N° 10 - Novembre 2015
Storie dei lettori
  “Il Sentiero” a Luni Mare
di Paola G. Vitale


“Il Sentiero” a Luni Mare

 

Ieri, lunedì 31 agosto, andando verso il luogo di culto, ho scorto una borsina appesa alla porta della chiesa ed ho provato gioia. Ho pensato a Walter che, di solito, viene a distribuire il ‘prezioso giornaletto’ che ci tiene uniti e ci fa conoscere (a noi stranieri o giovani) la bella tradizione di fede radicata su questa sovrastante collina, dietro la quale si ergono le ultime due cime delle Apuane. Ecco, tiro il fiato e aggiungo che ho già letto la pagina di apertura, il ‘diario’ di Walter, il profondo pensiero di Stefania, il graditissimo resoconto di Enzo a proposito dei 102 anni di don Giovanni Dalla Mora, che anch’io ricordo con affetto, dacché ne risento la voce forte e serena…
Che dirvi? Grazie di esserci e di farci partecipare alla vostra presenza di “pochi ma buoni”, come diceva spesso lo stimato e indimenticato prof. Giuseppe Franciosi.
 Qui, vedo uno stuolo di belle automobili dei tanti turisti. Incontro qualche papà con il bebè nel passeggino; qualche mamma in bici con dietro il figlioletto; qualche famiglia che procede in bici verso il mare… La Messa feriale è quasi ’privata’, data la scarsa presenza, come pure la preghiera in comune, ma tiriamo avanti e aspettiamo la presenza dei nostri ragazzi, la cui vista rallegra e conforta, pensando ad un futuro di fede in questo mondo sconvolto.        Ora vi saluto e vi ringrazio con affetto.

            Una lettrice assidua

 

 

 

“Lasciate che i bambini vengano a me”

 

            “Se non vi farete come bambini, non entrerete nel Regno dei Cieli”; e ancora, alla domanda: “Chi è più grande nel Regno dei Cieli?”, Gesù pone al centro un bambino, dicendo chiaramente che è lui il più grande.
Mi è venuto questo pensiero perché al mattino, andando ad aprire il nostro luogo di culto, ove è custodito Gesù Eucaristia, incontro tanti, tanti piccoli per mano alla mamma, talvolta al papà o ai nonni, diretti al vasto, riordinato asilo, qua a Luni Mare. E’ un vocìo gioioso, unito alle chiacchiere delle mamme; e poi è un bel movimento di automobili che sostano ovunque c’è posto, intorno alla scuola. C’è anche chi giunge a piedi, dalle case vicine, con il bimbo per mano e anche un altro nel passeggino. Mi viene spontaneo pensare al Bambino Gesù nato a Betlemme, cresciuto con Giuseppe e Maria: tuttavia non so proprio se viene fatto conoscere e festeggiare. Il nostro parroco, don Carlo, qualche volta porta o torna a riprendere un suo nipotino presso l’asilo; allora penso che sia presente un posticino per Gesù, oltre le festicciole organizzate per i bambini, con maestre e genitori.
Certamente è coraggio parlare di un Bambino Dio, nato per noi. In seguito si dovrà parlare di quando, giovane e forte, ha operato miracoli tra la sua gente, mostrando la sua divinità.
Infine si presenterà la sua dolorosa passione e morte sulla croce a cui il comando romano lo ha destinato, causato anche dal rifiuto del popolo di liberarlo.
Gesù è risorto! Gesù è il Risorto, e i suoi insegnamenti, se seguiti, ci porteranno alla vita senza fine che Dio Creatore ha preparato. Ma come è difficile questo cammino! Molti di noi lo sanno bene!

 

                                                                                                         

  La fede del missionario
di Marta



            Rientrato in Italia da uno dei suoi innumerevoli viaggi in varie terre del mondo, chiesi a padre Alarico quale fosse il motivo che lo spingeva a fare una vita di sacrifici, a volte al limite delle possibilità umane. “La fede, mi rispose; sì, la fede in Gesù Cristo”.
Al missionario chiesi allora se avesse avuto dei seri problemi con le popolazioni indigene che aveva visitato. Sembrò quasi divertito di quella mia domanda e mi spiegò che poneva grandi speranze in quelle tribù; per lui erano tutte persone gentili e cordiali e non sanguinose e brutali come alcuni volevano far credere, magari lo erano  state tanto tempo fa, ora erano facilmente convertibili agli insegnamenti di nostro Signore Gesù.
Poi la conversazione passò sulle diverse usanze delle tribù che aveva incontrato nei primi tempi del suo sacerdozio, durante i suoi viaggi in Brasile. Dal modo che mi guardò e sorrise, capii che avevo fatto la domanda giusta e per il successivo quarto d’ora mi spiegò il sistema destinato a divenire l’unità rurale del futuro. Mentre mi parlava capivo chiaramente che l’unità di quel tipo avrebbe costituito un veicolo perfetto per la propagazione della religione cristiana. Gli chiesi: “Dunque, questi indios sono pacifici?”. “In generale, sì, mi rispose, sono dei guerrieri e non si fidano tanto dell’uomo bianco e con quest’ultima tribù sono stato molto fortunato, perché prima di me c’era un’altra coppia di missionari; questi avevano imparato la loro lingua e tradotto il Nuovo Testamento. Mi hanno accettato bene perché sono anche medico; aiutavo le loro donne a partorire e a curare i bambini. Gli adulti sono ancora un po’ reticenti, ma qualcuno si sta avvicinando”.
“Certo, voi missionari andate orgogliosi del fatto di incontrare le popolazioni più sperdute del pianeta e insegnare loro i basilari principi religiosi e del vivere in comunità”. “Questo è il nostro spirito, ma badate che tante tribù non amano essere civilizzate; la nostra civiltà non fa per loro. Il passare del tempo della loro vita è solare: seguono le stagioni come un fiume che scorre lento, immutabile il suo percorso”. “Padre Alarico, tutto questo sembra magico!”. “In fondo la magìa cos’è? Non è altro che un prodotto di conoscenze che altri non hanno. Ricordo che in una tribù di guerriglieri nativi delle montagne del Perù avevano rapito due missionari di  un villaggio non lontano dal mio. Ma Dio li ha salvati: sono stati rilasciati incolumi quattro anni dopo e ora sono ancora in Brasile e la popolazione è contenta di loro. Hanno ancora tanti problemi con i corrieri della droga, ma nessuno si spinge fin nel cuore del Pantanal. In questo periodo siamo nella stagione delle piogge per cui gli spostamenti avvengono con le barche lungo i tanti fiumi che poi sfociano in Paraguay, ma bisogna fare molta attenzione per non perdersi nella vegetazione della foresta con tutte le sue insidie: caimani, serpenti, malattie varie, inondazioni…”.
“Padre Alarico, che il Signore sia sempre con te e ti protegga tutti i giorni della tua vita!”.

                                                                                             



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  Uscire-annunciare-abitare-trasfigurare
di Marino Bertocci



 

Il Vescovo è per definizione il primo catechista per la sua Diocesi, ed è per questo che, qualche sera or sono, ha tenuto, presso la chiesa di Caffaggiola, una seguitissima ed attenta catechesi sull'ormai prossimo convegno ecclesiale nazionale di Firenze.
Presentandoci il documento di impianto del convegno, ci ha invitati a leggere e meditare quelle sessantaquattro rapidissime pagine.
Tornato a casa ho  letto, e scaricato,  il documento dal web e l'ho riassunto in queste cento e una parole che propongo alla vostra pazienza.
Molti pensano che noi cristiani, in particolare noi cattolici, siamo fuori dalla storia e dal tempo, ma non è così, noi viviamo appieno il (e nel) nostro tempo, ed  è per  ciò che  non abbiamo paura ad uscire dal nostro ambito, per annunciare, nella gioia, la bellezza della nostra fede, intenzionati  ad abitare “questo” mondo nel  servizio, impegnati ad educare ed educarci per non appiattirci su modelli forse alla moda, ma che rischiano di svuotare il nostro essere uomini, per quindi  trasfigurare la nostra esistenza, perché da essa sia visibile ad ogni uomo il senso del divino che la riempie.



  La strega
di Romano Parodi



Visto che l’amico Romano ci ha detto che ha bisogno di un periodo di riposo (è un po’ scarico), abbiamo pensato di riproporre alcuni suoi racconti già pubblicati circa vent’anni fa. Per tanti dei nostri lettori sono senz’altro una novità, per altri saranno una riscoperta. LA REDAZIONE

 

            Dopo un mese e più d’ininterrotto fuoco lento, le castagne erano secche. Messe poi in un sacco lungo e stretto, due uomini, con movimento rotatorio, le ‘sbattevano’ su un grosso ceppo per liberarle dalla buccia; infine le donne, con la ‘soreta’, eliminavano le scorie. Erano abilissime; non una ne andava perduta. Ora, tre sacchi di ‘guscion’ facevano bella mostra dentro la cassapanca. Un’altra ‘infornata’ era pronta sulle canne. Altri grossi ciocchi accatastati contro la parete. Il fiasco era sul tavolo d’angolo. Le panche sistemate tutt’intorno. Un altro mese di ‘frole’ attendeva grandi e piccini nelle lunghe veglie invernali. Nella penombra del ‘caniccio’ quella sera di fine secolo si udiva solo la magica cadenzata voce del ‘arcontafrole’.
“Quando si sposarono, Beppe e la Cecca, erano felici, benvoluti e ammirati da tutti. La donna, però, aveva portato in dote un piccolo peccatuccio: la vanità. Sapeva d’essere la più bella e aveva per la propria persona un’attenzione quasi maniacale. Con l’intento di perfezionare l’opera di madre natura, stava ore e ore davanti allo specchio. Ciprie, creme, ceneri, concimi, acque marce, erbe, infusi organici naturali e animali…, sperimentava ogni cosa.
Avendo poi saputo che una vecchia megera, che abitava nel Noceto, preparava dei filtri, pozioni e pomate, non esitò ad interpellarla all’insaputa del marito.
“Domani ti preparo la ‘Crema di luna’ che farà diventare la tua pelle ancora più bella”, le disse la vecchia. Ed era vero:quando la Cecca si spalmava questa crema, la sua pelle diventava così splendente che la giovane, novello Narciso, s’adorava da sola.
Nel frattempo Cecca partorì un figlio che, disgrazia volle, morì nel periglioso travaglio.
Gli Ortonovesi, sempre vicini, li consolavano: “Siete giovani e belli, ne avrete degli altri”. Ma anche il secondo, poi il terzo e il quarto, tutti facevano la stessa triste fine. L’infelicità regnava ormai sovrana nel cuore di Beppe; la gente mormorava che fosse la Cecca a stringere le cosce e far morire i nascituri. La bellezza della donna pian piano cominciava a sfiorire; anche la crema miracolosa non faceva più effetto; dopo due ore dal trattamento la sua pelle prendeva un colore verde squamoso che la faceva vergognare perfino ad uscire di casa, obbligandola a continui ‘restauri’, ed anche i rapporti col marito si erano guastati.
Beppe, insospettito dalla sonnolenza che lo prendeva sempre dopo cena, si mise a spiarla e così una sera si accorse che la donna gli aveva messo qualcosa nel bicchiere. Finse di bere, ma quella notte dormì con un occhio solo. A mezzanotte in punto la moglie si alzò dal letto e uscì di casa. Lui la seguì di nascosto fino nel Noceto, dove ad attenderla c’era la vecchia megera che la denudò e iniziò a spalmarla con la “Crema di luna”. Ora, nella notte lunare, la Cecca risplendeva di una bellezza eterea, come una dea. Ma, mentre si compiaceva del suo corpo, una metamorfosi spaventosa ebbe luogo sotto gli occhi terrorizzati del marito nascosto: a poco a poco diventò un caprone; poi ne arrivarono altri e, sotto gli occhi disgustati dell’uomo, ebbe luogo un’orgia disgustosa.
Beppe rientrò a casa risoluto; aspettò seduto nel buio dell’entrata e, appena vide un’ombra insinuarsi furtivamente nella stanza, sprangò il portone e impugnò la ‘misericordia’ (frusta per torture)… Quel mattino urla e gemiti strazianti lacerarono il silenzio. La donna nuda si rotolava sul pavimento tentando vanamente di sfuggire ai colpi che le scorticavano la pelle. L’insolita sveglia, nel frattempo, aveva portato davanti al portone una moltitudine di gente spaventata e preoccupata per le urla che si udivano. Poi la porta si aprì e, mentre i paesani si precipitarono in soccorso della sventurata, Beppe afferrò un piccone, si diresse nel Noceto e demolì la casa di quella strega (ancora oggi si possono vedere i ruderi) che fuggì via per sempre.
Passarono gli anni, la Cecca guarì, ritornò l’amore, nacquero dei bei bambini e vissero felici e contenti”.

                                                                                                        


  Chiesa Cattolica e Chiesa Ortodossa
di Vincenzo Di Martino



Chiesa Cattolica e Chiesa Ortodossa

            Viviamo un momento della nostra società in cui tra i tanti fattori di crisi sembra riaffiorare, purtroppo in alcune zone della terra con inconsueta violenza e tragicità, una nuova guerra di religione ispirata dal fanatismo islamico. Non possiamo non condividere gli appelli di papa Francesco che invita sempre al dialogo, respingendo con decisione l’idea che una Fede religiosa possa portare a conflitti. Ma ritengo che, proprio nell’ambito di questa visione generale, s’imponga uno sforzo collettivo dei cristiani, dei credenti in Cristo, per superare le varie divisioni. Ne ebbi a parlare in margine alla ‘Settimana per l’Unità dei Cristiani’, e penso sia opportuno che ognuno di noi, nell’ambito dell’ecumenismo, sia pure sommariamente, prenda conoscenza di quel che sono le varie confessioni cristiane, diverse dalla cattolica, per valorizzare gli elementi comuni e cercare di superare le divergenze. Queste non sono solo dell’epoca moderna, ma risalgono ai primordi della cristianità.
Ne parlava già Paolo che esortava i cristiani di Corinto ad essere unanimi nel parlare “perché non vi siano divisioni tra voi”, perché Cristo è uno e uno solo è il più grande comandamento di Gesù: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la tua mente…, amerai il prossimo tuo come te stesso”; e ancora: “Questo è il mio comandamento, che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amato”.
Orbene, se questo è il grande comandamento di Gesù (che ci chiede di amarci senza distinzione alcuna) il primo amore che deve portare a superare le divisioni è quello verso chi ci è più vicino e cioè verso quelli che professano la fede in Cristo Gesù, Figlio di Dio: ortodossi e riformati. Conoscere ciò che ci unisce e ci divide è un fatto molto importante per trovare un punto d’incontro, quella unione che già Paolo predicava.
Comincerò a dire che la Chiesa Ortodossa è quella a noi più vicina e che in questo periodo di migrazioni dall’Est (polacchi, rumeni, ucraini, russi, ecc.) mi sembra acquisti particolare rilievo anche nel nostro territorio. La Chiesa Ortodossa è una comunione di Chiese cristiane nazionali quasi tutte autocefale, cioè autonome nei relativi Patriarcati, storici o moderni. Essa è l’erede della cristianità dell’antico Impero Romano d’Occidente, chiamato poi Romanico o Impero Bizantino e poi Ottomano, allora suddiviso nei quattro patriarcati storici di Gerusalemme, Antiochia, Alessandria e Costantinopoli.
Gli ulteriori cinque patriarcati moderni (serbo, bulgaro, russo, rumeno e georgiano) sono invece riconosciuti non di diritto, ma di fatto.
Essa ritiene che solo al proprio interno, quindi in via esclusiva, come la Chiesa cattolica romana, sussista la cristianità della Chiesa universale fondata da Gesù Cristo. Tale comunità riconosce un primato d’onore alla sede patriarcale di Costantinopoli, autodefinitasi ecumenica nel Sinodo del 587. Le Chiese Ortodosse più conosciute sono quella greca e quella russa. Nel suo complesso la Chiesa Ortodossa è, per dimensioni, la terza maggiore confessione Cristiana, contando 250 milioni di fedeli in tutto il mondo, anche se in larga prevalenza nei paesi dell’Europa orientale.
La nascita dell’Ortodossia può essere collocata intorno al quarto secolo; letteralmente significa ‘retta dottrina’, concetto che vuole esprimere la professione della retta fede cristiana. Le singole Chiese tramite un loro Sinodo e un loro Primate, e pur essendo in piena comunione sacramentale e canonica tra loro, agiscono indipendentemente una dall’altra dal punto di vista amministrativo, L’inizio ufficiale della Chiesa Ortodossa viene fatto risalire all’anno 1054, cioè dopo quello che le fonti storiche definiscono come il grande scisma, in seguito al quale quella che fu l’unica Chiesa Cattolica romana, cioè la Chiesa di stato dell’Impero romano, ormai definitivamente diviso, vide la sua parte orientale e quella occidentale separare le strade definitivamente.
D’altro canto la Chiesa occidentale ha sempre parlato di scisma d’Oriente, mentre quelle orientali hanno parlato di scisma dei Latini per indicare l’ultima rottura della comunione nel 1054.
Le Chiese Ortodosse ritengono allora la Chiesa Cattolica romana non solo scismatica, ma anche eretica per l’aggiunta del ’Filioque’ nel ‘Credo’: cioè l’affermazione che recita “lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio”. Ma, posto che gli ortodossi credono in Dio Uno e Trino, cioè nelle tre persone, Padre Figlio e Spirito Santo, la polemica su questo punto che per secoli ha tormentato il rapporto con la Chiesa Cattolica, a livello teologico non ha motivo di essere, poiché siamo di fronte al mistero della Trinità che la mente umana può solo intuire ma non capire appieno. E va sottolineato che nel periodo pasquale la Chiesa Cattolica recita il Credo come definito nel Concilio di Costantinopoli del 381 d.C. in cui si afferma che lo Spirito Santo discende dal Padre senza far riferimento al Figlio, con ciò riconoscendosi da entrambe le Chiese che il Padre è l’unica causa trinitrina o principio del Figlio e dello Spirito Santo. (Fine della prima parte)

                                                                     

                        (da ‘Communio’, periodico della parrocchia S. Pietro apostolo-La Spezia)



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