N° 5 - Maggio 2010
Spiritualità
  5 SEGNI E SIMBOLI CRISTIANI
di Antonio Ratti


 
 
 

5         SEGNI  E SIMBOLI CRISTIANI

 

ANCORA

 

 Ancòra oggi l’àncora è il pesante strumento che, calato in mare a prua e spesso anche a poppa, tiene ferma la nave. Da qui diventare il simbolo dei punti fermi, cioè dei valori, in cui credere, il passo è breve. Per il cristiano è l’immagine della speranza che orienta la nostra esistenza verso la sua piena realizzazione. Essa rappresenta il nostro essere risoluti e perseveranti nel tenere la posizione in ciò che crediamo. “…nella speranza noi abbiamo come un’ancora della nostra vita, sicura e salda, la quale penetra fin nell’interno del velo del santuario, dove Gesù è entrato per noi come precursore.” ( Paolo, Eb 6, 19-20 )  Sempre, ma soprattutto nei momenti negativi, la speranza sa sorreggere e soccorrere come suggerisce Paolo: “ Noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori attraverso lo Spirito Santo, che ci è stato dato ” ( Rm 5, 3-5 ) Nell’Antico Testamento i riferimenti alla speranza in Dio sono frequentissimi: “ Ritorna al tuo Dio, osserva la bontà e la giustizia e nel tuo Dio poni la tua speranza, sempre.” ( Os 12,6 )  Chi teme il Signore non ha paura di nulla e non teme perché Egli è la sua speranza.” ( Sir 34,14 )  Paolo è particolarmente insistente: “ Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è fedele colui che ha promesso [ Gesù ].” ( Eb 10, 23 ) “Il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e pace nella fede, perché abbondiate nella speranza.” ( Rm 15, 13 ) “ Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera…” ( Rm 12, 13-13 ). La speranza, non il fatalismo e il nichilismo, rende ottimisti, gioiosi e anche sereni nell’attesa di quel che verrà.

 

 

 

 

 

 
 

  San Giovanni Maria Vianney
di Agostino Cavirani


 
 
 

Sessant’anni di Sacerdozio

 

PREGATE…IL PADRONE DELLA MESSE CHE MANDI OPERAI NELLA SUA MESSE!

(Mt v. 38)

 

 LETTERA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI PER L'INDIZIONE DELL'ANNO SACERDOTALE IN OCCASIONE DEL 150° ANNIVERSARIO DEL "DIES NATALIS" DI GIOVANNI MARIA VIANNEY

Cari fratelli nel Sacerdozio,


nella prossima solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, venerdì 19 giugno 2009 – giornata tradizionalmente dedicata alla preghiera per la santificazione del clero –, ho pensato di indire ufficialmente un Anno Sacerdotale in occasione del 150° anniversario del “dies natalis” di Giovanni Maria Vianney, il Santo Patrono di tutti i parroci del mondo.[1]
Tale anno, che vuole contribuire a promuovere l’impegno d’interiore rinnovamento di tutti i sacerdoti per una loro più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi, si concluderà nella stessa solennità del 2010.
Il Sacerdozio è l'amore del cuore di Gesù”, soleva dire il Santo Curato d’Ars.[2]
Questa toccante espressione ci permette anzitutto di evocare con tenerezza e riconoscenza l’immenso dono che i sacerdoti costituiscono non solo per la Chiesa, ma anche per la stessa umanità.
Penso a tutti quei presbiteri che offrono ai fedeli cristiani e al mondo intero l’umile e quotidiana proposta delle parole e dei gesti di Cristo, cercando di aderire a Lui con i pensieri, la volontà, i sentimenti e lo stile di tutta la propria esistenza. Come non sottolineare le loro fatiche apostoliche, il loro servizio infaticabile e nascosto, la loro carità tendenzialmente universale? E che dire della fedeltà coraggiosa di tanti sacerdoti che, pur tra difficoltà e incomprensioni, restano fedeli alla loro vocazione: quella di “amici di Cristo”, da Lui particolarmente chiamati, prescelti e inviati?

Come non ricordare i tanti sacerdoti offesi nella loro dignità, impediti nella loro missione, a volte anche perseguitati fino alla suprema testimonianza del sangue?

Ci sono, purtroppo, anche situazioni, mai abbastanza deplorate, in cui è la Chiesa stessa a soffrire per l’infedeltà di alcuni suoi ministri. È il mondo a trarne allora motivo di scandalo e di rifiuto.

 

A questo proposito, gli insegnamenti e gli esempi di san Giovanni Maria Vianney possono offrire a tutti un significativo punto di riferimento: il Curato d’Ars era umilissimo, ma consapevole, in quanto prete, d’essere un dono immenso per la sua gente: “Un buon pastore, un pastore secondo il cuore di Dio, è il più grande tesoro che il buon Dio possa accordare ad una parrocchia e uno dei doni più preziosi della misericordia divina”.[3]

 

Ciò che per prima cosa dobbiamo imparare è la sua totale identificazione col proprio ministero. In Gesù, Persona e Missione tendono a coincidere: tutta la sua azione salvifica era ed è espressione del suo “Io filiale” che, da tutta l’eternità, sta davanti al Padre in atteggiamento di amorosa sottomissione alla sua volontà. Con umile ma vera analogia, anche il sacerdote deve anelare a questa identificazione.

Anche l’obbedienza di san Giovanni Maria Vianney fu tutta incarnata nella sofferta adesione alle quotidiane esigenze del suo ministero. È noto quanto egli fosse tormentato dal pensiero della propria inadeguatezza al ministero parrocchiale e dal desiderio di fuggire “a piangere la sua povera vita, in solitudine”.[42]

Solo l’obbedienza e la passione per le anime riuscivano a convincerlo a restare al suo posto. A se stesso e ai suoi fedeli spiegava: “Non ci sono due maniere buone di servire Dio. Ce n’è una sola: servirlo come lui vuole essere servito”.[43] La regola d’oro per una vita obbediente gli sembrava questa: “Fare solo ciò che può essere offerto al buon Dio”.[44]

 

 

Ho voluto iniziare questo articolo con alcune parti della lettera che il Santo Padre ha indirizzata ai Sacerdoti per l’indizione dell’Anno Sacerdotale perché sintetizzano in modo mirabile la vita sacerdotale di Don Domenico (Ceccardo) Repiccioli  di cui festeggeremo il prossimo 29 Luglio, al Santuario N.S. del Mirteto, il 60° anno di consacrazione; la prima messa la celebrò nel lontano 28 Giugno 1950, festa di SS.Pietro e Paolo, quando io non ero ancora nato. Nonostante i tanti anni passati lontano, Tortona, Venezia, Argentina, Spagna, Sanremo, Sardegna ed ancora Sanremo, da buon ortonovese DOCG ha mantenuto fede alle promesse fatte al momento della sua consacrazione e… memoria del nostro dialetto che parla in modo corretto.

Ringrazio la Redazione che mi permette, con una serie di articoli di cui questo è il primo, di presentare la figura di questo mio zio, frate della Piccola Opera della divina Provvidenza di Don Orione; di ricordare le sue vicissitudini che mi raccontò (avevo 4 anni) quando ritornò a casa dalla missione in Argentina dopo 12 anni di lontananza (1950 – 1962); del suo lavoro svolto in Spagna alla ricerca di vocazioni sacerdotali; del servizio prestato nel Piccolo Cottolengo di Don Orione a Sanremo e dell’opera svolta nella parrocchia di Carbonia in Sardegna.

Penso che sia importante questa testimonianza specialmente oggi, sia perché conferma e attualizza quanto rappresentato dalla figura del Santo Curato d’Ars, sia perché viviamo in un momento in cui la Chiesa subisce un pesante attacco mediatico sferrato dal pensiero materialista e ateo che sfrutta errori di alcuni sacerdoti per demonizzare tutta la Chiesa e in modo particolare il Santo Padre.

 

 
 

  Simboli e segni cristiani
di Antonio Ratti


 
 
 
 

BARCA

 

La barca è il simbolo cristiano della Chiesa che naviga nel mare della storia e nelle tempeste degli eventi che l’umanità induce e subisce. Al timone è Pietro, l’apostolo su cui Gesù fonda la Chiesa e gliel’affida. Pietro è colui  che sul Mare di Galilea guida la barca di  una famiglia di pescatori, quindi possiede la professionalità, le qualità e l’autorità per essere il primo timoniere della Chiesa e indicare ai successori come si tiene la rotta. La navigazione non sarà mai né facile, né pacifica ( basta tenere a mente gli avvenimenti che quotidianamente la stampa riporta ), ma Pietro ha imparato quanto il vento e le onde anche di un piccolo lago possano mettere a dura prova l’imbarcazione e i marinai, quindi sa come tenere ferma la rotta verso “un nuovo cielo e una nuova terra.” ( Ap 21, 1 ) Come la Chiesa è tenuta a superare le difficoltà senza incertezze e ad accettare le tentazioni che non lasciano mai soli, analogamente ciascun appartenente al popolo di Dio deve comportarsi,  perché una volta superata la prova riceverà la corona della vita che il Signore ha promesso a quelli che lo amano.” (Gc 1,12 )  Il luogo  a cui tende la barca è il porto dell’eternità. “ Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre conseguite la mèta della vostra fede, cioè la salvezza delle anime.” ( 1 Pt 1,8-9 ) Come sulla barca il sincronismo dei movimenti dei marinai è essenziale per tenere con sicurezza la navigazione, così la forza della Chiesa, popolo di Dio, è nella sua unità. Paolo trova un’altra similitudine per ribadire il concetto: “ Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati ad un solo Spirito.” (1 Cor 12, 12-13 ) ( continua )

 

                                                                                                                          

 

 
 


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  I Vangeli del mese
di Claudia Pugnana


 
 
 

I VANGELI DEL MESE

 

2 maggio 2010 – V° Dom. di Pasqua- anno C ( Gv 13,31-33.34-35
Il Vangelo di oggi ci stupisce per la sua completezza nella sua brevità. Gesù inizia da qui una serie di discorsi “ d’addio” che occupano i capitoli dal 13,31 al 17 che vengono definiti da alcuni studiosi “a ondate” perché i temi sono ripresi più volte e in forme sempre nuove, come le onde che colpiscono la riva del mare.
Appena Giuda se ne va dal Cenacolo per compiere il tradimento del suo Maestro, Gesù informa gli altri discepoli che “il Figlio dell’uomo è stato glorificato” ovvero “è stato riconosciuto”e pertanto ancora per poco  Egli resterà con loro. Nella lingua ebraica “gloria” sta a significare il valore reale di una persona o di una cosa, “glorificare” o “dare gloria” si usano col significato di riconoscere il valore di una persona o di una cosa.
Prima di separarsi dai suoi discepoli lascia loro in eredità tutto ciò che possiede: il suo modo di amare. ”Amare alla Gesù”non è automatico, non è istintivo. Richiede l’impegno di tutta la persona, della sua intelligenza e della sua volontà, e richiede il superamento del naturale egocentrismo per il raggiungimento del gratuito dono di sé.                                                          L’imitazione di Gesù è l’unico modo che abbiamo per essere riconosciuti suoi discepoli.

 

9 maggio 2010 – VI° Domenica di Pasqua –anno C ( Gv 14,23-29 )  
In  questi versetti Gesù spiega quali relazioni si possono instaurare tra Dio e l’uomo a seguito del modo di agire dell’uomo stesso. All’origine di tutto ancora una volta l’amore. Chi ama vive secondo l’insegnamento di Gesù e perciò viene amato dal Padre e Dio prenderà dimora presso l’uomo, abiterà dunque insieme a lui!
Si aggiunge ora un altro protagonista: lo Spirito Santo, il Paraclito.
 Il termine greco è PARAKLETOS che ha il significato di “avvocato”, ”difensore”,”intercessore” e questo titolo nel giudaismo era spesso attribuito agli angeli, ai profeti e agli uomini giusti. Gesù stesso in 1Giovanni 2,1 è chiamato il nostro Paraclito, “il nostro avvocato presso il Padre”. In questo contesto il termine viene tradotto con “ Consolatore “, in riferimento a uno dei compiti che avrà lo Spirito Santo dopo che i discepoli subiranno la separazione da Gesù.
Dal versetto 27 si trovano una serie di affermazioni e di raccomandazioni che così come ci vengono presentate ricordano l’agitazione che si ha quando si sta partendo e si saluta chi rimane. E’ un monologo di Gesù ma dalle sue parole affettuose e consolanti ci viene facile immaginare i volti e gli sguardi dei discepoli che lo ascoltano sconvolti.
Una curiosità. La frase”perché il Padre è più grande di me” fu interpretata nell’eresia ariana come negazione della piena divinità di Gesù Cristo affermata da Lui stesso. Secondo la mentalità ebraica l’inviato è inferiore a chi manda:  Gesù con quella frase si fa conoscere come l’Inviato dal Padre.                  

16 maggio 2010 – Ascensione del Signore- anno C ( Lc 24,46-53 )   

 

Nel Vangelo di Luca vengono narrati due soli incontri con Gesù risorto: quello con i discepoli di Emmaus e quello con  i discepoli, presumibilmente nella stanza del Cenacolo. In entrambi gli incontri Gesù richiama ciò che riportano le Sacre Scritture sul suo conto, in particolare sulla sua Passione, Morte e Resurrezione
L’incontro con Gesù risorto dà agli Undici un nuovo compito. Fino ad oggi sono stati i discepoli,”coloro che imparano”,hanno visto e ascoltato. Ora il Maestro li chiama all’azione poiché vanno” predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei  peccati”. Per svolgere la loro missione non saranno lasciati soli e senza aiuto ma saranno ”rivestiti di potenza dall’alto”.
Il Vangelo di Luca si conclude con la salita di Gesù in cielo. Quella separazione così tanto temuta si rivela un momento di inaspettata gioia: non si tratta di un addio ma è un arrivederci. E l’intervallo tra Ascensione e Parusia non è un tempo da far scorrere con le mani in mano!
La prima azione da compiere è l’adorazione di Gesù, quindi l’attesa dello Spirito Santo lodando Dio nel tempio e infine l’evangelizzazione. Compiti degli Apostoli, compiti di tutti i Cristiani…
23 maggio 2010 – Domenica di Pentecoste - anno C ( Gv 14,15-16.23b-26)
Il Vangelo di oggi è sostanzialmente lo stesso della VI° Domenica di Pasqua . Il versetto 15 è la prima delle cinque promesse del dono dello Spirito Santo che Gesù fa ai discepoli nei “discorsi d’addio” (capp. 13-17). Lo Spirito Santo sarà d’aiuto alla Chiesa nell’insegnamento e nella tradizione (v. 26) e aiuterà ogni membro della comunità con i suoi doni.
La sapienza ,l’intelletto,il consiglio,la fortezza,la scienza, la pietà e il timor di Dio….Sono i doni, gli strumenti che Dio ci dà per compiere la nostra missione di battezzati, ciascuno secondo la sua vocazione, ma guidati tutti dallo stesso Spirito d’amore.


 

30 maggio 2010 – Ss.ma Trinità – anno C ( Gv 16,12-15 )                                                                                                                        

Gesù continua a parlare dei compiti dello Spirito Santo e lo fa nella quinta ed ultima promessa del Paraclito.
Egli  in futuro dovrà guidare i  discepoli, illuminandoli sulla pienezza della “verità”, cioè facendo loro comprendere la rivelazione di Cristo in tutte le sue dimensioni, mostrando loro come sono giunte a  compimento le Scritture e svelando il senso ultimo della storia della salvezza. In questo annuncio dello Spirito viene espresso anche il profondo legame  trinitario con il Padre e con il Figlio.
Il Dio cristiano è un Dio in relazione poiché è una comunione di persone

 

 
 

  Parola di vita
di Chiara Lubich


 
 

“Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui” ( Mt 17,20).

         Nell’ultimo discorso di Gesù, l’amore è al centro: l’amore del Padre per il Figlio, l’amore per Gesù che è osservanza dei suoi comandamenti.

         Coloro che ascoltavano Gesù non facevano fatica a riconoscere nelle sue parole l’eco dei Libri sapienziali: “l’amore è osservanza delle sue leggi” e “facilmente è contemplata - la sapienza - da chi l’ama”. E soprattutto quel manifestarsi a chi lo ama trova il suo parallelo veterotestamentario in Sap 1,2, dove ci dice che il Signore si manifesterà a coloro che credono in lui.

         Ora il senso di questa Parola, che proponiamo, è: chi ama il Figlio è amato dal Padre, ed è riamato dal figlio che si manifesta a lui.

 

“Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui” ( Mt 17,20).

         Tale manifestazione di Gesù chiede però di amare. Non si concepisce un cristiano che non abbia questo dinamismo, questa carica d’amore nel cuore. Un orologio non funziona, non dà l’ora - e si può dire che non è neppure un orologio - se non è carico. Così un cristiano, che non merita il nome di cristiano.

         E questo perché tutti i comandamenti di Gesù si riassumono in uno solo: in quello dell’amore per Dio e il prossimo, nel quale vedere e amare Gesù.

         L’amore non è mero sentimentalismo ma si traduce in vita concreta, nel servizio ai fratelli, specie quelli che ci stanno accanto, cominciando dalle piccole cose, dai servizi più umili. Dice Charles di Foucauld: Quando si ama qualcuno, si è molto realmente in lui, si è in lui con l’amore, si vive in lui con l’amore, non si vive più in sé, si è ‘distaccati’ da sé, ‘fuori’ di sé”. Ed è per questo amore che si fa strada in noi la sua luce, la luce di Gesù, secondo la sua promessa: “A chi mi ama...mi manifesterò a lui”. L’amore è fonte di luce: amando si comprende di più Dio che è amore.

         E questo fa sì che si ami ancora di più e si approfondisca il rapporto con i prossimi. Questa luce, questa conoscenza amorosa di Dio è dunque il suggello, la riprova del vero amore. E la si può sperimentare in vari modi, perché in ciascuno di noi la luce assume un colore, una sua tonalità. Ma  ha delle caratteristiche comuni: ci illumina sulla volontà di Dio, ci dà pace, serenità, e una comprensione sempre nuova della Parola di Dio. E’ una luce calda che ci stimola a camminare nella via della vita in modo sempre più sicuro e spedito.

         Quando le ombre dell’esistenza ci rendono incerto il cammino, quando addirittura fossimo bloccati dall’oscurità, questa Parola del Vangelo ci ricorderà che la luce s’accende con l’amore e che basterà un gesto concreto d’amore anche piccolo (una preghiera, un sorriso, una parola), a darci quel barlume che ci permette di andare avanti.

         Quando si va in bicicletta di notte, se ci si ferma si piomba nel buio, ma se ci si rimette a pedalare la dinamo darà la corrente necessaria per vedere la strada.

         Così è nella vita: basta rimettere in moto l’amore, quello vero, quello che dà senza aspettarsi nulla, per riaccendere in noi la fede e la speranza.

 

 
 

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