N° 4 - Aprile 2018
Storie dei lettori
  Ceccardi e Ungaretti
di Romano Parodi


 

          Volano i sifoni del seltz. E sedie, tavoli, bastoni di legno. Il Gran Caffè Margherita di Viareggio va in frantumi. E’ una battaglia, fra guardie reali e luogotenenti della compagnia d'Apua: gli interventisti rivoluzionari, gli artisti che vedono la prima guerra mondiale come la liberazione dell'uomo dalle monarchie e dagli imperi "vetusti". Poco prima, alla rissa del Caffè chantant della Passeggiata ci sono tutti. Lo scrittore Giuseppe Prezzolini, Enrico Pea, Lorenzo Viani, Moses Levy sono intorno al "poeta", Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, il generale. E' del gruppo anche Ungaretti (Ungà), anarchico di vocazione, provocatore di gioventù, destinato al carcere alla fine di una giornata memorabile: "Una delle prime piazze che si incendia in Italia per la guerra mondiale", ricorda lo storico Umberto Sereni.  La Grande guerra in Europa è scoppiata, l'Italia, ancora si divide fra interventisti e neutralisti. A Viareggio, in estate, il dibattito è animato. Da Milano arrivano Franco Ciarlantini, futuro editore di Viani e giornalista del Popolo d'Italia; il maestro Dante Dini di Camaiore che insegna nel capoluogo lombardo; lo scrittore Giovanni Capodivacca (Gian Capo) scrittore e giornalista. Poi ci sono gli intellettuali della compagnia (poi "repubblica") d'Apua. Tutti convinti che la "guerra rigeneratrice" avrebbe messo fine "al mondo, incatenato alla sofferenza". Ceccardo, nato genovese, ma toscano di adozione, li guida, li avvicina ad Alceste De Ambris, uno degli esponenti di spicco del sindacalismo rivoluzionario, nato a Licciana Nardi, ma conosciuto in tutto il mondo, dalla Francia al Brasile, da Roma a Livorno dove diventa segretario della Camera del Lavoro. Ceccardo incanta anche Ungaretti. Appena tornato dalla Francia, il giovane poeta si ferma qualche tempo in Lucchesia, terra d’origine dei genitori. Il 20 settembre, Ungaretti è sul palco del Politeama insieme a Ceccardi, Torquato Pocai, Italo Sottini. Il teatro è affollato di operai, guidati dal segretario della Camera del Lavoro, Ovidio Canova, un anarchico anti-interventista che, invece, un anno dopo morirà sul Carso. Fino al ricordo dei primi morti della grande guerra, la tensione è sotto controllo. Quando si comincia a parlare di Crispi, “nemico personale di Ceccardo” (La banda anarchica di Ortonovo), scoppia il finimondo. Poi la compagnia si sposta al Margherita. «Qui, racconta Sereni, era prevista una celebrazione pubblica (Il 20 sett. era festa nazionale: la Breccia di Porta Pia). La banda musicale, nell’occasione, suona la marcia reale». A quel punto, molti ospiti del Gran Caffè si alzano in piedi, per rispetto alla marcia e al re. «Al contrario, restano seduti i membri della compagnia d'Apua, gli interventisti rossi. L'aria si raffredda. Questo gesto viene subito colto come una manifestazione di disprezzo per la marcia reale». E probabilmente lo è. Un affronto grande soprattutto in una città come Viareggio dove vivono ancora i Borbone, compresa Zita, ultima imperatrice d'Austria nata a pochi chilometri, a villa Le Pianore di Capezzano. Il problema è che al Margherita ci sono alcuni ufficiali. E non sembrano intenzionati a far passare l'episodio sotto silenzio. «Anche perché, dice Sereni, Ungaretti non si limita solo a non alzarsi in piedi. Si mette anche ostentatamente a leggere il giornale». Come se questo non fosse di per sé già abbastanza irritante, durante l'esecuzione della marcia reale, è arrivato un grande pernacchione. Uno degli ufficiali, attribuisce il gesto insolente, a Ungaretti e lo prende a schiaffi». Ceccardo reagisce d'istinto e "l'eroica Cravache" si abbatte sul viso dell'ufficiale; scoppia la rissa. Ungaretti si mette a  recitare una poesia di Ceccardo, «di colui che si voleva imprigionare». Gli apuani battono le mani. La rissa degenera: arriva il commissario che si appella a Ceccardo per far cessare il tumulto. Il poeta gli risponde picche: «Ella sappia che il poeta Ceccardo Roccatagliata Ceccardi non fu mai un uomo equilibrato, egli è solo un'anima eroica….!». Così la rissa prosegue fino a quando gli interventisti rossi vengono portati in questura a Viareggio, fra una folla che urlava: "Liberate gli apuani". In effetti, poi, i "cavalieri" vengono rilasciati. Solo Ungaretti viene portato in carcere per qualche ora con l'accusa di "vilipendio ai simboli dell'unità nazionale": sarà amnistiato dopo la guerra per aver combattuto sul Carso. Dopo il rilascio, gli apuani vanno a festeggiare alla fiaschetteria "Neri", annota Viani. Qui Ceccardo, il "generale", tiene il suo discorso ai Cavalieri dell'Ordine Equestre e alle "oscure milizie" «Ho l'onore di annunziare ai grandi marescialli di Apua e a tutti i consoli presenti e assenti, che su proposta mia, il Grande Stato Maggiore apuano ha creato, stasera, "l'ordine dei Cavalieri della Gloria", per il grande valore dimostrato nell'attacco al caffè Margherita». Questo non gli impedisce, l'indomani, insieme agli altri apuani, di ritrovarsi al Margherita. Come si ripresentano, spuntano anche i carabinieri e il commissario. La banda è già pronta a suonare, quando Ceccardo chiede l'inno di Mameli. Di nuovo gelo in sala. Il commissario teme un'altra rissa. Il poeta d'Apua è pronto a ribattere anche al maestro di musica, che dice di non avere l'inno in programma: «Ella sappia che i costruttori dell'unità d'Italia sono morti al sospiro di Mameli non al suono del piccoletto inno intonato ieri sera». Un nuovo affronto. Non l'ultimo. Il 30 gennaio del 1915 al Politeama, quando Cesare Battisti, il patriota, tiene un comizio, la "piazza rossa" degli interventisti di nuovo si incendia. A fischiare Battisti ci sono i "servi" della famiglia Borbone. Anche Lorenzo Viani, viareggino, è figlio di uno di loro. Ma, “Lorenzaccio”, si trova dall’altra parte della barricata, al seguito del suo “generale”.
Tra le tante cose incomprensibili sulla cosiddetta fortuna letteraria di alcuni autori italiani, una delle più oscure, rimane il mancato Nobel a Ungaretti. Perché l’Accademia di Svezia lo ha assegnato a Quasimodo (“un pappagallo e un pagliaccio fascista” dirà Ungaretti) e poi a Montale e non a Lui? Montale è stato senza dubbio un grandissimo poeta, direi un poeta sommo, ma Ungaretti è molto più poeta. È il più poeta di tutta la sua generazione! Si dice che la prefazione di Mussolini al “Il Porto sepolto”, stampato alla Spezia nel 1923, sia stata la causa che lo costrinse, non solo a fuggire in Brasile, all’Università di San Paolo (‘39), ma, soprattutto, la causa del mancato premio Nobel. Lo ripeto senza timore di smentita: Giuseppe Ungaretti è il più grande poeta italiano del Novecento. romano parodi dixit. (Ungaretti: “per un certo periodo anch’io abbracciai la causa fascista”. P.s. Fu lui stesso a perorare due righe dal Duce: quelle due righe furono la sua “rovina”).


La madre -

E il cuore quando d'un ultimo battito

avrà fatto cadere il muro d'ombra

per condurmi, Madre, sino al Signore,

come una volta mi darai la mano.

In ginocchio, decisa,

sarai una statua davanti all'eterno,

come già ti vedeva

quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia

come quando spirasti

dicendo: Mio Dio, eccomi.

E solo quando m'avrà perdonato

ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai di avermi atteso tanto,

e avrai negli occhi un rapido sospiro

In questa stupenda poesia di Ungaretti si evidenzia, il dramma intimo e sofferto di una madre che aspetta il figlio alle soglie dell'eternità per vederlo redento dalla sua preghiera. La madre, umile e forte, evidenzia un amore che supera i confini della morte. Conduce per mano il figlio davanti al Signore, per fargli ottenere la salvezza. Si getta in ginocchio davanti a Lui, pregando con tutte le proprie forze e invocando il perdono di ogni suo peccato. E solo quando Dio glielo avrà accordato, rivolgerà lo sguardo agli occhi del proprio figlio.

  LA CAMICIA DELL’UOMO FELICE
di Millene Lazzoni Puglia


  

C’era una volta, in un paese imprecisato, una principessa malata di una malattia misteriosa.
I molti illustri medici chiamati al suo capezzale, però, non riuscivano a guarirla.
Non sapendo cosa fare, i suoi genitori, assai preoccupati, si rivolsero ad uno stregone che sentenziò: “La principessa guarirà se le farete indossare la camicia di un uomo felice.”

Allora cominciarono alacremente a cercare in ogni dove, ma non trovarono un uomo che fosse felice: tutti avevano qualcosa che li faceva soffrire, tutti erano scontenti per qualche motivo.
Finalmente, in un remoto villaggio, si scoprì che c’era un uomo sempre allegro e completamente felice: cantava contento e non si arrabbiava mai. Insomma, era sempre felice come nessun altro sapeva essere.  Ma grande fu la sorpresa e insieme il disappunto quando i genitori della principessa si accorsero che l’uomo felice non possedeva neanche una camicia da far indossare alla loro figlia, così come richiesto dallo stregone.

Questa favola ovviamente ha una morale: ci dice chiaramente che non sono gli abiti ricercati, né i gioielli, né la ricchezza, né altre forme di benessere a dare la felicità, in verità, un oggetto misterioso che può venire soltanto da dentro di noi per cause e motivazioni assai più nobili e immateriali.Alla luce dei nostri giorni, con il consumismo dilagante e il “mal di vivere” altrettanto diffuso, siamo in pochissimi capaci di essere soddisfatti di ciò che abbiamo (anche quando abbiamo tanto e non ce ne accorgiamo!). Forse noi tutti dovremmo impegnarci nell’individuare il modo d’invertire questa tendenza negativa? Forse puntando sui bambini, che con la loro purezza e semplicità, sono in grado di capire i veri valori e le piccole-grandi cose del quotidiano che sono il vero succo gioioso della vita, potremmo chiarirci le idee?
Forse sarebbe già più che sufficiente che noi familiari adulti (i genitori per primi) fossimo capaci di dare loro, oltre agl’insegnamenti verbali, soprattutto validi e buoni esempi per guardare al futuro con ottimismo e fiducia accontentandosi di ciò che si può ottenere con l’impegno e l’onestà.


  QUANDO LA BONTA’ DIVENTA ESEMPIO
di Marta


La campana aveva suonato il mezzogiorno da appena 10 minuti ed ecco squillare il telefono: “Nonna, nonna…. Giacomo ce l’ha fatta, 110 e lode!! Dottore in economia e commercio. “Inutile descrivere la mia gioia.  Neanche il tempo di realizzare e gustare la bella notizia che squilla di nuovo il telefono.
"E’ deceduta la zia Marianna!”  E’ comprensibile come il mio piacevole stato d’animo sia stato sbalzato in un attimo ad uno pieno di mestizia. Purtroppo, è fatta così la nostra esistenza: ogni giorno non è mai uguale all’altro e ciò che ci dà gioia si alterna all’amarezza. Nel pomeriggio mi reco a far visita a questa zia deceduta e, naturalmente, ai miei parenti. Lungo il tragitto passo davanti alla casa di una conoscente che non vedo da tanto tempo, così ne approfitto per farle una sorpresa e mi fermo.  Il cancelletto è vecchio, avrebbe bisogno di manutenzione, ma ancora svolge la sua funzione; la casa è piccola e molto datata dal tempo, quindi i muri si scrostano perdendo un po’ d’intonaco e il colore, molto sbiadito, fa intravedere che, forse, una volta era rosa; tutto intorno c’è una recinzione di rete metallica ormai arrugginita. Dal giardino o dal prato sento una vocina di bimba che canta una filastrocca, poi……ridere, un modo di ridere contagioso; mi accorgo di sorridere nell’ascoltare quel riso gioioso.  Chiamo; mi vengono ad aprire il vetusto cancelletto e, subito, un sorriso smagliante mi accoglie. Appena dentro, Silvia, mi abbraccia e, nello stesso tempo, mi informa che la mamma è in casa. Un bel quadretto che mi sorprende e commuove. Fernanda, la mamma, è seduta accanto alla nipote Gloria, occupata con il computer per cose inerenti al suo lavoro di accompagnatrice sociale: almeno, così ho capito.

Lei trasporta con il pulmino ragazzi con particolari patologie nella struttura assegnata, dove ricevono assistenza e vengono aiutati in varie attività anche ludiche. Per lei è facile venire a conoscenza quotidianamente di situazioni davvero tristi. Così, altruista e disponibile com’è, si porta a casa spesso dei bambini che altrimenti sarebbero in mezzo alla strada.

E’ complicato trovare le parole giuste per descrivere il tenore di vita di questa famiglia: una piccola pensione, lo stipendio della ragazza per un lavoro part-time, che a mala pena basta a coprire le spese.

Eppure, in quella casa non manca la gioia, non manca l’amore, non manca la bontà, non manca l’altruismo che ti mette al servizio di chi ha ancora meno. Silvia mi dice: “Se Dio vuole, c’è sempre un piatto di pasta. Sai?  Per me questa bimbetta è come se fosse la mia terza nipotina (infatti, la prima figlia di Silvia ha due gemelline). Si chiama Desirè, ha nove anni ed è molto dolce.

Sta qui con noi più spesso degli altri, perché a volte ospitiamo anche altri bambini, dipende dalle necessità e dal bisogno del momento”.

Avevo un nodo alla gola e tanta commozione dentro il mio animo nel vedere  con quanta naturalezza mi venivano raccontate queste cose per loro normali. Ringraziavo il Signore per avermi fatto vivere questo momento imprevisto e per questo ancora più indimenticabile.

Grazie ancora per avermi data la possibilità di ricevere un insegnamento di vita,  un esempio su cui riflettere.

Lungo la strada verso l’obitorio pensavo: niente accade per caso e mi sembrava, almeno in quel contesto, di vivere dentro ad un puzzle di sensazioni dove tutte le tessere venivano assemblate per giungere ad una sola conclusione: vivere, almeno per me, ogni giorno con amore, con il sorriso, sempre che ci riusciamo, per donare un po’ di noi a chi è solo, a chi è in difficoltà, a chi è triste, a chi è ammalato, a chi ci sta di fronte e, in silenzio, chiede un poco di rispettosa fraternità.


  Gli amici di Padre Damarco
di Giuseppe


Il 20 febbraio scorso, il centro Barontini di Sarzana ha ospitato un incontro interreligioso sul tema dell'accoglienza. Ad organizzarlo le associazioni Amici di Padre Damarco e Volta la Carta. L'incontro si inseriva in un più ampio progetto che mira a favorire l'integrazione dei migranti nel territorio della Val di Magra e del suo tessuto sociale. Hanno partecipato, oltre a Egidio Banti, il titolare della cattedra di Storia del Cristianesimo all'Università La Sapienza di Roma Gaetano Lettieri e l'imam di Trieste Nader Akkad.
 Nel giugno del 2016 ad un incontro analogo mi ero fatto accompagnare da mio fratello Walter che ne era rimasto entusiasta, anche per questo non ho voluto mancare, questa volta ero con mia sorella Oriana.
Gli interventi dei relatori sono stati davvero appassionanti e molto stimolante il dibattito che ne è seguito. Sarebbe troppo difficile cercare di riassumerne compiutamente il contenuto; per quanto mi riguarda, sono stato colpito da alcuni passi del corano, ricordati dall'iman Akkad, e in particolare da parole in essi contenute. Ognuna di queste meriterebbe una riflessione argomentata ma mi limiterò a darne una breve elencazione con un minimo di commento.
Il primo termine, che aveva a che fare con il tema dell'incontro è stato 'accoglienti', così, ha spiegato l'imam, sono detti nel corano, i discepoli di Gesù. Pietro, Giovanni e gli altri sono, infatti, quelli che hanno accettato di accogliere un insegnamento per nulla facile da fare proprio, perché sconvolgente e difficile da praticare: "porgi l'altra guancia", "ama il tuo nemico", "astieniti dal giudicare", tantomeno dal punire, un'adultera per esempio. Per una sorta di benigna legge del contrappasso i dodici che hanno accolto e interiorizzato il messaggio di Gesù, sono diventati, nella tradizione cristiana, gli 'apostoli', quelli cioè che quell'insegnamento lo hanno esteriorizzato, portandolo fuori dalla loro terra. Non potrà sfuggire l'importanza di questo ribaltamento destinato a riprodursi perché, se da una parte non si può trasmettere che ciò che si è precedentemente interiorizzato, dall'altra quella trasmissione può verificarsi soltanto a condizione di essere a propria volta accolti, quanto meno fisicamente. Così è stato per gli apostoli di Gesù che si sono sparsi tra le genti per potere, attraverso alterne vicende e interlocuzioni anche problematiche, diffonderne il verbo.
Un'altra parola è stata 'discendenza'. Nel corano la discendenza di Abramo non indica soltanto quella che passa per Ismaele, il figlio primogenito di Abramo avuto dalla schiava di Sara, Agar, ma include anche quella di Isacco.
Quando nel corano si benedice la discendenza di Abramo, si benedicono dunque anche gli ebrei e i cristiani. E ancora, 'Islam'; il termine viene generalmente reso con 'sottomissione' ma Akkad ha evidenziato come la radice di quel termine coincida con quella di 'salam’, ‘pace'. L'imam ha inoltre spiegato come il termine 'jihad' non abbia nulla a che fare direttamente con la guerra o con il fondamentalismo religioso ma significhi soltanto 'sforzo', quello del credente di conformarsi ai precetti coranici e, a proposito della guerra, Akkad ha illustrato, testi alla mano, come essa non venga mai definita santa, ma come, al contrario, sia ritenuta madre di tutti i mali. Infine il termine 'infedeli'; con esso nel Corano non si indicano i cristiani o gli ebrei, ma quelli che si comportano in maniera difforme dagli insegnamenti coranici e non operano il bene. Infedeli possono essere perciò i cristiani come gli islamici e ne è prova cruenta il fatto che i fondamentalisti islamici mietono più vittime tra i loro correligionari che tra gli appartenenti ad altre fedi. Il corano non condanna i credenti di altre religioni, al contrario vi si può leggere che essi saranno benedetti dal loro dio se opereranno il bene.
Durante il dibattito si è affrontato il tema cruciale dell'interpretazione dei testi sacri. Anche attraverso l'intervento di Gaetano Lettieri si è riflettuto sul portato di crudeltà e spietatezza insito in tutte le sacre scritture, a partire dall'antico testamento fino al Corano senza escludere il Nuovo Testamento. Sarebbero necessarie molte pagine per trattare l'argomento anche soltanto nelle sue implicazioni essenziali, ma è stata ribadita la necessità di una lettura critica dei testi sacri e, a tal proposito, il pensiero laico può offrire un prezioso contributo all'interpretazione corretta delle sacre scritture.
 Lettieri  ha inoltre riflettuto sul concetto di felicità che, tanto nella tradizione cristiana quanto nella lezione di filosofi come Jaques Deridda e Emmanuel Levinas, si realizza pienamente soltanto nella relazione con l'altro, se si accetta cioè il rischio implicito in ogni confronto con l'irriducibilmente diverso da sé, il rischio di perdere le proprie sicurezze per scommettere sull'arricchimento che soltanto l'incontro con l'altro può procurare, se, con le parole di Maurice Blanchot, siamo disposti a farci ostaggi del disarmo dell'altro. Lettieri ha sottolineato come tale esperienza possa rappresentare oggi una sorta di ribellione al modello di società consumistica che propone quasi esclusivamente il soddisfacimento di bisogni individuali e godimenti autistici. Contro tutto questo è necessario, ha ricordato, riscoprire il valore dell'accoglienza e dell'ospitalità che per il filosofo Deridda è superiore a qualsiasi speculazione filosofica. Le parole di Lettieri mi hanno fatto ricordare quelle di Levinas, il filosofo che forse più di ogni altro ha riflettuto sul rapporto con l'altro o l'altrui, "Il buongiorno precede il cogito".
Il mattino dopo Lettieri e Akkad hanno incontrato alcune classi del plesso di scuola media superiore Parentucelli di Sarzana. Il tema era ancora quello dell'accoglienza degli immigrati in fuga da guerre e miserie.
L'incontro con gli studenti è stato molto interessante e anche da loro sono state poste domande stimolanti. Le poche righe a disposizione mi impongono di riportare soltanto alcuni dati essenziali. Dopo decenni durante i quali, sia i media che molte formazioni politiche hanno gridato all'invasione di extracomunitari, gli stranieri in Italia, compresi i provenienti da paesi dell'unione europea come i rumeni e gli irregolari, costituiscono poco più dell'otto per cento della popolazione. Di questi soltanto un terzo sono musulmani e degli immigrati da paesi islamici, soltanto una esigua minoranza è praticante. Dall'inizio della crisi siriana, e della presenza dell'Isis in molti paesi mediorientali e africani, sono arrivati in Italia poche centinaia di migliaia di migranti che in gran parte hanno lasciato il nostro paese per andare altrove; in Libano si sono riversati un milione e mezzo di profughi e migranti su una popolazione di quattro milioni di abitanti e situazioni analoghe si sono prodotte in altri paesi del medio oriente e dell'Africa.
Si può aggiungere che se gli stranieri sono soltanto l'otto per cento della popolazione, praticamente il cinquanta per cento della nostra produzione agricola e dell'allevamento dipendono da loro come dipende in gran parte da loro l'assistenza domestica ai nostri anziani. Inoltre, il rapporto tra quanto gli stranieri contribuiscono con i loro versamenti e quanto usufruiscono in servizi è molto più favorevole di quello degli italiani, soprattutto perché gli immigrati usufruiscono, per esempio, molto meno del servizio sanitario e ricorrono in misura ancora minore alle prestazioni più care come i trapianti, le chirurgie intensive e le terapie di lunga durata.
Infine va ricordato che nessuno dei migranti abbandonerebbe la propria patria, si esporrebbe a migrazioni tanto pericolose, a sofferenze tanto grandi e alla paura dell'ignoto se non fosse per sfuggire a guerre e fame.
La vera soluzione del problema delle migrazioni di genti nel mondo, che riguarda soltanto marginalmente l'Italia, non potrà che risiedere nel raggiungimento di pace, democrazia e di in un minimo di giustizia sociale da parte di molti paesi africani, asiatici, del medio oriente e dell'America latina.
Nel frattempo e cercando di favorire tutto ciò, abbiamo il dovere di mantenere la serenità di giudizio necessaria a comprendere che l'arrivo di stranieri in Italia, se gestito in maniera opportuna, può costituire, invece di un problema, una risorsa per tutti.

Giuseppe

 

  Viaggio nei teatri romani d’Italia
di Giorgio Bottiglioni


All’inizio dell’Ottocento Antonio Nibby, noto studioso di antichità, ricordato a Roma da una strada a lui intitolata dalle parti di Piazza Bologna, intraprese una serie di ricognizioni nei dintorni della città che lo portarono a compilare un interessantissimo volume dal titolo Viaggio antiquario nei dintorni di Roma (1819), si tratta di un testo molto importante sia dal punto di vista documentale, perché descrive spesso monumenti che oggi non sono più visibili, sia dal punto di vista metodologico, testimoniando  gli studi e la passione straordinaria degli antiquari italiani d’inizio Ottocento. Al capo XIV Nibby racconta il suo itinerario lungo la via Tiburtina Valeria: “Questo viaggio interessantissimo per le rimembranze che richiama, e per i monumenti, che s’incontrano, è incommodo un poco, ma questo incommodo è compensato dal piacere di visitare que’ luoghi, de’ quali si è udito parlare fin dalla infanzia. La mancanza delle locande è compensata dalla ospitalità degli abitanti, che sono semplici e cordiali, e che conservano incerta guisa l’austerità de’ Sabini antichi, e de’ Marsi, e la giustizia di quel popolo, che diede il nome alla giustizia stessa, cioè gli Equi. Sarò però ancor meglio se il viaggiatore si fornirà di lettere di raccomandazione ai preti de’ diversi paesi dove si pensa di soggiornare.” La via Tiburtina Valeria era una delle vie consolari romane che conduceva al mare Adriatico passando per Tivoli, Corfinio, Chieti e giungendo ad Aternum, l’antica Pescara, in un percorso di poco meno di 200 Km. Ancora oggi collega Roma con Chieti e Pescara e prende il nome di Statale 5 Via Tiburtina Valeria.  Nibby ricorda che “si esce da Tivoli per la porta S. Angelo, e si prende la via destra, che è l’antica via Valeria, la quale cominciava a Tivoli, o per meglio dire cominciava a Roma, ma fino a Tivoli dicevasi Tiburtina, e di là prendeva il nome di Valeria,” la denominazione Tiburtina, prima tappa della strada, mentre Valeria ricorda il console Marco Valerio Massimo che intorno al 286 a.C. le diede la sistemazione definitiva. Dopo Tivoli il primo centro che incontriamo, interessante per il nostro studio, è Carseoli nel Comune di Oricola (L’Aquila). Reperti Antichissimi testimoniano un’origine della città che si perde nella notte dei tempi. Importante centro degli Equi, fu conquistato definitivamente dai Romani nel 303 a.C. quando poi fu dedotta una colonia di 4.000 uomini più le donne e i bambini. Fu principalmente centro agricolo, noto in particolare per la produzione del grano, come attestato da Ovidio nel libro IV dei Fasti: Frigida Carseoli, nec olivis apta ferndi/Terra, sed ad segetas ingeniosus ager (“Fredda Carseoli, terra non adatta alla coltivazione degli olivi, ma campagna naturalmente proclive alle messi”). Nibby sottolinea che “la sua posizione posta in mezzo ai monti in una pianura, nel centro dell’Italia, le sue mura fortissime, ne fecero durante la Repubblica una piazza d’armi, dove il Senato mandava i prigionieri ragguardevoli”. I principali scavi archeologici furono condotti negli anni ’80 del secolo scorso e misero in luce un circuito murario in opera quadrata, terrazzamenti opera poligonale, resti di un tempio e di un acquedotto di età tardo antica. Un’attenta lettura delle foto aeree ha riscontrato in quest’area anche resti di un teatro e, fuori delle mura, di un anfiteatro, mentre ancora visibili sono i resti della poderosa struttura in blocchi di pietra, probabilmente un tempio, la cui interpretazione rimane problematica. “Da Carsoli ad Alba non vi sono cose che meritino osservazione”, prosegue Nibby passando a descrivere i resti dell’antica Alba Fucens, attualmente nel territorio comunale di Masse d’Alba (Aquila). Come Carseoli anche Alba si trovava nell’area abitata dagli Equi, poco distante dalle postazioni dei Marsi. All’inizio del IV secolo a.C. i Romani invasero la zona e dedussero ad Alba Fucens 6000 coloni. La città occupava una posizione elevata a circa 1000 metri sul livello del mare, ai piedi del Monte Velino, 7 Km a nord di Avezzano. Il suo nome   deriva dalla posizione dell’abitato, dal quale si poteva ammirare l’alba sul Lago del Fucino. La Città racchiusa entro la cinta muraria lunga circa 2,9 Km. Conservatasi in gran parte fino ai giorni nostri. Nel centro dell’abitato era situato il forum, (142 m di lunghezza per 43,50 di larghezza) su cui si affacciano i più rappresentativi edifici pubblici cittadini: la basilica, dove si trattavano gli affari e si amministrava la giustizia; il macellum o mercato e, contigue ad esso, le terme. Costruite in età tardo-repubblicana, ma ampliate in epoca imperiale. Queste ultime erano decorate con preziosi mosaici raffiguranti scene e soggetti marini. Ad Alba Fucens era presente anche un anfiteatro e numerose case appartenenti al patriziato locale, fra cui una villa nota come Domus che, secondo un’ipotesi suggestiva, non corroborata da fonti, dovette essere di proprietà del Prefetto del Pretorio Q. Naevius Sutorius Macro, vissuto durante il regno dell’imperatore Tiberio.

Continua

  IL CIELO E LA TERRA PASSERANNO, MA LE MIE PAROLE NON PASSERANNO.” MT24,35
di Mila



L’altra sera ho visto alla TV un film sulla vita di Gesù, esattamente il periodo che va dall’ inizio della sua predicazione alla sua morte. L’attore che impersonava Gesù non aveva gli occhi azzurri, i capelli castano chiari e i lineamenti estremamente delicati, così come siamo abituati a vederlo raffigurato, ma i suoi capelli erano neri, gli occhi neri e la carnagione un po' scura, del resto Gesù era ebreo e, se non sbaglio, una volta i tratti sommatici degli ebrei erano quelli. Anche fisicamente non era proprio un fuscello e caratterialmente era ben diverso dal solito “buonista” sdolcinato che oggi anche tanti sacerdoti vorrebbero appiopparci. Era un Uomo, un grande Uomo con una missione da compiere, una missione che gli sarebbe costata la vita dopo tante sofferenze, una missione alla quale Lui avrebbe potuto facilmente rinunciare essendo Uomo e Dio ma non l’ha fatto, perché? Per noi! Per noi, ma ne valeva veramente la pena? Per noi? Me lo domando tutte le volte che alla Messa siamo in quattro gatti, tutte le volte che i ragazzi, finito il periodo del catechismo, non si fanno più vedere in parrocchia perché hanno troppo da studiare…e poi c’è lo sport e poi e poi e poi… e i comandamenti ce li ricordiamo? E i sacramenti valgono ancora? Ma chi se ne importa! Tanto Dio è un optional e poi, male che vada, è così buono che perdona tutto.
Si è vero che perdona tutto ma non ci sarà un po' da riflettere sul significato di questa affermazione? Forse non è consigliabile prenderla troppo alla leggera. Il film dell’altra sera non era programmato con la solita tecnica, cioè attori che agiscono e parlano secondo le esigenze di copione e creano un tutt’uno nel quale immedesimarsi. In questo gli attori non parlavano, agivano soltanto però c’era una voce fuori campo che leggeva testualmente le pagine del Vangelo, era molto suggestivo e dava più un senso di veridicità.
Per me un film, forse più documentario che film, da guardare e ascoltare con attenzione per imparare a conoscere il Vangelo, la Parola di Dio. “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi…Gv.1,14.  Purtroppo, me compresa, dedichiamo poco tempo alle Sacre Scritture, eppure quanta verità è scritta in quei libri, cose avvenute e cose che avverranno: “Sorgeranno falsi cristi e falsi profeti” … Mt.24,24. Proprio ieri il telegiornale stava parlando di quella setta che sta lucrando sulla disperazione della gente ed è guidata da un tizio che si proclama il vero Messia. Chissà se lui sarebbe disposto a dare la sua vita per noi? A parte tutto questo sto pensando che noi, popolo cristiano, presbiteri e laici, dovremmo cercare di fare del nostro meglio per far sì che in seno alla Chiesa le cose migliorino. Ho letto nel numero scorso de “Il Sentiero”, l’articolo di Gualtiero Sollazzi: “Donne in Fuga”. Credo d’aver capito che anche lui è preoccupato dalla situazione, probabilmente lo siamo tutti, e allora! Cerchiamo di far qualcosa tutti assieme ma ricordando sempre che… “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.” Mt24,35 

Tanti auguri di Buona Pasqua a tutti.        

 

  Margherita e Giulietta
di Enzo Mazzini


Io ho sempre amato la musica, ma i miei impegni mi hanno sempre assorbito a tal punto da non consentire a mia moglie, che è stata insegnante di musica nelle scuole medie per tutta la vita, di fornirmi le più elementari nozioni musicali. Io continuo comunque a suonare l'organo nelle varie chiese, affidandomi al mio orecchio musicale di cui la natura mi ha fatto dono. Meno male che le mie doti naturali sono state ereditate da mia figlia Manuela e dalle mie nipotine: Margherita e Giulietta.
Manuela, diplomatasi a pieni voti in pianoforte presso il Conservatorio di Lucca, come sua mamma Giovanna, è una grande concertista ed è risultata vincitrice di molti concorsi nazionali di pianoforte. Fra l'altro per molti anni è stata animatrice ed organista nella sua Parrocchia di San Giuseppe in Casano prima del matrimonio.  Trasferitasi negli Stati Uniti d'America, ha studiato con illustri pianisti del panorama americano, conseguendo la Laurea di secondo livello in Musica presso l'Università della East Carolina. Sempre negli U.S.A. ha vinto la selezione per il prestigioso concorso internazionale "William Kapell" ed è stata vincitrice della selezione internazionale per il Virginia Varig International Piano Competition in California. Si è esibita in innumerevoli concerti pianistici ed altrettanti concerti di pianoforte ed orchestra sia negli U.S.A.che in Italia, che non sto ad elencare, dato il notevole spazio che richiederebbero. Ha conseguito anche il Diploma accademico di secondo livello presso il Conservatorio Santa Cecilia di Roma presso il quale è risultata vincitrice anche di una borsa di collaborazione. Ora è insegnante e direttrice dell'Accademia MTDA di Fiumicino (Roma).
Le figlie Margherita e Giulietta Rebeggiani sono nate e cresciute in questo mondo fatto di musica ed arte e quindi hanno potuto affinare le loro eccezionali doti naturali.
Margherita ha appena 13 anni, ma può già vantare una preparazione ed un curriculum artistico davvero più unico che raro in vari settori: corsi di canto, recitazione, danza moderna, danza classica e contemporanea, pop, hip hop, break dance, tip tap, etc.
Per quanto riguarda gli impegni teatrali ha ricoperto il ruolo di Marta nel "Canto di Natale - La favola musicale" ed il commovente ruolo di Ziva nel Dramma musicale "Lo sguardo oltre il fango" che tratta della vicenda di una bimba ebrea nei campi di sterminio nazisti. Si è molto impegnata ed ha riscosso moltissimo successo anche nel settore del Musical, con varie interpretazioni: "Annie Jr."nel ruolo da protagonista di Annie, nel 2016; "Boom!" nel 2017 e "Masha e Orso" nel ruolo protagonista di Masha, con 60 esibizioni nelle più importanti città d'Italia (Roma, Milano, Napoli, Firenze e quindi La Spezia, Pisa, Forte dei Marmi, etc.) ed anche in Svizzera. Sempre per "Masha e Orso" ha anche inciso un bellissimo disco con i brani del musical.
Ha lavorato anche per la TV: come attrice in "Un Medico in famiglia 9" su RAI 1 e in "My Personal Hero" nel ruolo,di Rebecca su TV Boing e tantissimi altri impegni che sarebbe difficile elencare.
Attualmente è impegnata al Teatro Nazionale di Milano nella parte di "Jany" in Mary Poppins, l'importante prima versione teatrale mai realizzata in Italia è che ha emozionato almeno tre generazioni e nella quale Margherita è impegnata in tre spettacoli settimanali che si svolgono nelle giornate di giovedì e sabato e varrebbe veramente la pena vederla lavorare. A tal proposito sarebbe veramente interessante riportare le critiche entusiastiche degli esperti, che vi lasciamo immaginare. Le rappresentazioni sono iniziate il 13 febbraio ed alla prima abbiamo assistito anch'io e Giovanna e per mancanza di spazio non sto a descrivervi le emozioni provate che lasciamo alla vostra immaginazione. Attualmente sono programmati spettacoli fino al 12 maggio, ma si prevede un prolungamento dello spettacolo sempre presso il Teatro Nazionale di Milano fino a Natale e la possibile realizzazione di un tour nei più grandi teatri italiani, nel prossimo anno. Inoltre va segnalato che i posti sono quasi sempre esauriti e quindi chi intendesse fare un salto a Milano per provare delle emozioni davvero indescrivibili è consigliato di prenotare il biglietto in anticipo. Chi dovesse andare può contattare Margherita Rebeggiani dopo lo spettacolo. Lei è sempre molto disponibile e poi le farà sempre piacere incontrare persone provenienti dalle sue terre di origine.
A questo punto non mi resta che parlare dell'altra nipotina: Giulietta.  Non volendo ancora abusare della vostra attenzione e gentilezza, cercherò di essere il più possibile sintetico.
Giulietta ha appena undici anni, ma ha già alle spalle dei risultati artistici che possono fare invidia. Ha una notevole preparazione artistica: recitazione, danza moderna, classica, pop, hip hop, break dance, etc.  Ha ottenuto notevoli risultati nel cinema: nel 2015 nel film "Storie sospese" ha interpretato il ruolo di figlia del protagonista; nel 2016 ha recitato in "Al posto tuo" nel ruolo di figlia di Ambra Angiolini.  Nel 2016 nella Fiction "Amore pensaci tu" ha svolto il ruolo di Penelope. Nel 2017 ha ricoperto il ruolo di Elisa nel cortometraggio "Il tesoro della principessa" ed è stata attrice di Teatro in "Brothers". Si è cementata anche nel Musical: nel 2016 ha ricoperto il ruolo di Molly in "Annie Jr." e nel 2017 il ruolo di attrice in "Boom!". Inoltre è subentrata a Margherita nel ruolo di protagonista assoluta in "Masha e Orso" che viene tuttora rappresentato in parecchi teatri italiani e svizzeri, essendo Margherita troppo grande per quel ruolo. Giulietta ha recitato anche in altri numerosi ruoli che non sto a descrivere per motivi di spazio.

  Via Crucis per il mio paese
di Dott. Giuseppe Cecchinelli


Riportiamo un passo della toccante “Via Crucis per il mio paese” (Quaresima 2017), scritto dal dott. Giuseppe Cecchinelli, sicuri di fare cosa gradita ai nostri lettori, preceduto da passo del Vangelo da cui è ispirato.
Dal Vangelo secondo Matteo (26,36.39)

Gesù andò in un podere, chiamato Getsemani, e disse ai discepoli: “Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare”. E, avanzatosi un poco, si prostrò con la faccia a terra e pregava dicendo: “Padre mio, se è possibile passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!”


Quel giorno d’estate

un richiamo lontano,

come brezza soave,

mi portò negli ulivi.

Solo il cane era con me

d’improvviso le gambe

cedettero

e mi trovai a terra

sudato.

Alzai gli occhi lassù

verso i bianchi marmi del Mirteto

chiedendo

allontana da me questo calice.

Poi nel cielo azzurro

ho riconosciuto

il volto di mia madre

ed allora guardando

verso il mare

ho sciolto le vele

per fare la tua volontà.

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