N° 3 - Marzo 2016
I nostri poeti
  Pastore errante
di Ugo Ventura



 

Oh fiero, incomparabile pastore

che mesto vaghi per la solatia terra;

con la bufera, il vento ed il calore,

l’alma serena che il forte cuore serra.

Ti segue il cane triste e pensieroso

per la montagna spoglia e desolata

e guardi quel tuo gregge numeroso

che vive come te, alla giornata.

Eppure pensi a luoghi e cose care,

alla città, al dolce tuo paesello;

col capo chino dinanzi al focolare

rimembri quel passato tanto bello.

Una campana s’ode all’altopiano,

frammista col belare del tuo gregge;

t’ammira con rispetto da cristiano

chi scrive questi versi…e chi li legge!

 



  Realtà
di Paola Cossu



 

Nuvole bianche in cielo,

ovattano la mia mente

di magici momenti, di stelle filanti,

di lecca lecca:

colorati sogni

d’una infanzia lontana.

Nuvole bianche,

in alto galoppano

in immaginarie praterie,

come l’amato cavallo a dondolo

correva nel vento.

Nuvole bianche in cielo

ora vi vedo intrise di realtà;

ammasso di gocce

pesanti cadrete,

e a terra con voi

piangerà

la mia nuda anima.

 


  Scolpire l’angelo
di M.G. Perroni Lorenzini



E’ un blocco informe, grezzo, senza vita;

ma, lentamente, io lo scolpirò:

a forza asporterò grevi macigni

di stolide, coscienti crudeltà;

e pioveranno in schegge, a mille a mille,

laceranti ironie, cupi sarcasmi;

poi rimarran da togliere

infinite, porose pomici:

noie, egoismi, superficialità.

Ma già riesco a intravedere l’angelo,

ieratico, fiammee le ali,

che regge un cero,

che diviene un cero.

E scolpirò quest’angelo ch’è un cero.

E se, giunta alla fine del lavoro,

la pasta, arida e dura,

non saprà far che arda lo stoppino,

lo ungerò con l’olio della fede.

E finalmente, l’angelo,

ch’è un cero,

potrà poi sempre ardere, per Te.

 


(da ‘La preghiera di un poeta’)



  Silenzio-armonia della sera
di Padre Alberto Beggi O.P.



 

I fili d’erba

lucidi di guazza

muovono come l’impasto

nei chiaroscuri

delle architetture lunari.

Della stessa luce a gomito dello stipite

conversazione interiore mi riposa

frugando dentro le cose e

al di sopra di esse.

Dalla quieta cenere

favilla l’ascolto e il silenzio,

riserbo

per essere - essere sempre,

nella vigna della creazione,

grappolo che

stacco alla vita eterna.

 

                                 

  Solitudine
di Marco Foce (10.01.-1984)



Era una limpida giornata d’inverno,

l’aria soleggiata era mossa

da sporadiche folate di vento.

Seduto al balcone ti guardavo…

e riuscivo a sentire

il tuo agrodolce profumo

che riempiva il luminoso paesaggio.
Sono passati alcuni anni,

torno sempre a quel balcone,

ma quel che vedo

non è più lo stesso.

Ora tu non fai più parte

di quel paesaggio;

ora chiudo tutto dentro me;

sono solo e, da solo,

ricomincerò a vivere…

con la mia solitudine.

                              


  Ultime visioni
di Silvano Puglia



Quando il tempo dipingerà

di rughe il mio viso,

intingerà di neve i capelli,

e la mente che sfugge alla ragione,

e le membra stanche da lavoro

faranno di me figura di vecchio,

vorrei, come eremita, volgere altrove

il mio ultimo destino.

Lasciare a chi vicino ho vissuto

l’immagine d’un uomo vigoroso

come ritratto che orna la parete.

Ed emigrare non lungi dalla mia terra,

ma lassù, dove possa abbracciarla

con lo sguardo dal sommo d’un monte.

Per poter beatificarmi lo spirto e la mente

d’immagini e ricordi a me cari.

Così, seduto a meditar sul mio tempo

passato, vedere al piano verdi prati

punteggiati dal rosso della lupinella,

campi ilari di peschi in fiore

che schiariscono le rilucenti zolle

appena divelte.

Udir belato di giovine agnello

sacrificato, poi, alla precoce Pasqua;

sentire il muggito della bigia

mentre è munta;

il batter di lama per falciar

l’ancor tenera erba;

il chiocciar che par appello,

risate di bimbi, abbaiar di cani,

cigolio di carri.

Veder aie piene di vita,

donne chine sul rivo a sciacquar panni,

fumo di fascine che bruciano.

Mentre nell’aria soave di primavera

si diffonde la mescolanza dei fiori;

l’odor dei pani che la massaia sforna;

l’olezzare del fieno, della menta,

dei pini, delle ginestre in fiore.

E allora sentire un vigore di gioventù

che si diffonde nel sangue:

l’anima si commuove e l’impronta

della vecchia età svanisce.

Ed invoglia il cuore a maneggiar

le briglie della giovenca

che traina l’aratro di legno.

Ma in quel momento non resta

che stringere i pugni fino a dolerne;

alzare gli occhi al cielo per vedere

nel tramonto, dopo il temporale,

l’iride dell’arcobaleno

che ha fermato nell’occhio

l’ultimo raggio di sole.

E mentre la notte cala a ghermir il cuore

nei suoi ultimi ricordi,

con le lacrime che offuscano le pupille,

reclinare lentamente il capo a terra

fino a sentir salire alle nari

l’odor di muschio,

mentre alla mente giunge

affievolito fino a spegnersi,

dal lontano campanile

il suono dell’Ave Maria.



  L’arte di consolare
di Marisa Lisia



 

Tendere una mano amica

alla povera gente

è pura conquista

che commuove il Cielo

e consuma il dolore.

Asciugare lacrime amare

produce dolcezza e rassegnazione.

Chiede clemenza l’amico sincero

per poi consolare,

così come una succinta veste

non sempre rivela

realtà future;

così la realtà non è

sempre incombente:

teme il futuro.

Una dolce campana a festa

chiama i fedeli a una pia preghiera

mentre i cuori chiedono candore!

 

                                          

  I mesi dell’anno (antica filastrocca toscana)
di Sconosciuto



 

Io son Gennaio e nel canto del fuoco meno il mio tempo in favole e gioco;

sono dei dodici il miglior mese, onoro i Magi, Antonio ed Agnese.

 

Febbraio son che fa crescere il grano sotto la neve sul monte e nel piano;

tremi a San Biagio e alla Candelora, ma Carnevale ti allegra e ristora.

 

Io sono Marzo che poto il vigneto, torno col sol perché ognun sia lieto;

porto Annunziata e Giuseppe vecchietto, l’Angiol Gabriele con San Benedetto.

 

Io sono Aprile che faccio dormire, cantar gli uccelli e le rose fiorire;

porto le Palme e la Crocifissione, Sabato Santo e Resurrezione.

 

Son io quel Maggio che ama i piaceri, corro alla caccia con cani e sparvieri;

copro di fiori la macchia e il verziere, canto alla Vergine, Rita e Michele.

 

Io sono Giugno che il grano matura, porto cicale e la grande calura;

con Pietro e Paolo, Giovanni e San Vito, cantan le botti ché il vino è finito.

 

Sono io Luglio che il gran batto al caldo e bevo vino per batter più saldo;

meno il Leone ruggente nel cielo, Sant’Anna canto e Maria del Carmelo.

 

Io sono Agosto che acconcio la botte: bagno le nuove e riparo le rotte;

fuggi l’arsura all’ombra e col vino; va in ciel Maria con Rocco e Agostino.

 

Sono Settembre che d’uva empio il tino, empio la botte e ne faccio buon vino;

vanno le rondini, cadon le mele, nasce la Vergine e in gloria è Michele.

 

Io sono Ottobre e ti giova sudare, arando nei campi per poi seminare;

soffia il rovaio e canta la Chiesa: Santo Francesco, San Luca e Teresa.

 

Io son Novembre che spillo la botte e bevo vino con noci e ballotte;

la neve ai monti, la brina agli orti, onoro i Santi, Martino e i Morti.

 

Io son Dicembre che salo il porcello e chiudo l’anno che sia brutto o bello;

viene la neve, viene Lucia, viene Natale e così sia.



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