N° 5 - Giugno 2020
A PROPOSITO DI “NON C’INDURRE IN TENTAZIONE”
di Antonio Ratti

 

 Il  Messale ha introdotto dal 12 aprile la nuova formulazione: “E non  abbandonarci alla tentazione”, mentre la CEI ha stabilito che l’uso liturgico della preghiera modificata sarà introdotto a partire dalla 1° domenica di Avvento, il 29 novembre 2020. Per chiarirmi le idee su questa novità  ho confrontato il Padre Nostro in aramaico, la lingua usata da Gesù per insegnarlo agli Apostoli e ai discepoli, poi in lingua ebraica, greca e latina ed anche i Vangeli di Luca e Matteo, che riportano due testi, uno più lungo ed uno più breve, ma identici nel indicare questa frase. In tutti la traduzione letterale è “non metterci in tentazione” o “alla prova.”  Per la precisione, in greco è “non portarci dentro la tentazione” ( eisenenkes eis peirasmon ) ed  eis (dentro) è ripetuto due volte. San Gerolamo, autore della Vulgata ( la Bibbia in latino, testo ufficiale della Chiesa ), che oltre al greco conosceva  l’aramaico, traduce i testi greco e aramaico così: Et ne nos inducas in tentationem.  Perché si è voluto cambiare questa impattante espressione di  Gesù? Non sarebbe stata cosa migliore cercare di capire perché Gesù l’ha voluta così? Lo stile essenziale di tutta la preghiera, che Tertulliano definisce “Breviarum totius evangelii” ( la sintesi di tutto il Vangelo), che i Padri della Chiesa, i 35 dottori della Chiesa e i teologi orientali, abituati ai sofismi più spericolati, che insieme hanno strutturato e definita tutta la teologia cristiana, non hanno trovato niente da eccepire e che Enzo Biagi specifica essere " la perfezione stilistica e teologica", garantisce chiarezza e precisione nell’elencare ciò che il Padre ci suggerisce di fare e di chiedere. “Se passi in rassegna tutte le parole delle preghiere contenute nella Sacra Scrittura, per quanto penso io, non ne troverai una che non sia contenuta e compendiata in questa preghiera insegnataci dal Signore.” ( Sant’Agostino, lettera a Proba ) Pensiamo di fare meglio?O di averlo già fatto?  Ecco, per me,  la prima tentazione andata in porto, che spiega quelle che seguono.  Ciò che si vuole modificare per renderlo più comprensibile, perché sembrerebbe che Gesù non sia stato in grado di farlo, propone la tipica “provocazione” di Gesù per richiamarci a riflettere sulle brutte abitudini della natura umana, cioè le tentazioni.  Lo stesso Pietro nella sua prima lettera conferma l’espressione  in questione quando scrive: " In vista della salvezza che sta per essere rivelata nell’ultimo tempo…..siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova, torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà”. Se il buon Dio, che ha riaperto la via del cielo offrendoci Gesù, non può e non vuole indurre in tentazione le sue creature, allora, è la nostra arroganza a farlo.    Ne consegue, credo, che il  “non c’indurre in tentazione “ rappresenti e

  sia l’autocertificazione di sentirsi chiamato, quindi eletto, anziché solamente fortunato per il dono ricevuto, pertanto senza merito alcuno;

   sia l’umana presunzione di conoscere e di saper dire  le cose di Dio e, invece, troppo spesso, sono solo le nostre povere cose, magari, o talvolta, dette bene;

   sia la personale giustificazione ed autoassoluzione del nostro pensare e fare, perché succubi del nostro egoismo, insuperabile tentatore, il quale spinge per farci sentire i migliori;

   sia, al contrario,  il rifiuto  di dare una prospettiva trascendente alla propria esistenza e quindi  preoccuparsi  soltanto di ottenere e realizzare tutto ciò che ci preme nel breve tempo della vita materiale senza porsi limiti nella ricerca dei mezzi necessari, molto spesso lesivi del prossimo e violenti;

  sia il rifiuto di accettare la proposta che il progetto di salvezza, presente nel Padre Nostro, indica e suggerisce di accogliere liberamente come dono prezioso da fare lievitare;

  sia la certezza di essere certi del proprio pensiero senza una seria analisi del perché della creazione e delle sue finalità;

  sia la  natura umana,  in entrambi i casi ( cioè, la presunzione di essere cristiano perfetto e non in cammino o il rifiuto), ad essere responsabile delle proprie tentazioni percepite come il percorso più rapido e certo per soddisfare se stessi. L’aldilà è un’utopia fumosa e sconosciuta: carpe diem ( prendi e goditi  il giorno ) e andiamo sul sicuro.

Il problema vero non è tanto  un’espressione un pò criptica, ma ciò che, in modo esplicito e fuori da metafora, troviamo nelle pesanti parole del card. Robert Sarah : “ La vita interiore anemica che fa la Chiesa, in se stessa senza peccato, piena di peccatori”. Questa è la realtà che  non facilita il cambio di rotta. Temo che non sarà certo la modifica in questione a risolvere: necessita curare con determinazione l’anemia, cioè la causa che determina le difficoltà interpretative. Speriamo e preghiamo perché almeno aiuti.

P.S. 1)    Ecco cosa sono le “provocazioni di Gesù”. Se Gesù a quelli che erano pronti a lapidare l’adultera avesse detto “ Perché lo fate?” La risposta sarebbe stata “ La legge lo prevede” e sarebbero andati avanti. Gesù, invece, li  provoca dicendo “ Scagli la prima pietra chi di voi è senza peccato,”e li  spiazza mettendoli davanti alle loro responsabilità.  Gesù a Pietro, che gli giurava fedeltà fino alla morte, trova la forza con un velo d’ironia, di predire: “ Prima che il gallo canti  mi rinnegherai tre volte.” E quando succede l’apostolo capisce e piange amaramente.  Sempre a Pietro che gli faceva notare come il suo parlare duro allontanasse  le persone, Gesù lo provoca dicendogli: “Se vuoi, puoi andare anche tu”, costringendolo a riflettere e ammettere: “Dove vado senza di te; tu solo hai parole di vita eterna”. Il “Non c’indurre in tentazione” va inteso in questo senso, come un paradosso che induce a riflettere. Sfortunatamente, bisogna riconoscere l’endemica inadeguatezza della condizione spirituale di troppi cristiani, cioè la fede intesa come abitudine che si trascina stancamente e passivamente da una generazione all’altra diluendosi. Da qui l’idea a semplificare, ma non basta. E’ più indispensabile accrescere una preparazione ed una conoscenza oggi particolarmente superficiali, vaghe e imprecise della fede. 

   2)       La Chiesa nel suo magistero ha il compito di rendere comprensibile a tutti la Parola ed in questa ottica va interpretata la modifica al Padre Nostro. Sono ovvie le difficoltà di chi per una vita ha pregato con la frase in questione, etimologicamente più vicina all’originale, ma un po’ meno chiara, direi, ermetica e che richiede capacità d’interpretazione. Prendiamo atto di quanto ci suggerisce la Chiesa nel suo sforzo di  rendere più accessibile e appetibile il Progetto di salvezza che Gesù vuole arrivi a tutti.




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