N° 4 - Aprile 2012
Archimede: un caro ricordo e un po’ della sua storia
di Romano Parodi

 

 

 

            Biondo era, e bello, e di gentile aspetto. Da sempre ha fatto parte della mia vita. Per farlo mangiare, sua zia ed io escogitavamo mille sotterfugi.

Ancora giovanetto l'ho portato nel mio stabilimento, assunto da una ditta. Poi, passato in pianta stabile con l’OTO Melara, andò a lavorare alle frese. Era bravo e così, quando installarono la "Grande Skoda", come operatore, scelsero lui. Aveva il “bernoccolo” delle macchine elettroniche.

La Skoda era una macchina enorme, per il basamento scavarono una voragine di 20 metri riempita poi di cemento armato (per le vibrazioni). Si parlava del costo di una montagna di soldi. Vi entrava un carro armato Leopard, grezzo da fusione. Aveva una consolle enorme, come quella di un transatlantico e lui ne era il "comandante". Manovrava decine di utensili contemporaneamente e singolarmente.

Ogni anno un avanzamento di categoria; nessuno ha mai fatto una carriera così rapida in così poco tempo. Era anche un lavoro faticoso: bisognava salire e scendere per scalette ripide, entrare in pertugi angusti per controllare, sistemare mandrini, frese, alesatori, punte, maschi, ecc.

Un bel giorno cominciò a dolergli la schiena. "Cosa sarà mai?, gli dicevo, una semplice ernia, mi sono operato anch’io". E così fu. Lo operarono a Genova e rientrò al lavoro pieno di fiducia; ma i dolori continuarono. Fu giocoforza arrendersi.

Nel frattempo al reparto collaudi arriva una nuova macchina: la DEA. Mandano lui in qualità di operatore. Anche qui ha un computer e una consolle, ma può lavorare in piano, anche da seduto. Purtroppo ancora qualcosa non va: un giorno cade a terra, all'improvviso. Si riprende subito ma inizia una dolorosa trafila da uno studio medico all’altro, finché da Milano arriva la terribile conferma ai tanti dubbi già esistenti: Sclerosi Laterale Amiotrofica.

Non sapevo esistesse una malattia con quel nome, ma lui, attraverso internet, sapeva già tutto, fin nei minimi particolari. "Se penso a quello che mi aspetta, dovrei buttarmi giù dalla finestra", disse in un momento di sconforto.

All’apparenza, seppe affrontare la malattia, con una certa spavalderia. Lavorò fino all'ultimo, senza volersi mai arrendere; ma la sua vita attiva ebbe termine: prima il bastone, poi la sedia a rotelle, poi a letto immobile e senza voce, comunicava solo con gli occhi. Gli rimaneva il computer che, anche se con una certa difficoltà, riusciva a manovrare. Comunicava con i malati come lui, attento all’ultima speranza: qualche nuova cura. Scrisse anche al presidente della repubblica Ciampi che gli rispose.

Sempre al computer leggeva un'infinità di libri (La Divina Commedia, La Bibbia ed altri testi impegnativi).  

Ma un giorno anche quei pochi movimenti delle dita lo tradirono. Allora dall'Oto Melara gli arrivò un computer speciale che si adoperava con il movimento degli occhi e con il quale ci parlava quando andavamo a trovarlo. Eravamo ancora sulle scale che ci giungeva una voce metallica: ciao zio. Poi, piano piano, anche gli occhi lo tradirono. Negli ultimi due anni gli restarono solo il cervello per ragionare e capire e le lacrime.

Ciao Dede, a Deus: dalle amorevoli braccia dei tuoi angeli terreni, a quelle altrettanto care di chi ti ha preceduto.  

 

Lo zio Romano.

 

 

 


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