N° 7 - Luglio 2016
Il Vangelo
di Claudia Pugnana

Domenica 3 luglio 2016  - XIV T.O.   (Lc 10,1-12.17-20)

Il Vangelo di oggi  ci presenta la missione temporanea affidata da Gesù a settantadue  suoi discepoli, il cui numero sta simbolicamente ad indicare il numero delle nazioni presenti sulla terra, secondo quanto scritto in Gn 10, per  cui possiamo interpretare sia che la Parola è destinata a tutti i popoli, sia che ogni uomo della terra battezzato è un “inviato”.
La  Missione è universale: è affidata a tutti i discepoli ed è destinata a tutti gli uomini.
Prima della venuta del Regno di Dio, che si fa presente in Gesù, il Maestro manda  i Suoi  ( “ .. e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi….”).
Il compito degli Inviati è di essere Testimoni di ciò che hanno visto e udito, di dare la Buona Notizia che l’uomo non è stato fatto per sparire con la morte, che  Dio è un Padre che ama i suoi figli e che vuole dare loro “pace e misericordia(Gal 6,14-18).
L’Annuncio, perché sia efficace, si deve svolgere seguendo un protocollo. Prima di tutto è necessario affidarsi a Dio perché protegga l’azione missionaria (“Pregate il Padrone della messe…”) e partire senza portare oggetti con sé,  essendo portatori soltanto del Signore che deve essere glorificato con l’attenzione concreta per chi soffre,  spostandosi “a due a due” sia per sostenersi a vicenda, sia per vivere l’amore reciproco, realizzando la comunione e permettendo così a  Gesù di essere presente tra loro e con loro. L’evangelizzazione si svolgerà in condizioni di costante pericolo (“come agnelli in mezzo ai lupi”) e gli Inviati non  potranno permettersi di attardarsi a sbrigare formalità sociali come saluti e convenevoli: dovranno portare la Pace e l’Amore a chi li accoglierà e ricordare a chi non li accoglierà che il Regno è vicino. Gli  Inviati del Signore saranno artefici di azioni straordinarie contro il male, ma Gesù li consiglia di non esaltarsi per questi fatti ma di rallegrarsi invece per avere il nome scritto nei cieli, per aver cioè ottenuto la Salvezza.

Domenica 10 Luglio 2016 -  XV T.O. (Lc 10, 25-37)
Gesù, interrogato su quale sia il modo per avere la vita eterna (desiderio che è presente in ogni uomo, anche se manifestato in forme differenti), richiama il versetto veterotestamentario “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso” e lo stabilisce come lasciapassare per l’eternità.
Interrogato ancora sulle caratteristiche di chi dobbiamo considerare “prossimo” il Maestro  scardina le certezze dei presenti che, secondo la mentalità giudaica, definivano “prossimo” un consanguineo, un concittadino, un circonciso o uno che osservava la stessa Legge. Egli narra le tristi vicende di un uomo che viene derubato e ferito dai ladri e lasciato abbandonato in un fosso. Nessuno si cura di lui, neanche quelli che avevano a che fare con la fede in Dio (un sacerdote del Tempio ed un levita), finché non giunge un uomo samaritano, considerato un peccatore perché  non praticava la religione del Tempio. Egli ha compassione di lui  ed ha anche il necessario (vino, olio, bende…) per curarlo. E dopo avergli prestato il primo soccorso non lo abbandona ma lo affida a sue spese ad un oste perché lo risani completamente.
Il Samaritano è colui che si fa prossimo del bisognoso e lo fa non per assolvere ad un obbligo della Legge ma perché prova per lui misericordia, vive i suoi dolori con tutta la sua persona e pratica una compassione attiva.
Il Samaritano è Gesù che si ferma accanto ad ogni uomo bisognoso di cure e con la sua Parola e  con i Sacramenti lenisce le ferite che porterebbero alla morte eterna. In seguito si avvale dell’aiuto degli osti (o operai della sua messe, come li definisce in altre parti del Vangelo) per fare in modo che alle prime cure seguano le attenzioni della convalescenza e si giunga ad una completa guarigione del “ferito a morte dal male”.
Nell’Anno dedicato alla Misericordia impariamo a vivere interessandoci  a tutti col cuore.   

Domenica 17 Luglio 2016 - XVI T.O.  (Lc 10, 38-42)
Nel suo viaggio verso Gerusalemme Gesù si ferma a Betania,  paese in cui abitavano tre fratelli suoi amici: Marta , Maria e Lazzaro (di cui parla l’evangelista Giovanni, riguardo al miracolo operato da Gesù quando lo risvegliò dalla morte).
Le due sorelle che lo accolgono si comportano nei suoi confronti in modo molto diverso: Marta si preoccupa di soddisfare i bisogni primari di  Gesù ed è indaffarata a preparare cibo e ambiente accogliente, Maria, invece, si siede ai piedi del Signore per ascoltare la Sua Parola. Il comportamento di Maria spinge Marta a lamentarsi confidenzialmente con Gesù, affinché Egli, con la Sua autorità di Maestro, mandi Maria ad aiutarla.
Ed ecco la reazione inaspettata di Gesù: Egli bonariamente la rimprovera per il suo affannarsi e apprezza invece il comportamento di Maria che “si è scelta la parte migliore”. Maria secondo la mentalità di quel tempo stava comportandosi in modo inadeguato perché l’istruzione era un’attività riservata principalmente agli uomini, ma ha il nullaosta del Maestro, che, per primo nella storia umana, ha equiparato maschi e femmine nel campo dei diritti e dei doveri. Questi pochi versetti evangelici ci devono far riflettere sul nostro modo di rapportarci con le persone che ci stanno attorno. Non dobbiamo dare agli altri quello che noi riteniamo importante, ma cercare di capire con attenzione quello di cui gli altri hanno bisogno. Spesso ci fermiamo a dare cose materiali perché è più semplice, meno coinvolgente.
Ma, come ci ha detto Papa Francesco, non è vera Carità dare una moneta al povero, evitando accuratamente di toccare la sua mano …Maria è considerata da Gesù il modello del vero cristiano che si pone in ascolto attento, amoroso e assiduo della Parola: cerchiamo di imitarla, di trovare l’Essenziale per essere  veri Figli.

Domenica  24 Luglio 2016 - XVII T.O.   (Lc 11,1-13)
Il pregare non è un’azione semplice: richiede una fede forte, una grande umiltà e un totale abbandono in Dio.
L’evangelista Luca ci presenta la versione “ridotta” della preghiera del Padre nostro, rispetto a quella scritta da San Matteo. Tutte due le versioni concordano nel punto fondamentale che è la richiesta “venga il tuo Regno”, una realtà che è già presente in Gesù, ma che il Padre  realizzerà in modo perfetto. Con la preghiera insegnata oggi Gesù ci dona il privilegio di chiamare Dio “Abbà” che in aramaico è il termine usato in famiglia per chiamare il padre, potremmo tradurlo con “babbo” o “papà”. In questo modo il dialogo uomo-Dio si colloca su un piano confidenziale e i due interlocutori si sentono più vicini.    

La preghiera del cristiano deve essere essenziale:

-chiedere che Dio si faccia conoscere come  il Santo (cfr. Ez 36,23-28) e  che tutti gli uomini lo   riconoscano;

- chiedere “venga il tuo Regno”, una realtà che è già presente in Gesù, ma che il Padre  realizzerà in modo perfetto;

- chiedere che non  manchi il necessario per vivere ( il pane quotidiano, simbolo di tutto ciò che ci serve materialmente)    perché riconosciamo Dio come CREATORE;

-chiedere il perdono dei peccati perché riconosciamo Dio come SALVATORE;

-chiedere di non farci entrare nella tentazione perché riconosciamo Dio come SANTIFICATORE.

Domenica 31 Luglio 2016 - XVIII T.O.  (Lc 12, 13-21)
La vita dell’uomo ha un senso o non lo ha?
E’ la questione posta dal Vangelo proposto oggi dalla liturgia. Vengono presentati due brani che trattano scelte morali che l’uomo si trova a dover fare nel corso della sua vita.
Nel primo brano  viene presentata una lite tra due fratelli per un’eredità e uno di loro chiede a Gesù di risolvere il contenzioso. Ma Egli li ammonisce di non attaccarsi ai beni terreni, poiché la ricchezza materiale dà soltanto un’apparenza di sicurezza. L’altro brano è una parabola che ci fa conoscere un ricco agricoltore che è completamente assorbito dalla sua proficua attività. Il suo obiettivo nella vita è sistemarsi economicamente per poter vivere gli ultimi anni dell’esistenza riposando, mangiando, bevendo e divertendosi …Ma prima di raggiungere il suo scopo morirà: “questo succede a chi accumula tesori  per sé  e non si arricchisce presso Dio”.
Dio non maledice il ricco o la ricchezza, ma invita gli uomini a concepire e a vivere l’esistenza come elemosina (= Misericordia) e come dono di sé, condividendo i beni che abbiamo. La cultura dominante oggi si contrappone all’insegnamento di Gesù in ogni tipo di rapporto sia tra le persone sia tra i popoli. La tendenza è quella di ricercare la felicità in ciò che non è Dio  e che viene trasformato in Assoluto, in un idolo. Come afferma San Cipriano “Qualunque cosa preferisci a Dio diventa Dio per te”.



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