N° 6 - Settembre-Ottobre 2020
LA STORIA DEL SANTUARIO DI NOSTRA SIGNORA DEL MIRTETO
di Antonio Ratti

         LA STORIA DEL SANTUARIO DI NOSTRA SIGNORA DEL MIRTETO

Intorno alla metà del XIII secolo in Lunigiana cominciano a formarsi e a radicarsi nel tessuto sociale le Confraternite dei DISCIPLINATI. Da costoro particolare attenzione è dedicata al culto della Madonna che manifestano con la consuetudine di erigere oratori sui ruderi di antiche chiese o in prossimità dei cimiteri posti fuori le mura del paese e utilizzati per dare sepoltura ai poveri e ai forestieri. La “casaccia”, come veniva chiamato dagli stessi Disciplinati l’oratorio, doveva essere una costruzione di piccole dimensioni capace di contenere non più di una cinquantina di persone e molto semplice per evidenziare i valori spirituali e la povertà evangelica, in contrapposizione alle ricche costruzioni ecclesiali i cui titolari erano solitamente poco inclini a porli in essere. Anche la Confraternita di Ortonovo all’inizio del XV secolo decide la costruzione del suo oratorio a sud del centro abitato, presso il monte Boscaccio, dove sorgeva un cimitero per dare sepoltura alle salme i cui familiari non potevano permettersi la spesa del trasporto fino alla chiesa cimiteriale di San Martino. La zona era detta Mortineto, ovvero luogo di sepoltura.  Pur nella sua semplicità nell’oratorio non può mancare l’immagine della Madonna per poter celebrare il culto in suo onore. La scarsità dei fondi necessari ad ingaggiare un pittore di un certo livello, costringe i Disciplinati a rivolgersi ad uno dei “frescanti”, che oggi chiameremmo artisti di strada o madonnari, che ovviamente si accontentavano di pochi soldi. L’anonimo artista affresca su una parete la scena drammatica della deposizione di Cristo nella quale la Vergine, semisvenuta, è accasciata ai piedi della croce.
Pur nella sua essenzialità l’affresco, o forse proprio per questa ragione, incontra una discreta notorietà, tanto che il piccolo oratorio diventa luogo frequentato da fedeli e pellegrini  provenienti anche da altre località.
Il 29 luglio 1537, mentre alcune donne del paese sono in preghiera davanti all’affresco, il volto di Maria comincia a lacrimare sangue vivo che lascia evidenti segni sulle gote dell’Addolorata. La notizia del miracolo arriva anche al Concilio di Trento (1545 – 1561), portata dal padre conciliare Giovanni Francesco Pogliasca, nominato vescovo di Luni – Sarzana (1537 – 1561) proprio nell’anno del miracolo. Con la sua testimonianza la lacrimazione della Vergine ottiene l’approvazione ecclesiastica di veridicità.  
Nel 1540 i Priori della Confraternita decidono di utilizzare le copiose offerte dei tanti pellegrini, che visitano l’affresco miracoloso, anche perché prossimo alla trafficata via Francigena, nella costruzione di un grande santuario in onore della “Beata Vergine Addolorata.” Viene incaricato del progetto l’architetto lucchese Ippolito Marcello, il quale realizza una chiesa a tre navate sorrette da due file di colonne con la facciata e l’entrata non più rivolte verso il paese come per l’antico oratorio, ma verso la vasta pianura di Luni.
A causa dell’esiguo spazio disponibile a far convivere la nuova chiesa con l’antica “casaccia”, si è costretti a demolire quest’ultima salvando solo la parete dell’affresco miracoloso che resta al margine della navata.  La conclusione dei lavori è del 1566. La Confraternita per il costante aumento dei pellegrini si rende conto di non essere più in grado di gestire il nuovo santuario ed insieme continuare a svolgere le opere caritatevoli e di assistenza ai poveri e ai malati. Così, nel 1584 durante la visita pastorale del vescovo Angelo Peruzzi, i Disciplinati ottengono di poter affidare ai Padri domenicani la cura del nuovo santuario. Questi appena subentrati danno inizio ad una fase di ampliamenti e di decorazioni che migliorano l’aspetto estetico. Nel 1601 vengono realizzati la sacrestia e il convento, mentre all’interno della chiesa, intorno al 1650, viene fatto il nuovo coro parzialmente dietro la parete contenente l’immagine della Deposizione. Il prezioso altare marmoreo sotto l’affresco, voluto dal priore Celso Furia, è datato 1749.
Nel 1796 con la costruzione del Tempietto, decorato riccamente con marmi policromi, che ingloba l’affresco e l’altare, su progetto del carrarese Giovanni Matteo Scalabrini, di fatto il santuario dedicato a “Santa Maria del Mortineto” assume la forma attuale.  La posizione del tempietto, con all’interno l’affresco sopra l’altare maggiore, rende la navata centrale molto originale, e forse unica nella storia dell’edilizia sacra, perché il tempietto è in posizione asimmetrica, essendo collocato tutto sulla sinistra e non al centro. Come detto, la ragione è da ricercarsi nel poco spazio disponibile e nell’impossibilità tecnica di spostare anche di pochi metri verso sinistra l’intero manufatto della chiesa e, quindi, si è fatto di necessità virtù, perché la parete del dipinto era, ed è, la vera motivazione della presenza del santuario.
Con la conquista da parte delle truppe napoleoniche della Liguria e con la nascita del Primo impero francese, ha inizio il periodo più triste e brutto della storia del santuario. Difatti nel 1800, a causa della politica anticlericale voluta da Napoleone, i padri domenicani vengono espulsi, lasciando la chiesa ai pochi Disciplinati rimasti, i quali, pur impegnandosi al massimo, sono costretti alla chiusura e all’abbandono.
La presenza del santuario per decenni viene ricordata dagli abitanti solo quando qualche pericolo sembra incombere sui raccolti ( uva e olive in particolare )e sulla salute della gente. (Le brutte abitudini, come si nota, partono da lontano e perdurano nel tempo).  Durante l’occupazione francese l’antica denominazione “Mortineto”  si trasforma in “Mirteto”, probabilmente per un errore di trascrizione dalla lingua italiana al francese, lingua adottata nei documenti ufficiali. Perderebbe così di valore l’ipotesi della presenza di un bosco di mirto. Anche dopo la nascita del Regno d’Italia e il ripristino degli ordini religiosi, l’abbandono continua fino al 1888, quando un decreto del vescovo delle diocesi di Luni – Sarzana e di Brugnato, Giacinto Rossi, riaffida la cura  del santuario ai padri domenicani, i quali si prodigano nel ripristino e nella riparazione di tutto ciò che l’incuria ha danneggiato nel tempo e restituendo al santuario di Nostra Signora del Mirteto l’aspetto imponente e mistico insieme che richiama l’attenzione anche dal lontano fondovalle.
Dal 1933 al settembre 2003 il santuario e le sue opere sono custodite dai padri orionini; infatti i padri domenicani si trasferiscono  a La Spezia nel nuovo convento e parrocchia di San Pietro Apostolo a Mazzetta.

Ai religiosi orionini succedono i sacerdoti della “Fraternità Missionaria di Maria”, comunità originaria del Guatemala, che presta il suo prezioso servizio evangelico non solo nel santuario.
Ma questa non è più storia, è  cronaca di tutti i giorni.
Per concludere una curiosità sulla chiesa. Nella facciata, oltre al bel rosone rivestito, ovviamente, in marmo bianco della vicina Carrara, nella lunetta sopra l’architrave della porta centrale è presente un altorilievo della Madonna col Bambino e due devoti che, dallo stile dell’abbigliamento, sono appartenenti alla Confraternita dei Disciplinati, a cui si deve tutto.

Per qualche tempo l’opera è stata attribuita al giovane Michelangelo, ma la realtà è un’altra. Poiché Michelangelo frequentava, come tanti altri artisti, le cave di marmo bianco di Fantiscritti, l’anonimo scultore, dalle buone capacità tecniche, ha saputo ispirarsi e imitare lo stile michelangiolesco nello scolpire il suo altorilievo.

  


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