N° 5 - Maggio 2013
I nostri poeti
  LA MIA PRIMA COMUNIONE
di Maria Giovanna Perroni Lorenzini


 
 
 

Un vestitino bianco

 

Pure, l’ebbi, quel giorno, il mio vestito

bianco, in organza, un poco troppo corto,

un veluccio di tulle, una borsina,.

con dentro la corona del rosario

e il libriccino delle devozioni,

le scarpe nuove; e poi ci fu il pranzetto

cui invitai le mie tre o quattro amiche;

e inoltre  confetti e regalucci.

Quel giorno era di pace, lo doveva.

Ma fu solo una tregua: ché in famiglia

la pace era fuggita già da tempo.

Per questa festa quante discussioni

e prima e dopo e sempre e ancora e ancora!

Pure, l’ebbi, quel giorno, il mio vestito.

 

 

 

 

I contrasti nella mia famiglia, riguardo al modo di comportarsi nei confronti dei gravi lutti che l’avevano colpita, non solo non cessarono, ma si fecero più acuti, quando si avvicinò per me il momento di fare la prima Comunione; che avrebbe dovuto essere un momento di concordia, di serenità e di pace. La mia partecipazione al sacramento, a motivo della duplice perdita, era già stata rinviata, per cui non era più possibile rimandarla ancora.

La famiglia era divisa: da una parte c’erano mia madre, nonna Iole e zio Mino, che intendevano non farmi pesare troppo la situazione ed offrirmi qualche piccolo festeggiamento, nonostante il dolore di quelle morti e le ristrettezze economiche piuttosto gravi. All’opposto, nonna Giselda, zia Elena e, influenzato da loro, anche mio padre, volevano che la cerimonia per me si svolgesse nella più disadorna austerità, al fine, dicevano, di continuare a osservare il lutto: nessun tipo di festeggiamento e nemmeno (e questa era la cosa che più offendeva la mia sensibilità di bambina) l’abito bianco. Si pretendeva addirittura che andassi all’altare insieme con gli adulti in un giorno qualunque, vestita comunemente. E così, senza che io ne fossi responsabile, per il solo fatto che esistevo e avevo le mie esigenze di vita, anche in quella occasione, come spesso altre volte, mi trovai al centro di discussioni che non finirono neanche in seguito, ma che, per un motivo o per l’altro, si protrassero per anni, facendomi sentire tutte le volte in qualche modo in colpa.

Allora, però, in tutto quel loro discutere, io capii solo che era in pericolo il mio abito bianco che tempo andavo sognando. Il resto, cioè il diverso modo di vedere le cose tra le due fazioni, i motivi profondi delle discordie che dividevano i miei famigliari, lo compresi a mano a mano che crescevo. Per il momento su tutto fu più forte il timore di non avere il mio vestito bianco. Sapevo, però, che mia madre in questa vicenda era mia forte alleata. La quale, infine, visto che non si veniva a nessun accordo, e che non c’era più neanche il tempo di far fare il vestito ad una sarta, prese la sua decisione: aveva ancora da parte un po’ d’oro di famiglia; lo vendette e così un bel giorno mi mise sulla corriera e mi condusse in città, a La Spezia, dove mi comprò un abito bianco, in organdis, già confezionato. Nell’acquistarlo, però, non si accorse che il capo era un po’ troppo corto, perché pensato per una bimba più giovane di almeno un anno; e di questa sua inavvertenza si crucciò poi per diverso tempo. Ma io di quell’abito, che avevo corso il pericolo di non avere, fui deliziata; e poi era corredato di un velo di tulle, di una borsina della stessa stoffa del vestito per tenervi dentro la coroncina del rosario e il libriccino delle devozioni. E inoltre ci fu l’acquisto di un paio di scarpe bianche. E la mamma non mi fece neanche mancare qualche immaginetta-ricordo in pergamena. Un lusso per quei tempi.

La mia felicità era al colmo. Anche perché errano incominciati ad arrivare i regalini degli amici: per lo più ricordini: immagini sacre in metallo dentro piccole edicole. Lo zio Mino, che da tempo era disoccupato e quindi impossibilitato a farmi il bel regalo che avrebbe voluto, mi donò, prendendola dalla biblioteca di famiglia, la Gerusalemme Liberata, di Torquato Tasso, un’edizione antica, rilegata in pelle e oro e illustrata. A me i regali piacquero tutti, anche la Gerusalemme, che sfogliavo e risfogliavo. Insomma ero nella più grande contentezza e non avevo la maturità per preoccuparmi del nervosismo che c’era intorno a me. Attendevo solo il momento di indossare il mio vestito. Ma, non sembri strano, trepidavo anche perché stavo per incontrare Gesù. Infatti ero stata brava a dottrina ed ero tutta compresa dell’importanza di quella giornata. Credo però che, se non avessi avuto il mio vestito, mi si sarebbe guastata anche quell’altra mia intima gioia. Ma fortunatamente non fui messa alla prova.

Finalmente il gran giorno arrivò. Ero felice. Mi sentivo carina, al centro dell’attenzione e importante. Quanto fu bella quella giornata lo si può constatare dal mio sorriso nelle due uniche foto che ho di quell’importante occasione: una bimba serena e fiduciosa, su cui invece, per mancanza di serenità nel cuore degli uomini, si stavano addensando, ma lei ne era ancora quasi del tutto ignara, grossi nembi crucciati e tempestosi.

 

                                  (dal libro La casa sepolta, ed. Albatros)

 

 
 

  MADONNA BIANCA
di Anna Maria De Ghisi


 
 
 

Tu sei , Madonna Bianca,

dove l’uomo si ferma

per ritrovare se stesso.

E’ un’anima, una voce,

un libero pianto

di chi vive

giorno per giorno

con gli occhi

 costretti alla terra,

e si rifugia

nel tuo cuore universo.

Ti chiede una traccia di sole

sulla strada buia e deserta,

un ponte sereno tra gli uragani,

la tua mano che indichi

al di sopra del dubbio,

al di là dell’odio,

un’esistenza

dove il pensiero ha bianche ali

e la vita è amore.

 

 Dal libro Fra incantevoli silenzi, ed. Giacchè

(17 agosto 1983)

 

 

 

  MADRE
di Roberto Bologna


 
 
 

 

Quella donna

spettinata,

che si fa bella per uscire,

e rientra stanca.

 

Quella donna

esile,

che impreca il giorno

affinché venga la notte.

 

Quella donna

Insultata dal tempo,

che ricorda la sua estate

con una lacrima.

 

Quella donna

col mal di testa,

che dice: “Basta!”,

ma continua.

 

Quella donna

 col grembiule,

che piange

sulla tavola da pulire.

 

Quella donna che dorme poco.

Quella donna è mia madre!

 

                                               (Marzo 1985)
 
 

  RANCATA
di Mario Orlandi


 
 
 

 

‘l mei gh’er semp’r Rancata:

spada bianca e lucida,

schicià come quela vera,

‘l man’go con la guscia ricamà,

drita come ‘n fuso,

senza nodi e v’natura colorà.

La soa gh’er n’arte:

cortel’o picolo, ma afilà

pront a scorzar la verza d’castagno

ch’a ‘ndev’n a tagh’are

‘n ‘ quel d’Angh’olin o d’ Boran:

non trop grosa p’r non p’sare,

non trop picola p’r non piegarse a s’care…

Quand tuti er’n pronti, s’ cominzeve:

do corpi con la spada ‘n tera,

po’ la bugata al menico

senza tropa forza p’r non far mal davero.

Luciano i vincev sempre

P’r la sveltezza che dop i corpi

i fev l’alungo al peto.

Però quand p’r pogo Ragna

i gh’arm’tev n’och’o

‘nfilzà dalla spada d’ Rancata,

an smiso d’ far la spadata

p’r lavorar i baston ricamà

come quei d’ signori d’ cità

quand ‘ van ai giardin.

 

 

 

                      RANCATA- Il migliore era sempre Rancata (Luciano Verdina): spada bianca e lucida, schiacciata come quella vera, il manico (l’elsa) col guscio ricamato, dritta come un fuso, senza nodi o venature colorate. La sua era un’arte: coltello piccolo ma affilato pronto a sgusciare i polloni di castagno che andavamo a tagliare nel bosco d’Angiolino (Da Milano) o di Boran (Ovidio Barbieri): non troppo grosso per non pesare, non troppo piccolo per non piegarsi nel seccare… Quando tutti eravamo pronti, si cominciava: due colpi con la spada e uno in terra, poi l’affondo al nemico senza troppa forza per non far male davvero. Luciano vinceva sempre per la sveltezza con cui dopo i colpi faceva l’allungo al petto. Però quando per poco Ragna (Carlo Lorenzini) ci rimetteva un occhio infilzato dalla spada di Rancata, abbiamo smesso di fare le spadate per lavorare i bastoni ricamati come quelli dei signori di città quando vanno ai giardini.
 
 
 

  UNA LACRIMA
di Ugo Ventura


 
 
 

 

L’ombra del sogno

e l’ombra delle cose

mi riportano alla mente

nostalgici ricordi.

Da essi io fuggirò

verso il volontario esilio

ed il brusio dei venti

cancellerà ogni cosa.

Son certo che una lacrima

segnerà il mio viso

e le rughe sempre

più profonde,

ma poco importa

se quella lacrima

conserverà il presente,

cancellerà il passato

e spianerà la strada

al mio futuro.

 

                                   

 

  GLI ANGELI
di Bimbo della IV classe, Primaria Isola


 
 
 

 

Gli Angeli, liberi nel cielo.

Volano nel cielo azzurro,

volteggiando tra le nuvole leggere,

sono agili e colorati

di pittura alcuni macchiati.

Nel cielo loro sono liberi

e senza timore

di cadere sul terreno.

Veloci come schegge

attraversano paesi e città

portando a tutti  immensa felicità.

 
 

  BUON GIORNO, SOLE
di Adriana Polli Luciani


 
 
 


Buon giorno, sole!

Sei bello quando

i svegli al mattino

forse perché il tuo arrivo

fuga l’ombra della notte.

 

Buon giorno, sole!

Luce della luce,

fonte di calore

che doni alla vita.

 

Buon giorno, sole!

Scherzoso sei quando

sui prati ti sdrai

e coi fiori giochi

e con l’erbe.

 

Tutto rinasce ai tuoi raggi

e per i doni che porti

festosi diciamo:

buon giorno, sole!

 

                               

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