N° 4 - Aprile 2018
CONCILIO DI TRENTO ( 1545 – 1563 ) ( XIX ecumenico )
di Antonio Ratti

                              

TERZO PERIODO ( 1562 – 1563 )   Giulio III, eletto papa l’8 febbraio 1550, riapre il Concilio ( 2° periodo: maggio 1551 – aprile 1552 ), ma non riesce a concluderlo per le ostilità tra i vari Stati europei che impediscono ai loro vescovi di partecipare e perché muore il 23 marzo 1555. Per 23 giorni gli succede Marcello II, favorevole alla riforma, ma gli manca il tempo di fare qualcosa. Dopo di lui, viene eletto il napoletano Gian Pietro Carafa col nome di Paolo IV (23 maggio 1555), che si disinteressa completamente del Concilio e della necessità di portare a termine l’opera di riforma della Chiesa.
All’apparenza intransigente, in realtà impulsivo ed ostinato, manifesta in breve  tempo tutti i suoi limiti caratteriali ed etici - la morigeratezza non è il suo forte ( padre N. Fabbretti ) -  appoggiando gl’interessi della famiglia con un nepotismo sfacciato ed irresponsabile.
Nomina cardinale e segretario di Stato il nipote Carlo, uomo dissoluto, prepotente e privo di coscienza, condannato a morte e giustiziato subito dopo la morte dello zio papa.
Filofrancese, dichiara guerra alla Spagna uscendone con le ossa rotte e con gravi danni per lo Stato della Chiesa. Cocciutamente testardo nel sostenere le proprie convinzioni, non ripone nessuna fiducia nel Concilio, così attua una personale riforma della Curia romana, potenzia il Sant’Uffizio che diventa un tetro e, a volte, ottuso difensore della fede che incute solo timore, pubblica l’indice dei libri proibiti ( Index librorum prohibitorum ), un elenco di testi la cui lettura è proibita ai fedeli per i loro contenuti eretici o moralmente sconvenienti. Muore il 18 agosto del 1559 rimpianto solo dal nipote che verrà, come detto, giustiziato poco dopo. Il popolo romano si oppone ai funerali solenni. Dopo un lungo e faticoso conclave (4 mesi) viene eletto il milanese Giovanni Angelo Medici di Marignano che prende il nome di Pio IV, protetto come cardinale da Giulio III ed avversato da Paolo IV, perché filo spagnolo e favorevole alla ripresa e conclusione del Concilio. Il nipote Carlo Borromeo, futuro arcivescovo di Milano (persona ben diversa dal nipote Carlo del Carafa Paolo IV, difatti si tratta di san Carlo Borromeo), si mostra un consigliere attento e sollecito nell’appoggiare la riapertura del Concilio, quale unico strumento di coinvolgimento reale di tutte le voci della Chiesa per la sua concreta riforma. Cosa che accade nel gennaio del 1562. Per i forti contrasti interni ai padri conciliari di natura teologica, ma soprattutto disciplinare e canonica, questa terza fase del Concilio risulta essere la più tribolata. I legati papali Gonzaga e Seripando vengono sostituiti nella primavera del 1563 dal card. Morone ( a suo tempo, fatto arrestare, torturare, rinchiudere nelle segrete di Castel sant’Angelo e scampato a sicura morte  per la morte di Paolo IV, suo carnefice ) che, più di ogni altro, sa tenere le redini dei lavori conciliari e, avendo chiaro l’obiettivo finale, sa tirar diritto davanti agli attacchi dei conservatori e portare a termine l’impresa riformatrice. Fatte queste premesse poco edificanti sul clima che si respira nella Chiesa e nella società civile, in quest’ultimo periodo sono approvati da circa 225 padri conciliari diversi decreti che ancora oggi costituiscono il cardine della dottrina della Chiesa cattolica. Fondamentale è quello della sessione XXII (17 sett. 1562) sul sacrificio della Messa, inteso come memoriale e “ripresentazione” reale del sacrificio di croce di Gesù, sacerdote e vittima perfetta, condannando senza mezzi termini le tesi luterane e calviniste sulla Messa ritenuta un semplice ricordo dell’ultima cena e del sacrificio di croce. Nella XXIII sessione viene riaffermato, sulla base della chiara volontà di Gesù e delle Scritture, il sacramento dell’Ordine e la legittimità della struttura gerarchica della Chiesa, costituita in primo luogo dal pontefice romano, quale successore di Pietro e poi dai vescovi come successori degli apostoli nella pienezza del sacerdozio. Vengono approvati anche i decreti sulla istituzione del seminario in ogni diocesi per la formazione del clero e sui criteri di ammissione dei candidati al sacerdozio. Nella sessione XXIV si affronta il sacramento del matrimonio, considerato indissolubile secondo l’insegnamento di Gesù e si stabiliscono le norme canoniche per individuarne l’eventuale nullità. Viene decretata come vincolante la, sino allora, molto traballante usanza del celibato ecclesiastico. Il parroco, tenuto a risiedere nel territorio di sua competenza, deve tenere il registro dei battesimi, delle cresime, dei matrimoni e delle sepolture. Ai vescovi viene fatto obbligo di effettuare la visita pastorale nelle parrocchie ogni anno completandola ogni due. Nella XXV ed ultima sessione viene decretata la dottrina cattolica sul Purgatorio**, sul culto dei santi, delle reliquie e delle immagini sacre. Vengono stabilite norme precise per la pia pratica delle indulgenze, onde evitare il noto triste mercato. Al pontefice e alla Curia romana vengono affidate alcune questioni: la revisione del breviario, del messale, del catechismo e l’Indice dei libri proibiti. Il latino è e resta la lingua ufficiale della Chiesa, ma ai fedeli vanno dati i chiarimenti necessari nella lingua parlata.
Il 4 dicembre 1563 il card. Morone chiude l’assemblea conciliare con queste parole: “Post actas Deo gratias, ite in pace” (dopo aver compiuto questi atti, sia grazie al Signore, andate in pace).
Dopo 18 anni, tormentati e faticosi, il Concilio di Trento ha termine. Infatti papa Pio IV con la bolla Benedictus Deus, conferma ed approva tutti i decreti tridentini e nomina una commissione ad hoc per vigilare sulla corretta interpretazione ed attuazione dei deliberati conciliari.             
** Decreto sul Purgatorio ( 3-4 dic.1563).  Poiché la Chiesa cattolica, istruita dallo Spirito Santo, conforme alle sacre Scritture e all’antica tradizione, ha insegnato nei sacri concili, e recentemente in questo concilio ecumenico, che il Purgatorio esiste e che le anime lì tenute possono essere aiutate dai suffragi dei fedeli e in modo particolarissimo col santo sacrificio dell’altare, il santo sinodo comanda ai vescovi che con diligenza facciano in modo che la sana dottrina sul Purgatorio , quale è stata trasmessa dai santi padri e dai sacri concili, sia creduta, ritenuta, insegnata e predicata dappertutto……. I vescovi abbiano cura che i suffragi dei fedeli viventi e cioè i sacrifici delle Messe, le preghiere, le elemosine ed altre opere pie che si sogliono fare per i fedeli defunti, siano fatti con pietà e devozione.                          


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