N° 2 - Febbraio 2010
I Vangeli di Febbraio
di Egidio Banti

 

 

Domenica 7 febbraio – 5.a del Tempo ordinario (anno C)

Luca, 5, 1 - 11

Il brano evangelico di oggi è popolarmente conosciuto come l’episodio della “pesca miracolosa”. Ma esso ha un valore assai più importante, perché rappresenta – al di là del racconto in sé – il momento ed il significato della “chiamata” di Gesù nei confronti dei suoi apostoli: “Gesù disse a Simone: Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini”.

Possiamo dunque chiederci – come se lo sono chiesto in tanti nel corso dei secoli – che cosa significhi essere “pescatori di uomini”, e se questa espressione non possa rappresentare quasi una svalutazione della persona umana, destinata in qualche modo a … finire nella rete anche contro la propria volontà. La domanda, in effetti, è provocatoria, e ben diversa è la linea del Vangelo, sintetizzata nel concetto della “civiltà dell’Amore”.

Nessuno è costretto ad aderire alla fede cristiana, e il senso del brano è diverso. Gesù non dice infatti a Simone ed agli altri di cambiare “mestiere”, bensì di trasformare, nella sua sequela, quel medesimo “mestiere” nel quale erano provetti. L’uomo è uomo, anche l’uomo di Chiesa, e deve svolgere le funzioni che ha appreso da altri uomini, perché questa è la prima garanzia che le svolga bene. Ma, ad un tempo, l’uomo non deve mai fidarsi troppo di se stesso. Se dunque è Gesù, che pescatore non era, ad assicurare ai futuri discepoli quella pesca che non erano riusciti a mettere insieme con la loro esperienza, tanto più, come uomini di Chiesa, essi avranno bisogno e necessità della Sua vigile presenza, assicurata nel tempo.

L’aiuto di Cristo è dunque fondamento stesso della Chiesa e della sua missione. Ma agli uomini di Chiesa è richiesta la totalità dell’adesione di sé: “Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono”.

Domenica 14 febbraio – 6.a del Tempo ordinario (anno C)

Luca, 6, 17. 20-26

Il celebre Vangelo delle beatitudini risuona, nel brano odierno, nella versione di Luca, simile, ma non identica, a quella di Matteo e di Marco.

Ciò che balza agli occhi sono le due parti in cui l’evangelista suddivide il discorso di Gesù: tra loro simmetriche, ma contrapposte. Prima le beatitudini (“Beati …”) e a seguire, con la stessa simmetria, le “maledizioni” (“Guai a voi …”). Occorre rilevare, a questo riguardo, che l’espressione greca “Ouai”, che in latino è resa con “Vae” e in italiano con il quasi minaccioso “Guai !”, in realtà nella lingua greca non esprime tanto una minaccia, quanto una previsione negativa, del tipo “Sventurati voi !”, “Disgraziati voi !”. Gesù, insomma, non minaccia, ma indica una strada, come farà in tanti altri momenti del suo insegnamento (l’incontro con il giovane ricco, la parabola del ricco Epulone, e così via). Le ricchezze e, in genere, l’attaccamento ai beni ed alle consolazioni del mondo non sono “valori”, ma il loro contrario. E preludono spesso, non di necessità solo in un’altra vita, al capovolgimento, in positivo o in negativo a seconda dei casi, della propria condizione di vita.

Appare molto bella e significativa la frase con cui Luca (il quale, essendo medico di professione, è sempre portato a dare descrizioni anche fisiche di Gesù e dei suoi comportamenti, con tutta evidenza ritenendole importanti per dare spessore al suo insegnamento) introduce il discorso: “Alzati gli occhi verso i suoi discepoli, Gesù diceva …”. Gesù sembra guardare negli occhi coloro, e sono tanti, che lo stanno ascoltando, come per dare più efficacia a quello che, a quanto pare, considera un discorso molto importante. Colpisce anche la simmetria nel riferimento, sempre importante nei Sinottici, con le profezie antiche: la sorte dei profeti, dice Gesù, fu sfortunata, durante la loro vita, ma essi erano e sono profeti; fu più agevole e “redditizia”, in vita, quella dei falsi profeti, ma essi erano e solo, appunto, dei “falsi” profeti. Il passare del tempo si è incaricato di rimettere le cose a posto, e così sarà anche per chi ascolta e per chi segue Gesù.

E’ un doppio invito, che appare attualissimo, tanto più nell’attuale società dell’immagine e del consumismo: l’invito ad un comportamento virtuoso e sobrio, al quale del resto il Papa e i vescovi non cessano di esortarci, ed anche l’invito ad un discernimento critico di chi utilizza, spesso come falso profeta, le tante tribune del nostro tempo.   

Domenica 21 febbraio – 1.a di Quaresima (Anno C)

Luca, 4, 1-13

Inizia oggi la Quaresima – tempo “forte” dell’anno liturgico che ci prepara direttamente alla Pasqua – e la liturgia propone, come anche negli altri anni, il brano evangelico delle tentazioni di Gesù nel deserto: quaranta giorni di penitenza e di digiuno, modelli appunto del periodo quaresimale. Va ricordato che il numero di quaranta giorni non è casuale, in quanto compare molte volte nell’Antico Testamento: tanti sono, ad esempio, i giorni del diluvio, quelli trascorsi da Mosè sul Sinai ed ancora quelli della predicazione del profeta Giona prima della distruzione di Ninive. Anche in questo aspetto si conferma dunque il collegamento stretto tra Antico e Nuovo Testamento, collegamento che ai tre evangelisti sinottici (Matteo, Marco e Luca) sta particolarmente a cuore.

Accanto a Gesù compare il diavolo. L’espressione greca”dià-bolos”, dal verbo “dia-bàllein”, indica, letteralmente, “colui che si mette di traverso”, il “seminatore di discordia”, l’”ingannatore”. Al di là del dialogo molto realistico che Luca ci descrive, e che vede Gesù respingere le insidie tentatrici del suo avversario, l’episodio – anche attraverso il contenuto stesso delle tentazioni: il potere, la ricchezza, la superbia – appare quanto mai attuale, perché sottolinea le contraddizioni e le insidie (ecco ancora il “dia-bàllein” che sta dentro la coscienza di ciascuno di noi) cui l’uomo è sottoposto nella sua limitatezza.

Posto così all’inizio di un cammino di riflessione e di penitenza come la Quaresima, il brano delle tentazioni ricorda dunque a ciascuno di noi i nostri limiti e la nostra debolezza. Gesù, si dice all’inizio del brano, era “ripieno di Spirito Santo”: ed è allo Spirito di Dio che tutti dobbiamo sempre sperare di poter fare ricorso nei momenti difficili e delicati della nostra vita

Domenica 28 febbraio, 2.a di Quaresima (Anno C)

Luca, 9, 28-36

Il secondo brano quaresimale dell’anno C, tratto dall’evangelista Luca, è un altro brano molto conosciuto, e insieme difficile: quello detto della “Trasfigurazione”.

Gesù prende con sé tre soli tra i discepoli più fedeli, Pietro Giacomo e Giovanni, si reca con loro sul monte, “e, mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco due uomini parlavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella loro gloria, e parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme”. Il brano prosegue con Pietro che vorrebbe fermarsi lì, insieme ai “nuovi venuti”, con la Voce celeste che si ode dalle nubi squarciate (“Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo") e con il silenzio poi mantenuto dopo il ritorno presso gli altri discepoli.

Sull’episodio molti si sono interrogati. Esso, nelle intenzioni degli evangelisti che lo descrivono, è certo segno della volontà di indicare la divinità di Gesù, che si manifesta, anche in questo caso, ancora prima della Risurrezione. Inserito all’inizio del periodo quaresimale, il brano sembra voler rappresentare un conforto importante per i fedeli che si sottopongono alla penitenza e che sono esposti, come si è veduto nel brano della domenica precedente, alla tentazione “diabolica”, sempre presente nella coscienza dell’uomo di tutti i tempi. Ascoltare Gesù non è mai come ascoltare una voce qualunque, bensì una voce, quella del “Figlio mio, l’eletto”, che è capace di trasformare tutte le realtà e di farci individuare, anche nel pellegrinaggio terreno, la grazia di una vita diversa, trasfigurata nella luce divina.

 

 

 


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