollerante, là dove la mitezza e l’amore dovrebbero essere i cardini del dialogo. Al suo posto l’incarico è affidato a un non battezzato, il senatore Nettario, accettato e riconosciuto da tutti come persona equilibrata e imparziale. Non ci sono pervenuti gli atti conciliari, quindi non ci è dato sapere l’andamento dei lavori e delle votazioni, ma Gregorio Nazianzeno ci offre uno spaccato sufficientemente chiaro. Con non poca fatica l’assemblea conciliare il 9 luglio raggiunge finalmente la maggioranza adeguata per mettere ai voti i quattro Canoni ( leggi ecclesiastiche) che esprimono la sintesi dei lavori (mi sembra di essere in questi giorni nel nostro Parlamento, dove si cerca una maggioranza stabile e poco litigiosa) :

1)    Condanna dell’arianesimo e di altre due eresie, il macedonianismo(°) e l’apollinarismo(°).

2)    Delimitazioni precise delle province ecclesiastiche e proibizione ai titolari di ciascuna di interferire nella sfera di competenza delle altre.

3)    Costantinopoli è dichiarata la Nuova Roma, elevando il suo vescovo alla dignità di Patriarca( gli altri quattro sono i vescovi di Gerusalemme, Alessandria, Antiochia, Roma) e ponendolo al secondo posto nell’ordine gerarchico dopo Roma (ordine gerarchico contestato e non riconosciuto da Roma e Alessandria).

4)    Rende non valida la consacrazione di Massimo a vescovo-patriarca di Costantinopoli, avvenuta dopo le dimissioni di Gregorio Nazianzeno.    ( fine prima parte)

 

NOTE. (°)Macedonianismo. Macedonio, vescovo di Costantinopoli dal 342 al 360, quando fu deposto, sosteneva la divinità di Gesù, come definita a Nicea, ma non quella dello Spirito Santo. Negava l’homooùsious (consustanzialità) dello Spirito Santo con il Padre e il Figlio, subordinandolo al ruolo di emissario della volontà di Dio. Tale eresia è detta anche Pneumatòmachia, dal greco pnèuma, che vuol dire soffio, quindi lo Spirito Santo sarebbe solo il soffio attraverso il quale Dio manifesta la sua volontà alla creatura umana.

 

 Apollinarismo. Il vescovo di Laodicea, Apollinare il Giovane, persona molto stimata per la sua preparazione filosofica e teologica, ritenendo imperfetto, quindi difficile da sostenere razionalmente e teologicamente il canone di Nicea sulla coabitazione in perfetto equilibrio delle due nature in Cristo e volendo, al contempo, tutelare al massimo la componente divina in chiave anti ariana, riteneva più logico sostenere che il Figlio, diventando uomo, avesse “fuso” la sua natura divina (il Logos o Verbo) con la carne umana, originando un essere umano ibrido costituito da Logos e carne. Difatti afferma: “Il Figlio che è uno, non è due nature, ma una sola natura, quella del Verbo Dio, incarnata e adorata con la carne di lui, in un’unica adorazione .” Con questa tesi l’incarnazione del Verbo non è totale, ma parziale e ciò pone problemi sul reale valore della redenzione del genere umano posta in essere  dal sacrificio di Gesù. Questa posizione sarà ripresa dai monofisiti di Eutiche (sostenitori di una sola natura del Figlio), dove approderanno molti adepti di Apollinare. E’ proprio il caso dire: per eccesso di zelo nel combattere un errore ne ha combinato un altro peggiore. La disapprovazione al pensiero di Apollinare fu subito messa in atto da vari concili locali e anche papa Damaso (366 – 384), per la Chiesa occidentale, dà il suo pieno sostegno alla posizione del Concilio di Costantinopoli e condanna l’eresia di Apollinare.


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