N° 7 - Agosto-Settembre 2009
I nostri poeti
  Cronaca
di Paola G. Vitale


 

 

 

Quando il cuore con la ragione combatte,

viene una nenia nel petto,

nascono le filastrocche:

sono un lamento sommesso

oppure una gioia a cuor contento

e vogliono dire a tutti

quanto è successo.

Quest’oggi la TV domanda:

“Carcere o manette per minori violenti?”.

Ma così, davvero saremo contenti?

Davvero sarà un bene per loro?

“Quanta violenza hai ricevuto,

per esser così malamente cresciuto?”.

Questo chiederei ad ogni bimbo perduto.

Certo, è troppo scomodo

donare un pozzo d’amore

ad ogni sconvolto, giovane cuore!

Ci vorrebbe, almeno, un Amore “scontato”

che per noi ha sofferto,

che per noi ha perdonato!

 

                                                 Luni Mare, 1° giugno 2009 

 

                   

  Un amore per una vita
di Carlo e Maria Giovanna


 

 

            

Prendevamo, per il ritorno, gli ultimi treni.

Per perderci, d’inverno, nei lungarni pisani. Chiusi nei nostri cappotti, stretti l’uno all’altra, e nascosti nella nebbia, ci amavamo, parlavamo, tacevamo, e, assorti nei nostri pensieri, stavamo lungamente a guardare il cielo stellato, il brillio del fiume sotto i lampioni della città ormai notturna.

Oppure, per imboscarci, d’estate, nella pineta a bocca d’Arno, presso il mare.

Vi andavamo con il trenino, dopo le lezioni della mattina. Ci si smarriva in quel selvoso silenzio; e, inebriati dalla natura e dai nostri sentimenti, ci baciavamo, mangiavamo, bevevamo, ci guardavamo, parlavamo; e poi, sbigottiti dal cibo, dal vino, dagli odori, dal caldo, dalla gioventù, dalle lusinghe della speranza, dall’amore, ci tenevamo abbracciati, taciti e appassionati, in un velocissimo trascorrere del tempo e delle ore.

A volte, nei momenti di più intensa commozione del cuore, lei, guardando in alto, alle sublimi chiome dei pini, e, intorno, agli spinosi arbusti dell’aspra macchia mediterranea, esaltandosi ai profumi del bosco e del mare vicino, stringendosi ulteriormente a me nell’ardore del suo femminile abbandono, mi recitava i versi de “La pioggia nel pineto”…     Poi l’amore continuava sul trenino che ci riportava in città; e sul treno, verso casa.

La città, il mare, la campagna, i boschi, il vicino lago, i monti ci accoglievano di volta in volta nelle nostre vagabonde e smemoranti spedizioni.

La cultura, le avventure, l’amore erano la nostra quotidiana dimensione. Dante e le utopie politiche e i sublimi sorrisi delle allegorie; Angelica e l’illusorio incantesimo d’amore e le sue dolci calamità; il Partenone e la luce dell’antica Grecia; Socrate e il dramma della verità; i tragici greci e il mistero delle colpe e dei destini; gli Etruschi e il buio dei tempi remoti; Plauto e il riso disincantato della stirpe latina; Cicerone e il tramonto delle civiltà; Lucrezio e l’eternità della materia; Catullo e l’eternità della passione; e altre e molte altre cose costituivano la nostra atmosfera culturale; il primo consapevole approccio ad un mondo meraviglioso, creato dagli uomini e per gli uomini: per saziare la loro divina curiosità, per contemplare, per evadere, per sublimare in una visione di composta serenità, di grandezza e di bellezza i grigiori, le dissonanze, i dolori, le tragedie dei singoli e dell’umanità intera.

E questa atmosfera mi esaltava. Vivevo in una nuova realtà creata dal dolce sorriso e dalla luminosa e riposante bellezza di quella fanciulla, che era mia e che gioiva di essere mia. E di quel sorriso mi si illuminavano i fatti culturali. E per me, ora, erano tutt’uno la cultura e l’amore. E pensavo che certo, quelle sublimi ideazioni e invenzioni dello spirito umano erano nate tutte da avventure di incantate passioni d’amore: l’uomo le aveva trovate in sé o le aveva scoperte nella natura o nella storia, sempre sotto l’urgenza di un’ispirazione d’amore.

E quella fanciulla così appassionatamente amante, il volto egualmente illuminato dall’intelligenza di un fatto culturale o dalla dolcezza di un mio sorriso, mi diceva: e gli occhi li aveva accesi di intima gioia: “Io amo tutto questo meravigliosamente, perché meravigliosamente amo te! E’ per l’amore mio per te, che vedo sublime tutto questo e lo amo”.

Ed eravamo felici in quell’avventura e la vivevamo come in una favola.

                                                                                                                                                                  

                                                                                                Carlo


 

 

 

OGGI NON MI PARLARE…

 

Oggi, non mi parlare!

I pensieri son tesi a ricontare

i ciocchi già bruciati,

per tener vivo il fuoco della vita.

Oggi, non mi guardare!

Gli sguardi sono tesi a sorvegliare

gli assetati deserti

del giardino languente della vita.

Oggi, non mi toccare!

Le mani sono tese a riparare

le mille e mille crepe

dello splendido tempio della vita…

Ma, se tu lo farai con tanto amore,

per un istante ancora,

traboccheranno lucidi tesori

dall’argentina fonte della vita.

                                                                                                                               

                                                                    Maria Giovanna

 

 

 

  Alice
di Maria Angela Albertazzi


 

 

 

 

 

Alice, tu cammini

nel tuo Paese delle Meraviglie.

Con i tuoi occhi innocenti ma attenti,

osservi tutto intorno a te

questo mondo enorme.

Il tuo sorriso vien dal paradiso

a irradiare il tuo dolce viso.

Non parli ancora molto,

ma  comprendere tutto

saprai, a poco a poco.

Questo vecchio mondo

di meraviglie ne ha tante,

ti auguro di vederle tutte quante.

Alice, la meraviglia più bella sei tu,

che incanti mamma e papà.

Hai spesso il tuo ditino puntato

a far già notare i tuoi interessi

e la bocchina socchiusa,

con gli occhi fissi a scrutare

in qualche punto,

per cogliere una nuova meraviglia.

Alice, fai bene a guardarti attorno:

quando grande sarai, scriverai

 le tue scoperte meravigliose

e anche quelle che non lo sembrano.

Alice, sei piccina piccina,

 vedo in te l’intelligenza bambina.

Nella tua meraviglia ci sono

i volti di papà e mamma

e di quanti ti stanno attorno.

Alice, ti auguro salute, amore

e le cose più belle del mondo.

Ciao, e un tenero abbraccio.

 

                                             

 

 

  Aria
di Angiola Billi


 

 

 

 

Un vagito:

ecco, è nata una creatura;

respira aria per vivere.

Si affaccia

 in questo meraviglioso universo

che l’aria muove e vive.

L’aria muove

le fronde degli alberi;

tiepida aria di primavera,

profuma di fiori:

gerani, rose, mammole e viole;

rinfresca l’aria la sera;

le passere intrecciano

voli nell’aria che il tramonto

trasforma in oasi di pace.

L’aria accarezza il viso;

soffia leggera e profumata.

L’aria palpita di vita.

 

                                  

 

 

 

  Il gioco del reale
di M.G.Perroni Lorenzini


 

 

Cuccù, cuccù!

S’inseguono le forme

mutanti

nel gioco del reale.

Così come nei sogni

c’è una bara

nel vaso del garofano.

Cuccù, cuccù!

T’aggrappi alla certezza:

“Sono io! Quell’io!”

Ma chi l’ha detto?

Non sei lo stesso mai.

Tutto si cangia,

tutto s’insegue.

E’ il gioco delle forme:

Rinaldo che ama Angelica;

e Angelica che poi brama Rinaldo.

E’ maligna la fonte

che ci muta?

Cuccù, cuccù!

T’aggrappi all’abitudine.

Cuccù, cuccù!

Non è che un’illusione!

 

                                                                                                               

      

                                                                                                                         

  L vech'o 'n tribunalo
di Mario Orlandi


 

 

 

Invità ‘n tribunalo

p’r ‘na testimonianza

‘l vech’o gh’er timoroso,

ma, po’ spint da l’avocato,

i s’è fa coragh’o.

‘L giudice i gh’a domandà:

“Lei, secondo la difesa,

ha incontrato l’imputato,

Potendo scagionarlo dall’accusa…”

‘L vecch’o gh’è partì come ‘n guindolo:

“Sortì dal molin d’la Glionì,

‘l ciocòn d’ saco su’nt’n’armo,

a m’ son ‘ncaminà p’r la montata

sgrondand come ‘na fontana

scia p’r’l caldo che p’r’l pes d’la farina.

A m’n’ndev a su bel bel, bel bedo,

quand ho s’ntù sonar ‘l campanon…”

“Va bene, precisa la narrazione,

ma l’ora? E’ quella soltanto in questione”.

Ridend a boca aperta,

‘l vech’o i gh’a r’sponde:

“Ma chi m’scus, Pretoro,

quand a Nicola son ‘l campanon

i’l san tuti ch’ gh’è mezz’dì!”.

 

 

 

 

IL VECCHIO IN TRIBUNALE.  Invitato in tribunale per una testimonianza il vecchio era timoroso, poi, spinto dall’avvocato, si è fatto coraggio. Il giudice gli ha domandato: “Lei, secondo la difesa, ha incontrato l’imputato, potendo scagionarlo dall’accusa…”. Il vecchio è partito come un guindolo (spoletta dei telai): “Uscito dal molino di Leonilde ( in località Molinello), il mezzo sacco sulle spalle, mi sono incamminato per la montata grondando come una fontana sia per il caldo che per il peso della farina. Me ne andavo su tranquillo tranquillo quando ho sentito suonare il campanone…”. “Va bene, precisa la narrazione, ma l’ora? E’ quella soltanto in questione…”. Ridendo a bocca aperta, il vecchio gli risponde: “ Mi scusi, Pretore, ma quando a Nicola suona il campanone lo sanno tutti che è mezzogiorno!”.

 

Ricordiamo ai lettori che il libro di Mario Orlandi “Pane per la memoria”(corredato anche di tante foto storiche) è disponibile in tutte le rivendite di giornali del nostro territorio.

 

 

 

  San Lorenzo
di B.M.


 

 

 

 

San Lorenzo, anche le stelle

cadono dentro,

dentro ogni stanza,

danno ai malati uguaglianza.

Passan di testa in testa,

puliscono  pensieri

raccolgon desideri

Desideri da avverare?

Un consiglio ho da dare,

da amico:

di tutto il cosmo infinito,

prega Colui

che l’ha costruito.

 

 

                                                  

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