N° 4 - Aprile 2012
Spiritualità
  22 SEGNI E SIMBOLI CRISTIANI
di Ratti Antonio


 
 
 

22 SEGNI E SIMBOLI CRISTIANI   

 

CANTO.
 Nella liturgia il canto esprime la gioia di stare insieme nel nome di Cristo a celebrare i suoi misteri.

Il canto non vuole essere, pertanto, un’esibizione nè un abbellimento esteriore del rito, bensì preghiera, vera lode a Dio, espressione dell’animo riconoscente per i doni ricevuti. Sant’Agostino sintetizza così il concetto “Il cantare è proprio di chi ama” e fin dai primi secoli del cristianesimo si è formato il detto “Chi canta bene, prega due volte”.

Già in epoca antica (Vecchio Testamento) gli ebrei, accompagnati da rudimentali strumenti a corde, elevavano le loro lodi a Dio; i Salmi ne sono l’espressione più evidente: “Cantate al Signore un canto nuovo, suonate la cetra con arte e acclamate” (Sal 33,3).

Siate ricolmi dello Spirito, intrattenendovi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo” (Ef  5,18-20). Con queste parole Paolo invita le prime comunità ad esprimere attraverso il canto la propria fede in Cristo Gesù, perché il canto corale aiuta a partecipare attivamente alla celebrazione, che, come obiettivo, ha il dialogo tra lo spirito dell’uomo e Dio: in sostanza, è la Chiesa di Dio che manifesta al Padre la sua piena adesione all’alleanza eterna che si è instaurata attraverso il Figlio Gesù.

Il canto deve essere partecipato da tutta l’assemblea, quindi, il coro deve agire da guida e sostegno al canto. “Non c’è niente di più solenne e festoso nelle sacre celebrazioni di un’assemblea che, tutta, esprime con il canto la sua pietà e la sua fede. Pertanto si promuova con ogni cura la partecipazione attiva di tutto il popolo che si manifesta con il canto” (Musicam sacram 5).

 

CANTO GREGORIANO.

Il canto ufficiale della Chiesa latina, perché riconosciuto come proprio della liturgia romana, è il canto gregoriano, che prende il nome da papa Gregorio magno (540 – 604). E’ un canto monodico * in uso già dal VI secolo.

Dopo un periodo di coesistenza con altri canti (mozarabico, gallicano, ambrosiano) quello romano ebbe il sopravvento provocandone la scomparsa (ad eccezione di quello ambrosiano), assumendo il nome di gregoriano in base alla tradizione che attribuiva  a papa Gregorio I magno la sistemazione organica e l’ordinamento dei canti in un Antiphoniarum e la fondazione in Roma della prima Schola cantorum.

La formazione del repertorio del gregoriano può considerarsi conclusa quando, a partire dal IX sec., ebbe inizio la sua fissazione per iscritto.

                        *monodia: melodia cantata da una o più persone a una voce.

 

SCAMBIO della PACE. 

Se il fondamento della fede cristiana è l’amore, lo scambio di un segno di pace ne è la logica conseguenza.

E dove scambiarlo anche formalmente, se non nel rito più qualificante qual’è la celebrazione eucaristica?

Infatti, all’interno della Messa di rito romano è posto prima della comunione a significare che il Corpo di Cristo è possibile accoglierlo solo quando si è pienamente riconciliati con i fratelli, insieme ai quali si costituisce il Corpo Mistico, ovvero, la Chiesa.

Nel rito ambrosiano il segno di pace precede l’offertorio a sottolineare, anche in questo caso,  che si può partecipare a pieno titolo alla consacrazione eucaristica soltanto se riconciliati  con Gesù e i fratelli. “La Chiesa implora la pace e l’unità per se stessa e per l’intera famiglia umana e i fedeli esprimono la comunione ecclesiale e l’amore vicendevole, prima di comunicare al sacramento” (OGMR, Ordinamento generale del Messale Romano). Questo semplice gesto evidenzia come i cristiani siano una comunità impegnata a vivere in pace e ad operare affinchè questa aspirazione sia vincente. Il sacerdote introduce il gesto della pace con le parole di Gesù “Vi lascio la pace, vi do la mia pace” (Gv 14,27) a testimoniare che essa è un dono di Gesù, che non possiamo non accogliere ed estendere fin dove è possibile. E’ un gesto che, per non restare pura esteriorità, ma acquistare valore e significato, deve avere un riscontro interiore vivo, vero ed efficace. “Spiritualità della comunione è saper fare spazio al fratello, portando i pesi gli uni degli altri e respingendo le tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano e generano competizione, carrierismo, diffidenza, gelosie. Non facciamoci illusioni: senza questo cammino spirituale, a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione” (NMI 43, Novo millenio ineunte).  

Ciascuno nel proprio ambiente deve sentirsi ed essere operatore di pace: nella pace e con la pace è possibile la vera comunione tra gli uomini e tra i popoli nel nome di Colui che dice “Non come la dà il mondo, io la do a voi” (Gv 14, 27). Solo con il cuore in pace e riconciliato, con Dio e con i fratelli, è possibile accostarsi all’Eucarestia che mette in comunicazione con la fonte e il datore della comunione: Gesù.

L’Eucarestia è per sua natura il sacramento della pace e dell’unione fraterna. In un mondo dove i conflitti sono drammaticamente presenti ovunque - persino all’interno della famiglia, dove neppure i legami di sangue e affettivi tengono lontane le contrapposizioni e le violenze - il gesto di pace acquista grande rilevanza a dimostrazione che la Chiesa si fa carico di implorare dal Signore Gesù il dono della pace e della fratellanza tra le persone e le Nazioni.

 

 
 

  Conoscere, amare, vivere e comunicare la Parola
di Giuliana Rossini


 
 


            Sto sfogliando un libricino della mia nipotina di tre anni e mezzo: “La giornata dei piccoli”. Con belle immagini e parole adatte all’età se ne scandiscono i vari momenti: il risveglio, la toilette, la colazione, gli indumenti da indossare, la scuola…, infine la sera col bagnetto, la cena, i cartoni in TV, poi la nanna con la favola raccontata da mamma o papà. Tutto ineccepibile, però… però non una parola di ringraziamento al Padre celeste per tutti i doni da Lui ricevuti.

            Ma cosa mi salta in mente? La “Cultura”, quella “vera” con “la C maiuscola” è laica, che diamine! Ma che pretese!

            E così i nostri bambini (non tutti certamente, ma parecchi) crescono senza sviluppare la loro dimensione spirituale che permette di camminare guardando in alto. Hanno tutto, ma manca loro il più: la consapevolezza di un unico Padre per tutti, misericordioso, sempre pronto ad accoglierli a braccia aperte. Crescono e non conoscono Gesù se non vagamente e non conoscono il Vangelo, la Sua Parola che è Egli stesso, essendo Lui Verbo incarnato.

            Eppure in nessun altro libro possono incontrare parole di vita eterna, di verità, di salvezza come nel Vangelo e di amare, essendo proprio questo il suo messaggio centrale. “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi così amatevi anche voi gli uni gli altri (Gv. 13,34). Ogni frase del Vangelo è amore ed è per questo che il mondo ne ha estremamente bisogno. Certo non è sufficiente conoscerlo e amarlo, bisogna soprattutto viverlo e, ma soltanto dopo, testimoniarlo. Infatti “Non colui che dice ‘Signore, Signore’, entrerà nel Regno dei Cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio…(Mt. 7,21).

            Il Vangelo interpella per primi noi cristiani: quanto viviamo la Parola? Quanto mettiamo in pratica ciò che ci suggerisce? Quante volte abbiamo ascoltato Gesù che dice: “Amerai il prossimo tuo come te stesso”? (Mt. 22,39). Ma lo facciamo veramente?

Se dico di amare (cioè ascoltare, condividere, aiutare, dare, perdonare, usare misericordia, benedire, incoraggiare, accogliere, lodare, sorridere, ridere insieme…) il prossimo come me stesso, perché resto indifferente quando ha fame, non ha di che vestirsi, dove dormire? Di più: il mio amore deve essere concreto, devo vedere Gesù nell’altro, in ogni momento della mia vita, proprio in chi mi sta accanto.

            Vivendo il Vangelo in questo modo si innesca una vera e propria rivoluzione, cambiano tutti i rapporti, si crea un mondo nuovo: una nuova famiglia, una nuova società, una nuova cultura, un nuovo mondo del lavoro… Tutto questo avviene veramente, perché il Vangelo è vero e realizza ciò che promette; occorre però avere lo sguardo fisso “alle cose di lassù”.

            “Chiedete al Padre mio, nel mio nome…”. Cosa di meglio si può proporre ai giovani che, a differenza di quanto si crede, sono disposti a mettersi in gioco per un ideale vero, che non deluda, cui dedicare la propria vita?

            In questo periodo di Quaresima mi sforzo di vivere questa frase, più volte ripetuta nella liturgia quaresimale: “Convertitevi e credete al Vangelo” (Mc. 1,15.) In realtà mi sembra di comprenderla soltanto adesso. Quante volte l’ho ascoltata senza capirla: di quale conversione avevo bisogno se già credevo al Vangelo? La conversione di cui parla Gesù è il capovolgimento completo, a 180 gradi, di sé, che avviene dentro ciascuno di noi se veramente crediamo al Vangelo, cioè se ci impegniamo a viverlo in ogni attimo della giornata. Qualcuno mi dice una parola che mi offende? Mi “converto”, cioè capovolgo il mio modo di reagire: invece di rispondere seccamente mi sforzo di perdonare.

Sto facendo la doccia e mi manca improvvisamente l’acqua? Invece di gridare imperiosamente “acquaaa!, mi “converto” e aspetto pazientemente che torni.

Un fatto imprevisto manda all’aria il programma della giornata? Mi “converto” e mi sforzo di accettare quella particolare volontà di Dio…

            Si tratta di poca cosa, lo so, ma fa la differenza. Questa conversione non è facile, richiede un impegno costante, ma non è impossibile perché, con l’aiuto dell’Onnipotente, nulla è impossibile.

Occorre affidarsi a Gesù Risorto che ha vinto ogni ostacolo.

            E’ soltanto con l’amore reciproco che si ottiene la vera gioia e la vera pace, perché siamo nati per amare ed essere amati. Creando rapporti di fraternità si smorzano le conflittualità, le tensioni e le ansie dei nostri tempi e, anche se dobbiamo continuare a lottare contro le difficoltà, i dolori, le sconfitte di tutti i giorni, possiamo creare il Paradiso su questa terra: anticipo di quello celeste.

            Buona Pasqua a tutti!

                                                              

 

 

  PASQUA DI RESURREZIONE
di Marisa Lisia


 
 

            Gesù di Nazareth, nome amato dai suoi figli prediletti. O Signore, stringi la tua mano nella nostra mano, affinché non ci perdiamo nel tortuoso cammino della vita. Ispiraci soavi pensieri così che possiamo sentirti in questo nostro insaziabile cuore che anela solo a Te. Non odi anche Tu, dolce Signore, le campane a festa che annunciano la tua Resurrezione? E non senti una mano d’angelo che solleva il Tuo sudario?

Irrompi dalla tomba, Signore del mondo, per la resurrezione dei tuoi eletti e di molti. E’ di nuovo primavera, tutta la terra è in festa, un tiepido sole compiacente la riscalda. Il freddo sembra proprio scomparso, gli uccellini cinguettano felici come a comunicarci messaggi a noi ignoti.

Ritorna, Signore, fra noi per donarci amore, pace e gioia vera e anche perdono. Gesù, ritorna e porta anche poesia quaggiù sulla nostra terra: è un invincibile anelito il nostro…ed un formale invito. In Te confidiamo, in Te speriamo, Te amiamo.

Esultiamo tutti insieme: è la ricorrenza della Santa Pasqua del Signore! Alleluia, alleluia!

 

                                                                                 
 

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