N° 5 - Maggio 2013
6 I PADRI DELLA CHIESA
di Ratti Antonio

 

 

 

Da non confondere con san Cirillo e il fratello Metodio, missionari tra le popolazioni slave. Cirillo è un alessandrino puro sangue che sa assorbire tutta la cultura cristiana e non della città e diventarne protagonista assoluto non solo del suo tempo. E’ santo, padre e dottore delle Chiese d’Oriente, d’Occidente e Copta. E’ il 14° papa della Chiesa copta egiziana. Personaggio di grande rilievo che non si risparmia nel diffondere e nel sostenere l’ortodossia così come affermata dai Concili, ma non ha remore a colpire chi ritiene avversario della fede in Cristo. Ne sanno qualcosa la numerosa comunità ebraica espulsa dalla città e i seguaci di posizioni eretiche come ariani, meleziani, novaziani. E’ necessario distinguere l’uomo decisamente sanguigno dal teologo e Padre della Chiesa. Sul piano umano è un tipo combattivo, tenace nel tenere le proprie idee fino alla violenza, mentre sul piano dottrinale, totalmente legato alla scuola platonico-alessandrina, quindi in competizione con la scuola antiochiena aristotelico-razionalista, ha una marcia in più: i risultati della sua azione dottrinale e i suoi scritti ne sono l’esempio. L’oggetto del contendere è sempre Cristo nella sua condizione di uomo-Dio. L’alessandrino Ario, di scuola antiochiena, sosteneva che, se Dio è l’ingenerato e l’increato, mentre Cristo è generato dal Padre (Credo di Nicea), ne consegue che i due non possono essere uguali nella sostanza, quindi Cristo è inferiore: la congiunzione delle due nature, umana e divina, è semplicemente spirituale e morale per esclusiva volontà di Dio-Padre. Da questa posizione concettuale, che scardina il principio trinitario, si evince con chiarezza come la ragione umana tenda sempre e comunque a volersi dare una spiegazione logica e razionale di ogni cosa, mentre i misteri trinitari e cristologici vanno affrontati come sosteneva Tertulliano:  “credo perché è assurdo.” Questi problemi teologici e le connesse dispute, che infuocati Concili hanno cercato di ricomporre, nascono da illustri figure legate culturalmente e per formazione al patriarcato di Antiochia e alla sua scuola teologica: Ario, Nestorio, Eutiche, Melezio sono capifila delle più insidiose eresie di quei tempi. In siffatto contesto pieno di contrasti, anche personali e non solo di pensiero, Cirillo è a suo agio sostenuto dal carattere focoso e dalla grande preparazione e intuizione teologiche. E’ uomo di azione, grande oratore e scrittore di enorme efficacia, capace di confutare con acutezza le tesi che non condivide. L’ultima parola è sempre la sua: basta leggere la cronaca del Concilio di Efeso (431) per rendersi conto che le decisioni finali sono le sue idee, difese con le buone maniere e non. Si può affermare che quello di Efeso sia il suo Concilio tanto è stato gestito e pilotato da Cirillo e dai suoi stretti collaboratori, sebbene a convocarlo sia stato l’imperatore Teodosio II, ariano. Ha anche l’accortezza, per dare al suo Concilio un vero carattere universale, di chiedere l’intervento del Vescovo di Roma o Patriarca d’Occidente, Celestino I, che invia alcune lettere di sostegno. E universale è considerato il Concilio di Efeso del 431 d.C. dalle Chiese conciliari d’Oriente e d’Occidente. Cirillo nasce a Teodosia d’Egitto nel 370 e muore ad Alessandria il 27 giugno del 444. La sua educazione e preparazione alla vita religiosa è all’ombra dello zio Teofilo, vescovo di Alessandria e suo predecessore. Alla morte dello zio, infatti, è eletto vescovo, malgrado l’opposizione di chi lo considera troppo violento ed autoritario, come del resto era stato lo zio, per esercitare il servizio episcopale con equilibrio e moderazione. In compenso era molto apprezzato da Pulcheria, sorella dell’imperatore Teodosio II a cui succederà. L’imperatore, poiché Nestorio, patriarca di Costantinopoli, e Cirillo non trovano una posizione comune in merito a Maria Madre di Dio o Madre di Cristo, nonostante entrambi avessero chiesto l’intervento del papa Celestino il quale riteneva le tesi di Cirillo più rispondenti all’ortodossia, indice il Concilio di Efeso, dove Cirillo, quale presidente dell’Assemblea, la fa da padrone e indirizza l’assise dalla parte voluta, non aspettando i legati pontifici, ostacolando i nestoriani che non possono esporre i propri argomenti e aggiungendo dodici anatemi alla lettera papale da consegnare a Nestorio, insieme alle decisioni conciliari. Il teologo domenicano Domenico Olmi nel suo “Consenso cristologico tra chiese calcidonensi e non calcidonensi” a proposito di detto Concilio, ci offre uno spaccato del carattere e dei comportamenti di Cirillo: « Con tali premesse, non c'è da meravigliarsi del modo in cui Cirillo fece valere il prestigio ed il potere di Alessandria nel corso della crisi nestoriana. Egli utilizzò mezzi di dubbia correttezza per ingraziare alla sua causa la corte imperiale; forzò le istruzioni ricevute dal papa Celestino, quando questi lo incaricò di curare l'esecuzione del sinodo romano del 430; non rispettò il mandato dell'imperatore, aprendo i lavori del concilio di Efeso senza attendere l'arrivo della delegazione papale e dei vescovi antiochieni; non cercò in alcun modo, nella sua posizione di presidente dell'assemblea sinodale, di porre le condizioni perché si arrivasse ad una discussione oggettiva, concreta e serena tra i rappresentanti delle due posizioni. » Sperando di semplificare nella chiarezza la disputa Nestorio-Cirillo, diciamo che Nestorio e la scuola antiochiena evidenziano l’umanità del Cristo e l’unione delle due nature, divina e umana, rimaste integre, in una sola persona fisica. Cirillo e la scuola alessandrina e romana danno la precedenza alla divinità di Cristo; infatti è il Verbo divino il vero motore in Cristo, nel quale si ha la perfetta unità del Verbo nella carne: l’uomo è il Verbo, ma il Verbo in quanto unito a un corpo; per cui, pur rimanendo le due nature distinte e non confuse, è sbagliato parlare di unione secondo sussistenza (enosis kat’hypostasin) o unione secondo natura, perché l’unione delle due nature è un’unione fisica e carnale (enosis physikee) e non morale o spirituale per volontà divina. Per spiegare l’unione delle due nature nell’unica persona di Cristo, Cirillo non accetta i termini antiochieni di coabitazione, congiunzione, relazione di avvicinamento e di contatto (synapheia) o di unione (hènosis), per evitare di pensare che Cristo sia un uomo che porta Dio, teoforo (theophoron anthropon). A conclusione del suo ragionamento, Cirillo dà la formula sintetica della sua cristologia: “ un’unica natura del Dio-Verbo incarnata.” Rifiuta con un serrato ragionamento la definizione nestoriana di Maria Madre di Cristo (Christotokos), perché equivarrebbe a sostenere che in Cristo vi è una sola natura: “Siccome la Vergine generò secondo la carne Dio unito personalmente alla carne, diciamo che Ella è Madre di Dio (Theotokos), non nel senso che la natura del Verbo prese dalla carne l’inizio della sua esistenza, ma nel senso che, avendo il Verbo assunto personalmente la natura umana, accettò di essere generato dal suo seno secondo la carne.” Le due nature sono in Cristo distinte (non confuse in una sola persona divina): per cui si possono sottolineare della persona divina di Cristo tutte le proprietà della natura umana e dire che Dio nasce, patisce e muore. Se si può dire che Dio nasce, allora Maria è Madre di Dio. La sua disputa contro Nestorio e la scuola di pensiero antiochiena gli vale il titolo di doctor incarnationis, perchè per sostenere le sue idee sviluppa la teoria dell’incarnazione che è ritenuta ancora valida dai teologi contemporanei. Conclusione: sull’uomo si possono avere delle riserve per i suoi modi e comportamenti, ma i tempi sono quelli che sono, mentre sul teologo non si possono segnalare debolezze, incertezze o posizioni al limite: in assoluto, è un grande della teologia cristologica.

 

 

 

 


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