N° 7 - Agosto-Settembre 2013
I nostri poeti

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  A don Giovanni Dalla Mora
di Un confratello di don Giovanni


 

Oggi non voglio parlare del suo prossimo secolare,

ma almeno una piccola intenzione

per i suoi sessant’anni di Ordinazione,

perché così con tanta gente

è sempre meglio un poco che niente.

E se qualcuno pensa che non siamo tanti,

epperò è che noi siamo importanti.

Il sacerdote è l’uomo più amato e più rifiutato

e ve lo dico in questo afflato.

Se parla coi ricchi è un capitalista,

se sta coi poveri è un comunista;

se è grasso non si lascia mancare niente

se è magro è un avaro sicuramente;

se sta sempre in parrocchia è un fannullone,

se organizza delle feste è mangione e beone;

se la predica è breve non sa dire proprio niente,

se è  più di dieci minuti allontana la gente;

se battezza e sposa tutti, strapazza i Sacramenti,

se è esigente ci sono certi commenti!

Se è giovane agisce senza acquisizione,

se è vecchio dovrebbe andare in pensione.

Ma se muore chi lo sostituisce, mi domando,

ne arriverà un altro: ma quando?

Presto e subito ci deve essere

se vuoi il tuo benessere!

Perché se manca agli uomini questo fanale,

non so se raggiungi la meta finale!

Quindi questo non è certo un sogno,

di don Giovanni ne abbiamo ancora bisogno;

e poi dovranno ancora passare quanti anni

prima che arrivi un altro don Giovanni?

 

Trebaseleghe, 29 giugno 2013

 



  AG SCIAN TUTI
di Mario Orlandi



Ag scian tuti,

‘nsema come ‘na vota,

anc se Livié ‘n gh’è pù;

ala scatozera la gh’ pens la machina

e d’oliva la s’ pulisc’n al frantoro.

 

Ag scian tuti

p’r s’ntir la nostra storia

p’r viv’r n’atimo d’ ricordi,

p’r acorg’rse che la vita

la dure: la n’esist la morta.

 

Ag scian tuti,

non a vegh’o,

ma p’r p’nsare come dar slancio

al nostr bel Nicola

che da tuti i pretend n’aiuto onesto.

 

Ag scian tuti,

ma la n’ serve dire: “Aé, me a vegne!”,

p’rché Nicola i s’ spete

atività, divertimento e vita,

p’r es’r sempr ‘l mei, come n’a vota.

 

Ag scian tuti.

Ma sol la volontà,

‘l voler dal ver quarcò tuti ‘nsema,

i r’nd’rà ‘l paeso pu belo e vivo,

pu content d’la su storia, d’ tut noaltri.




CI SIAMO TUTTI-   Ci siamo tutti, insieme come una volta, anche se Oliviero (Lorenzini, il sarto del paese) non c’è più; alla scartozzera (pulitura del granturco) ci pensano le macchine e le olive si puliscono al frantoio. Ci siamo tutti per sentire la nostra storia, per vivere un attimo di ricordi, per accorgerci che la vita continua: non esiste la morte. Ci siamo tutti, ma non a veglia, ma per pensare come dare slancio al nostro bel Nicola che da tutti pretende un aiuto onesto. Ci siamo tutti, ma  non serve dire: “Sì, io vengo” perché Nicola s’aspetta attività, divertimento e vita, per essere sempre il migliore, come una volta. Ci siamo tutti, ma solo la volontà, il volere davvero qualcosa tutti insieme renderà il paese più bello e vivo, più contento della sua storia, di tutti noi. (N.B. In dialetto nicolese il ‘sì’ suona ‘aé’, mentre il ‘no’ al rovescio cioè ‘ea’).

                          

 


 


  IL PASTORE E LA VERGINE
di Padre Maurilio Montefiori





Vestito di pelli

un giovin pastore

scendeva dai monti.

Volea salutare Maria.

La vide sull’aia,

lo sguardo angosciato

proteso lontano.

La voce tremante,

le disse:

“O madre,

o amica degli angeli,

o sola sposata al divino.

Ricordi la notte sì cara

quel canto nel cielo profondo?

L’osanna e la pace pei buoni?

Allora ero piccol pastore,

portavo un agnello.

Era tenero, candido,

belava con voce di bimbo.

Lo diedi a Giuseppe

e tu mi donasti Gesù!

Un istante!

E lui dov’è mai or sì grande?”.

“Ha lasciato la madre,

ha lasciato la casa, il mestiere.

Voce di Dio

or batte le strade di fuoco

che furon dei grandi profeti”.

E pianse Maria:

“Mio Figlio, figura e sostanza di Dio,

vivente della mia vita,

cammina tra i rovi e le spine,

tra serpi, tra lupi.

Agnel bianco

come quel che donasti tu allora,

è Lui il senza macchia

tra i greggi di tutto Israele.

E’ scelto a espiare.

L’altare di Pasqua è per Lui:

io vedo su un monte una croce”.





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  MIO FIUME
di Anna Maria De Ghisi





Vicino al tuo respiro

che col mio si fonde,

cresce la musa.

La tua voce vibrante

muove fremiti in me

di gioia e dolore.

Su questa terra,

che sognatrice mi crede,

anch’io sono un corso

dolente

che silenzioso fluisce,

s’arresta,

e morde i sassi.

 



  ORAMAI
di Roberto Bologna





Parole, un verbo, un punto e basta.

Quando mi ha detto ‘basta’

sono rimasto a guardare il sole

che non c’era più.

Sono rimasto a guardare la luna

che non s’era ancora levata.

Poi ho abbassato lo sguardo

e lei rimpiccioliva sulla spiaggia.

Sono rimasto solo

a piangere sui miei errori;

piangeva anche il mare:

non ci avrebbe più visto insieme.

Quando nasceva la sera

non era che un granello di sabbia,

oramai lei

non era che un piccolo punto,

e basta.

                

  


  EMIGRANTI
di M. Franca Alieta Serponi





Cammino

sotto il manto scuro della notte,

mille stelle brillano in cielo,

il mare mormora nella battigia,

in lontananza una luce fievole.

Osservo il mare

e nella luce argentata delle stelle

un barcone carico d’emigranti:

donne, bambini, uomini

che fuggono da una realtà terribile:

la guerra.

Approdano sulle nostre spiagge

perché l’Italia è calata,

attraverso il mediterraneo,

come un ponte,

verso il continente nero.

Un unico bagaglio li accompagna:

la speranza.

Sono stremati

Ma i loro occhi brillano di gioia:

anelano la pace, la libertà, il lavoro,

e noi li accoglieremo,

perché Dio li ha fatti nostri fratelli.

 

                                                


  FILASTROCCA DELLA NONNA
di Marisia Lisia





Alla nonna un po’ cadente

è rimasto solo un dente,

un sol dente ed un sorriso

da donare al paradiso;

da donare a un poverello

che è Gesù sotto il mantello.

Sogna il bimbo una carezza,

un sorriso e una certezza:

un sorriso, nonnina mia,

un sorriso donalo a chicchessia.

 

                                                       


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