N° 6 - Giugno-Luglio 2009
I nostri poeti
  Maria
di Maria Angela Albertazzi


 

 

Maria, non conosciamo

 Il colore della tua pelle

Ma sappiamo che il tuo cuore

Emana, dell’universo

Le cose più belle.

La fattezza del tuo volto

Non conosciamo

Ma del tuo grande amore

Convinti noi siamo.

Non conosciamo

La statura del tuo corpo

Ma il tuo carisma

Hai messo dentro il nostro.

Del tuo manto

Il colore non conosciamo

Ma sotto di esso

Per ogni cosa ci rifugiamo

E di essere protetti

Così sicuri siamo.

Ti hanno dipinta con ogni colore

E tu lenisci di ogni cuor il dolore.

Ti hanno vestita di bianco,

vestita di nero…

e tu dai sollievo

al mondo intero.

Ti fanno piccola o grande in altezza,

ma pregandoti, in ogni occasione

sei la nostra certezza.

Sulla tua testa una corona hanno posata

Per farti regina da tutti amata.

Ma, in fondo, l’importanza è una sola:

pregandoti il tuo amore ci consola.

Salve, Maria, Madre di Gesù

Aiuta ancora , del mondo,

tutte le tribù!

                                                          

 

  Un amore per una vita (2)
di Carlo Lorenzini-Maria Giovanna Perroni


 

 

 

 

UN AMORE PER UNA VITA  (2)

 

Poi io avevo continuato con le mie battute ironiche, ma, soprattutto, amare. E lei, sempre, aveva opposto la sua sorridente e disarmante dolcezza.

E così, ad un certo punto, anch’io sorridevo, e parlavo, ed ero cordialmente e piacevolmente conversevole.

E la sera eravamo compagni di viaggio, per il ritorno a casa. Prendevamo lo stesso treno.

Il giorno dopo eravamo diventati amici. Poi, amici inseparabili.

Tutti gli angoli della città universitaria erano nostri.

Dopo le lezioni, lunghe passeggiate in cerca di solitudine: per parlare; per guardarci; per sognare; e per fare silenzio.

Ogni giorno sembrava che il giorno precedente avesse segnato un ulteriore progresso nella nostra amicizia e nella nostra intimità.

Lei poi aveva incominciato a guardarmi e a parlarmi e anche a non dire niente in modo eloquente.

Nel vedermi, il suo volto sorrideva di luce nuova. Guardandomi, i suoi occhi splendevano di intima gioia. Mi diceva “tu” e chiamava il mio nome con trepida commozione della voce.

Ma anche i suoi silenzi e i suoi taciti soprappensiero erano, pur essi, non equivoche confessioni d’amore.

Ed io ero rimasto affascinato da quella amorosa dedizione. E da lei.

Era alta , esile, bionda. Parlava e sorrideva in un viso in cui risplendeva la grazia di una adolescenza innocente e sognatrice; ed era illuminato dalla aristocratica nobiltà di una intelligenza gratificata dalla sicurezza di una serena visione interiore.

Gli occhiali le conferivano un’aria intellettuale apparentemente fragile; ma, in realtà, ostinatamente e fervidamente curiosa della cultura e della vita.

Quando sorrideva o parlava, le si illuminava soprattutto la fronte: che aveva candida, tranquillamente distesa, ricca di pensiero e di sentimento, armoniosamente modellata dalla passione del cuore e dalla chiarezza della mente.

Mi pareva di vivere in un miracolo; io, che in passato avevo distribuito tanto amore: mai ricambiato, spesso ignorato, a volte sgradito, o addirittura schernito: e che ora, invece, ero l’oggetto di un sentimento così fervidamente esclusivo.

Ero stupito ed ero lusingato. Ma un po’ anche atterrito.

Come ricambiare, infatti, quell’ardore di passione, dal momento che, ormai, mi sentivo come una sorgente inaridita? Con tanta intensità avevo distribuito, invano, amore, che ora il mio cuore lo sentivo esausto e arido. Come, dunque, ricambiare quella gentilissima?

Mi tormentavo. Ma erano pensieri che insorgevano quando lei era lontana; o, lei presente, quando me ne lasciava il tempo.

Per il resto, erano smembramenti; rapito in compagnia di quella fanciulla bionda, poi bruna: in giro per la città universitaria e per i dintorni: che mi ascoltava, mi parlava, mi confortava, mi consolava, mi coccolava,mi viziava. Mi amava. Amava i miei vizi del corpo; li baciava.

Amava le mie debolezze dell’anima; le mie crisi; le mie paure; la mia mancanza di passione; si inteneriva e si infervorava: “Amo io, per tutti e due!”, diceva; e rideva; e quel riso mi era vita del cuore.

                                                                                                                                                             Carlo

 

BIANCO  INFERNO

 

 Già non è più dolore; è stordimento.
Ed ormai, vera naufraga, m’arrendo,

sulla lastra di ghiaccio

che il mare, lentamente, sta struggendo.

Ché ti rapisce un turbine violento.

E, se invochi il mio nome,

il tuo grido

deviato dal vento,

nell’infinito spazio va morendo.

O,nel mio bianco inferno

tu fosti un sogno

che mi finsi vivendo?

Ma cercherò altre mani;

fino a che l’onda avara

non travolga

l’isola lieve,

che mi regge a stento.

 

 

                                                                  Maria Giovanna

 

 

 

 

 

dal libro ‘L’ESTATE DI DICEMBRE’ di

Carlo Lorenzini e M.G. Perroni Lorenzini ed. Don Chisciotte)

 

  A Primavera
di M.G.Perroni Lorenzini


 

 

 

Si rinverdisce il cuore a primavera
Sui sentieri bagnati di rugiada,

ogni poco rinasce lo stupore

per limpido, improvviso cinguettare,

per l’aroma di tenere fragranze

che si spande nell’aria o per i toni

delicati di prati, foglie fiori.
Anche chi è pieno d’anni si rinnova.

                      

                                                          M. G. Perroni Lorenzini

 

        (dal suo ultimo libro  di poesie“Ragnatele di bellezza”, Premio “Il Litorale”).

 

 

  Cava di pietra
di Karol Woytyla


Un ricordo del GRANDE PAPA

 

CAVA  DI  PIETRA

 

Non era solo.

I muscoli che alzavano la mazza,

gonfi di energia, lo innestavano

in una folla immensa

Durò finché i suoi piedi

calcarono la terra.

Poi una pietra

gli frantumò le tempie,

gli spezzò le fibre del cuore

Raccolsero il suo corpo, lo portarono

via in una lunga fila silenziosa,

Da lui grondava ancora la fatica,

i torti subiti.

Chi crescerà di nuovo

pensieri fra le tempie fracassate?

Venne, affranta, la moglie, venne

il figlio da scuola.

Fino a quando?

Deve passare ad altri la sua collera.

Esploderà l’amore, finalmente, un giorno,

alimentato dall’ira dell’oppresso.

 

 

 

Il Papa lavorò in una cava di pietra dall’anno 1940 all’anno 1944. Compose la poesia in occasione di un incidente mortale sul lavoro.

 

 

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