N° 5 - Giugno 2020
Storie dei lettori
  Dal Diario di un Pellegrino
di Gualtiero Sollazzi



Le racconta Marquez nel suo “Cent’anni di solitudine”.  Purtroppo il ‘tema’ non finisce con i romanzi, ma invade la vita, oggi.
Qualcuno definisce la solitudine “il male del secolo” e non a caso molti suicidi sono “figli” di questo virus infernale. Quanti i colpiti: il barbone che intirizzisce nei cartoni, l’anziano in vana attesa di una telefonata, il disoccupato che, pur bussando a cento porte, non ne trova una aperta.
Il “virus” si accanisce sui giovani in cerca di lavoro,costretti a casa, a friggere dentro.
C’è pure la solitudine del prete, narrata da Quoist nella “Preghiera del sacerdote la domenica sera”: “Signore stasera sono solo.  A poco a poco, i rumori si sono spenti nella chiesa, ed io sono rientrato in casa, solo.”  Con una risposta, però, che vale per tutte le solitudini: “Figlio, non sei solo. Io sono con te. Sono te.”
Non basta che i discepoli del Signore si limitino a osservare il fenomeno. Occorre farsi prossimo “nelle periferie esistenziali” direbbe Francesco. Si genererebbe una “risposta” come la sognava Carver: “Hai ottenuto quello che volevi da questa vita, nonostante tutto? Sì. E cosa volevi? Potermi dire amato, sentirmi amato sulla terra. E’ della tenerezza che m’importa. Questo è il dono che stamattina mi commuove e sostiene. Al pari di ogni mattina”.





  Una vera quaresima
di Paola G. Vitale


Il Padre ha detto: “Basta:!

  Abbiamo sbagliato strada ma Lui ci ama ancora. È un po' come essere a Ninive dove Giona proclamò, nei tre giorni cammino, la distruzione di Ninive entro quaranta giorni. E questo, perché Dio amava ancora quel popolo depravato.
Da oggi, 10 Marzo 2020, l'Italia è ferma in ogni direzione, allo scopo di bloccare ed arrestare il virus rinforzato che sta invadendo il Pianeta. È una vera Quaresima, una opportunità per meritare ancora la Pasqua di Resurrezione di Cristo, per tutti i battezzati e per tutta la terra. Sia fermo il nostro cuore, fuori da ogni desiderio mondano e da ogni malvagità. Sia puro e penitente dinnanzi a Dio mentre anche l'atmosfera attorno alla Terra, riprende un poco di sollievo a causa della drastica riduzione dei voli. Cosa significa tutto questo? Vuol dire che siamo ammoniti ed indirizzati verso un cammino di modestia, onestà, moderazione e prudenza, se aspiriamo ancora alla vita, soprattutto per le nuove generazioni. Cerchiamo di intendere!

Un forte augurio di Buona Pasqua a tutti!

Luni Mare 10 Marzo 2020


  Il vero scopo della vita
di Enzo Mazzini



Un giovane medico si converte grazie all'incontro con un santo sacerdote nelle corsie dell'ospedale dove sono ricoverati i malati di Coronavirus.
La testimonianza commovente sta circolando sui social e, in base a quanto riportato, sarebbe di un medico sul fronte di battaglia contro il Coronavirus , in servizio in un ospedale della Lombardia e provvedo a riportarla: "Mai negli incubi più oscuri ho immaginato che avrei potuto vedere e vivere quello che sta succedendo qui nel nostro ospedale da tre settimane. L'incubo scorre, il fiume diventa sempre più grande. All'inizio ne arrivavano alcuni, poi decine e poi centinaia e ora non siamo più dottori, ma siamo diventati dei selezionatori sul nastro. Siamo costretti a decidere chi deve vivere e chi dovrebbe essere mandato a casa a morire, anche se tutte queste persone hanno pagato le tasse italiane per tutta la vita.
Fino a due settimane fa, io e i miei colleghi eravamo atei: era normale, perché siamo medici e abbiamo imparato che la scienza è portata ad escludere la presenza di Dio. Ho sempre riso dei miei genitori che andavano in chiesa. Nove gironi fa un sacerdote di 75 anni venne da noi. Era un uomo gentile, aveva gravi problemi respiratori, ma aveva una Bibbia con sé e ci ha impressionati perché la leggeva ai morenti e li teneva per mano.
Eravamo tutti dottori stanchi, scoraggiati psicologicamente e fisicamente sfiniti, quando abbiamo avuto il tempo di ascoltarlo.
Ora dobbiamo ammetterlo: noi come umani abbiamo raggiunto i nostri limiti: di più non possiamo fare e sempre più persone muoiono ogni giorno. Siamo sfiniti, abbiamo due colleghi che sono morti ed altri sono stati contagiati. Ci siamo resi conto che dove finisce ciò che l'uomo può fare, abbiamo bisogno di Dio. E abbiamo iniziato a chiedere aiuto a Lui: quando abbiamo qualche minuto libero parliamo tra di noi e non possiamo credere che da feroci atei siamo adesso, ogni giorno, alla ricerca della nostra pace, chiedendo al Signore di aiutarci a resistere in modo che possiamo prenderci cura dei malati. Abbiamo preso coscienza che senza Dio siamo un nulla.
Ieri è morto il sacerdote 75enne: Lui che, fino ad oggi, nonostante avessimo avuto oltre 120 morti in 3 settimane qui e fossimo tutti sfiniti, distrutti, era riuscito, malgrado le sue condizioni e le nostre difficoltà, a portarci una PACE che non speravamo più di trovare.
Il sacerdote è andato dal Signore e, se continua così, presto lo seguiremo anche noi.
Abbiamo preso coscienza che senza Dio siamo un nulla.
Non sono a casa da 6 giorni; non so quando ho mangiato l'ultima volta e mi rendo conto della mia inutilità su questa terra e voglio dedicare il mio ultimo respiro ad aiutare gli altri. Sono felice di essere tornato a Dio mentre sono circondato dalla sofferenza e dalla morte dei miei simili”. Ebbene, questa testimonianza viene a confermare che la vita senza Dio è una vita senza una vera motivazione. Solo in Lui può rifugiarsi la nullità umana e possiamo ritrovare il vero scopo della vita. L'esempio di questo santo sacerdote non è l'unico esempio di vera fratellanza fornito dai nostri fratelli religiosi: in questi giorni tanti volano in cielo dopo aver dedicato un'intera vita a tutti noi: basterebbe ricordare il sacerdote che qualche giorno fa, mentre era ricoverato, aveva ricevuto dai suoi parrocchiani un dono prezioso: un respiratore che era per lui indispensabile. Ebbene questo santo sacerdote si è privato di questo strumento per lui indispensabile, per metterlo a disposizione di altri fratelli sofferenti, affrontando la morte nella sofferenza.
La sua anima è volata in cielo e voglia Iddio che possa essere d'esempio a tutti noi e possa guidarci a gioire con lui in Paradiso, insieme a tutti gli operatori sanitari che hanno dato la vita, in questi giorni, per averla messa al servizio dei fratelli ammalati. Che Dio li abbia in gloria!

 



  Ippolito Nievo
di Romano Parodi


Ippolito Nievo

 

Da centocinquant’anni l’impresa dei garibaldini ha infiammato gli italiani e mi riesce un po’ triste aggiungere un’altra versione - oggi obliata - data da molti articoli e libri:
Fu vera gloria? Ci sono molti misteri irrisolti; ne cito solo due. E’ vero che il generale Rosolino Pilo, l’organizzatore dell’impresa, con Mazzini, Cavour, Crispi, etc., fu ucciso a Calatafimi in combattimento? Molti sono gli scritti che lo negano: fu assassinato. Cosa è successo a Ippolito Nievo, uno dei mille?  Ci sono centinaia di conti che non tornano. “Tutta la vicenda è piena di stranezze”. Esistono decine di libri al riguardo che parlano di queste stranezze. Uno anche di Umberto Eco, che, su Ippolito Nievo ipotizza una strage di Stato; strage con la quale si è inaugurata l’Unità d’Italia: affondato dalla destra sabauda, per paura delle sinistre camicie rosse: “Il cimitero di Praga - 2010”.
Ippolito Nievo, che a Cavour “assicurava eterno odio..”,
a 26 anni ha scritto “Le confessioni di un italiano”, considerato, dopo “I Promessi Sposi”, il secondo capolavoro della letteratura italiana, prima di Pirandello, terzo: “Anche se non è stato lavato nell’Arno è un romanzo impareggiabile e possente... è la storia di una nazione e del suo riscatto... con un personaggio femminile, la Pisana, davanti alla quale Anna Karenina o Natascia Rostova sono meno che steli inodori..” (Capolavoro che, come i Promessi Sposi, oggi non legge più nessuno, e poco anche Pirandello).
Nato a Padova nel 1831 è morto a Mar Tirreno nel 1861 (pensavo fosse una località); no, è “naufragato”, e non si sapeva dove.
Nel centenario della sua scomparsa, un suo pronipote, Stanislao Nievo, ha scritto “Il prato in fondo al mare”, che ha vinto il Campiello, dove racconta le vicissitudine fatte per ritrovare il relitto del piroscafo. Un’impresa alla quale hanno partecipato varie associazioni pubbliche, con sommozzatori di fama mondiale; persino il batiscafo dell’oceanografo e sub Jacques Cousteau.
Dopo 8 anni di ricerche l’hanno trovato; ma non i sei bauli di documenti e di piastre d’oro; questi erano stati mangiati dal mare (non sapevo che il mare mangia l’oro scozzese).
Era quello che si erano prefissi gli affondatori del piroscafo che li trasportava assieme ai 78 garibaldini, fra i quali tre ufficiali, e l’equipaggio.
Il colonnello Ippolito Nievo aveva cariche speciali nell’impresa dei Mille, una era quella di tesoriere, ed annottava tutto, anche le minime spese, anche le minime entrate. Testa calda e fanatico mazziniano (un popol morto dietro a lui si mise), già nel 48, a 17 anni, partecipa all'insurrezione di Mantova, e la famiglia per “calmarlo” lo allontana e lo manda a studiare in Toscana, a Pisa; ma ci ricasca subito: nel 49 partecipa alla rivolta di Livorno contro gli austriaci, accorsi in aiuto del granduca Leopoldo. Nel 57 fu processato a Milano per aver scritto libelli contro l’Austria. Poi si arruolò volontario nei “Cacciatori delle Alpi” con Garibaldi.
Malgrado fosse partito coi Mille per combattere (n° 690), ne ha avuto poche occasioni. Combatté solo a Calatafimi e a Palermo e poi fu nominato “Intendente di prima classe con compiti amministrativi e cronista ufficiale dell’Impresa”. Restò a Palermo fino al 4 marzo del 61 (l’impresa era iniziata ai primi di maggio del 60), poi prese un piroscafo, l’Ercole, per raggiungere Garibaldi a Napoli e consegnare i conti della spedizione: richiesti d’urgenza dall’ala conservatrice del governo subalpino che stava per proclamare il regno d’Italia (13 giorni dopo: martedì 17 marzo) e voleva sapere a quanto ammontava il bottino di guerra e il rendiconto delle spese sostenute.
Nievo aveva amministrato “un immenso patrimonio”, un bottino miliardario: solo i soldi del Banco di Sicilia, confiscati, ammontavano a 200 milioni di Euro odierni, ma, soprattutto, amministrava anche gli “aiuti”, che arrivavano da tutto il mondo, grazie alla Massoneria Inglese; si parla addirittura di un baule d’oro pieno di piastre turche e scozzesi.
Non ci sono più dubbi: furono gli inglesi a muovere i fili di tutto (Malta era una loro colonia, a Malta avevano la flotta che permise lo sbarco a Marsala, a Malta andò Rosalia Montamasson, su mandato di Crispi e Mazzini, a cercare aiuti. Il regno dei Borboni dava noia: aveva una forte flotta navale nel Mediterraneo e in Sicilia aveva lo zolfo, ambito da tutti). A cosa era servito tutto quell’oro, oltre che al vettovagliamento dei volontari? a comprare i vertici dell’esercito borbonico e della mafia. Vertici corrotti da chi? Chi sono i corrotti, chi sono i corruttori?

Montanelli ne cita uno: il mammasantissima barone Sant'Anna.
I mandanti affondatori, non volevano che trapelassero quei nomi e quegli stati, e il grande Ippolito Nievo e le sue carte, scomparvero per sempre.
C’è sempre del marcio in Italia” - direbbe Shakespeare – ma: Dietro grandi fortune, ci sono grandi crimini ovunque” - dice Goethe - “l’ultimo uomo universale a camminare sulla terra”.

P. s. Abbiamo toccato con mano, in questi tre brevi articoletti: Rosa Montmasson, Tonina Masaniello e Ippolito Nievo, l’amore per Mazzini; ma tutti lo hanno tradito, anche Garibaldi. Il “Santo” ha sempre propugnato una Repubblica popolare - invece - “hanno consegnato l’Italia ai moriana”. - dice Ceccardi.
Solo nel Referendum del 1946 Mazzini ha visto il suo trionfo: Dio e Popolo (senza re).


 N.B.. Forse esiste un’altra scrittura, ma io conosco solo questa, di notte, quando la paura di dover pensare, non mi lascia dormire. Il mese prossimo scriverò una paginetta su Mazzini, speriamo che Mario non s’incavoli.


  I RAGAZZI DEL SANTUARIO
di Sauro Repiccioli



Dalla mia infanzia sono cresciuto sotto questo Santuario. Alla mattina alle ore sette suonavano le campane per la messa e noi bambini si andava a servirla.
Alla domenica per noi era festa; il Santuario era aperto , tutto per noi. C’erano tanti giochi: il gioco delle bocce, c’era il croquet, l’altalena, il trapezio e gli anelli. Nel piazzale si giocava a pallone e ad altri diversi giochi.
Per noi il Santuario era come una famiglia.
Io sono cresciuto nell’azione cattolica, dalle “fiamme bianche” fino agli “uomini di azione cattolica”. Si faceva teatro, dai più piccoli ai più grandi.
A quattordici anni con Don Vignola, Gino e Carlo abbiamo dipinto tutta la Chiesa del Santuario.
La mia vita qui al Santuario è stata tutta un percorso. Sono fiero di aver fatto tanto volontariato e ora che ho ottantacinque anni e non posso più far niente, mi rattristo. Pazienza.


  Gli occhi di un bambino
di Marino Bertocci


 

Avete mai provato a guardare negli occhi un bambino poco prima che muova i suoi primi passi o lo abbia fatto da pochissimo?  I suoi occhi brillano di una lucidissima gioia indescrivibile e di una grande curiosità verso tutto ciò che è loro intorno. Allo stesso tempo, nel loro assoluto bisogno di tutto, trasmettono ,quasi tangibile, la fiducia, pulita ed inesauribile , che hanno verso il mondo.
Insomma: si fidano, senza ipoteche e senza riserve, affidando la loro sorte al mondo che li circonda ed abbandonandosi nelle braccia di chiunque loro le porga.
Ebbene, i popoli, i piccoli, i semplici del mondo non differiscono molto dai bambini innocenti…quando incondizionatamente affidano la loro esistenza nelle mani di chiunque proponga loro una vita migliore …Ecco perché penso alla grave, gravissima responsabilità che ricade sugli educatori, sui politici ,  gli amministratori in generale ed i tutori  della cosa pubblica e privata quando chiedono che venga loro  affidata l’ esistenza ed il futuro dei popoli perché con la  loro capacità di governo, indirizzo ,  gestione e tutela  possano migliorarne la vita.
Costoro dovrebbero di tanto in tanto fermarsi e perdersi negli occhi dei bambini innocenti…questo gesto sarebbe per loro, così come lo è per qualsiasi uomo,  una vitamina di onestà e di amore per il servizio del prossimo.
Questo pensiero, come un turbine, me ne porta tanti altri uno fra questi è che i bambini crescono e…diventano giovani.
Dall’odierna società la loro crescita umana, e non solo, viene data un po’ troppo per scontata…quindi spesso trascurata, se non abbandonata …eppure , questo è il convincimento di noi credenti .(mi pare una frase del profeta Isaia..) “anche i giovani faticano e si stancano, (così come gli adulti) inciampano e cadono; ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono le ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi”, .
Bisogna che qualcuno lo dica!!!

Ed è qui che “entra in campo” l’educatore., che io, ovviamente, vorrei cristiano…

Come sarebbe bello se così effettivamente fosse! Invece quanti fra noi si sono confrontati , e quotidianamente si confrontano, con le inquietudini di una gioventù che pare perduta al bene?

La mia esperienza tra i giovani mi insegna che c’è tra questi qualcuno il cui apparire è strepitoso, ma la cui sostanza umana e spirituale è pressoché nulla.

Questo giovane è impeccabile nel vestire , seducente e simpatico nel parlare, talora "scolpito "da qualche palestra o qualche chirurgo plastico per anzi tempo togliersi di dosso la patina del tempo, che comunque nessuno risparmia, si è trasformato quasi esclusivamente in cornice ,in addobbo. .insomma in apparenza...praticamente nel nulla...insomma in miseria... eppure , contro tutte le apparenze, forse i più tra questi , sono buoni, sono “sani” al punto da avere assurdamente paura di essere giudicati tali e quindi…come tanti moderni figliuoli prodighi apparentemente ribelli a ciò che una società disorientata loro trasmette quale omologazione, quindi da rifiutare.

Eppure la Vita, quella “vera” intendo, tutti li ( e ci) acchiappa, con i suoi dolori, le sue disillusioni, le sue fatiche e…allora l’apparenza non basta più.. non può bastare!

E’ necessario l’Amore, quello vero, quello che viene da “dentro”!

Ecco, allora, la grande responsabilità delle generazioni precedenti, o di coloro che, come dicevo all’inizio, si propongono quali guide o educatori: aiutare almeno qualcuno , comunque quanti più possibile, tra questi giovani a crescere, a diventare “uomini”. !
Tenendo ben presente che il figliol prodigo ha avuto una grande fortuna perché, benché sconfitto dalla vita, ha potuto scegliere di tornare da trionfatore nella accogliente casa del padre...che non aveva mai smesso né di amarlo né di attenderlo...ma quanti giovani hanno la stessa fortuna?
Quanti giovani trovano qualcuno che, contro il pensare omologato delle mode dice loro che si può andare oltre l’apparire e che l’importante è l’essere ?
In conclusione penso sia dovere di ogni credente trasmettere fiducia e speranza senza mai stancarsi o dimenticare che tutti a volte cerchiamo dai moderni "guru" quello che qualcun altro ci ha già detto con qualche migliaio di anni di anticipo.. “ecco, io sto sulla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me ”(Apocalisse)...

 


  Don Bosco
di Mila


 

Alcune sere fa ero a tavola con mio marito, stavamo finendo di cenare, sullo schermo televisivo, alla fine del telegiornale, le notizie sportive, calcio. Ecco che l'arbitro fischia un rigore e mio marito si mette a ridere, perché? Allora mi racconta: era ancora piccolino ed era andato con suo fratello Eliano, più grande di lui di alcuni anni, ad assistere ad una partita di calcio all'oratorio dei Salesiani. A quei tempi l'oratorio dei Salesiani di La Spezia era molto frequentato specialmente dai ragazzi del “proletariato” anche perché nel cortile c'era e dovrebbe esserci ancora un campetto per giocare a calcio. Grazie a quel campetto si erano formate delle squadre di calcio a seconda del quartiere dove abitavano quei ragazzi. Squadre che disputavano fra loro un vero e proprio campionato. Quel giorno si giocava una partita molto importante, una finale. Mio marito sugli spalti con suo fratello e un bel fischietto da arbitro al collo recuperato non si sa dove. Ecco che un attaccante si stacca dalla mischia e corre libero verso la porta avversaria, il pubblico immobile trattiene il fiato, è un gol, deve essere un gol, il gol della vittoria, ma ecco un fischio acuto, improvviso, il calciatore ha un attimo di esitazione e il pallone se ne va per conto suo a colpire il palo. Tutti guardano con gli occhi sbarrati Don Francesco, direttore spirituale di quei ragazzi e quel giorno arbitro della partita. Ma perché quel fischio? Era tutto da manuale! Non c'era nessun fallo! Perché quel fischio!  Ma, povero don Francesco, non era stato lui, la colpa era di un ragazzino un po' petulante che quel giorno era andato sugli spalti con un fischietto da arbitro e voleva dirigere lui la partita riuscendo solo a combinare un bel guaio. Un urlo, il ragazzino impallidì, ma gli andò bene, perché invece di menarlo fu solo interdetto da quel campo fino a nuovo ordine. Erano dai Salesiani e c'era Don Francesco e la parola d'ordine era Amore e Compressione. Questo nei ricordi di mio marito che, ancor oggi, quando parla dell'oratorio dei Salesiani gli si velano gli occhi di malinconia, dolce malinconia, “saudagi” direbbero i brasiliani. Adesso diciamo una cosa: dire Salesiani è dire Don Bosco, San Giovanni Bosco. Per parlare di Lui e della sua opera non è sufficiente un numero del “Sentiero” e poi io non sono così brava, mi accontenterò di qualche accenno e dirò subito che qui nel nostro Vicariato lo si festeggia nella parrocchia di Isola dedicata a Maria Ausiliatrice.
Giovanni Melchiorre Bosco, nato a Castelnuovo d'Asti – oggi Castelnuovo Don Bosco- il 16 agosto del 1815 e morto a Torino il 31 gennaio 1888 è considerato uno dei santi sociali torinesi più noti.
Presbitero e pedagogo, straordinario  educatore e indimenticabile parroco, nacque in una famiglia contadina poverissima e a due anni rimase orfano di padre. Sua madre rimase con tre figli: Giovanni e altri due che il marito aveva avuti dalla prima moglie e la suocera anziana e inferma. Anni difficili, fame e epidemie ma Giovanni cresceva robusto e intelligente, purtroppo avversato dal fratellastro Antonio che non voleva farlo studiare.

A nove anni ebbe un sogno che gli indicò la sua strada: vide un gruppo di ragazzi che si picchiavano tra urla e bestemmie. Lui si lanciò tra loro a pugni tesi urlando per cercare di dividerli ma fu fermato da un giovane avvolto da un fascio di luce che gli disse:” Io sono il figlio di Colei che tua madre ti ha insegnato a salutare almeno tre volte al giorno. Poi gli spiegò che non con le percosse, le ingiurie e la rabbia si educano i giovani ma con la mansuetudine e la carità. “Dovrai guadagnarti questi ragazzi per farli diventare tuoi amici, istruiscili sulla bruttezza del peccato e sulla preziosità della virtù”. Poi Giovanni vide la Madonna circondata da bestie feroci ma ecco le bestie feroci trasformarsi in agnelli e capretti. “Ecco questo è il campo nel quale dovrai lavorare, renditi umile, forte e robusto” e, posandogli la mano sul capo concluse:” A suo tempo capirai.”

Da allora Giovanni alla domenica dopo i vespri incominciò a riunire tutti i suoi  compagni, divenne per loro un apostolo in grado di affascinarli con il gioco e la sua gioiosa compagnia, imparò anche l'arte del giocoliere pur di tenerli legati a se in modo di farli crescere nella fede con la preghiera. Nonostante le difficoltà riuscì a diventare sacerdote nel 1841. Fu un Santo prete plasmato secondo il cuore di Dio. Vissuto nel XIX secolo e diventato famoso per la sua opera a favore della gioventù povera e abbandonata di Torino e dintorni, in un periodo difficile di profonde trasformazioni sociali e politiche.

Grande era la miseria allora, bambini di sette o otto anni che facevano gli spazzacamini. Giovani appena adolescenti che finivano in galera, e si può immaginare che razza di galera, e nessuno si occupava più di loro. Don Bosco combatté contro tutto e contro tutti per avvicinarli alla chiesa, dar loro amore, dignità, istruzione, tutela sul lavoro, insomma una vita tutta dedicata ai giovani e al loro benessere morale e materiale, il tutto con un metodo educativo innovativo basato sulla comprensione, l'allegria e la fede. San Domenico Savio cresciuto vicino a lui disse:” Alla scuola di don Bosco noi facciamo consistere la santità nello stare molto allegri e nell'adempimento perfetto dei nostri doveri.”
Nell'anno in cui divenne sacerdote, il1841, fondò anche il primo oratorio e di fatto iniziò l'opera che poi diventò la Società Salesiana fondata nel 1854. Nel 1872, con santa Maria Domenica Mazzarello fondò l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice che si sarebbe occupato dell'educazione delle ragazze.

Don Bosco scriveva anche molto, non perché cercasse fama, ma perché aveva la certezza che questa fosse la volontà divina, scriveva per educare e a gloria di Dio. E' patrono degli educatori, scolari, giovani, studenti e editori. Insomma tutto ciò che ha a che fare con l'insegnamento dei giovani.

Beatificato da papa Pio XI il 2 giugno 1929
Il 31 gennaio 1988 Giovanni Paolo II lo dichiarò “padre e maestro della gioventù.” Vorrei ancora dire una cosa.
In fondo alla basilica di Maria Ausiliatrice a Torino si trova il dipinto raffigurante il famoso “Sogno delle due colonne” considerato profetico sul futuro della Chiesa. In sogno Don Bosco vide una terribile battaglia tra una grande nave attaccata da una moltitudine di imbarcazioni che stavano per sopraffarla. La nave, guidata dal papa, si riparò sicura e vittoriosa, fra due alte colonne emerse dal mare. Queste ultime rappresentano l'Eucarestia, simboleggiata da una grande ostia con la scritta “Salus credentium”, la seconda la Madonna, simboleggiata da una statua dell'Immacolata con la scritta “Auxilium Christianorum”.
San Giovanni Bosco morì a 72 anni di bronchite e venne sepolto nella Basilica di Maria Ausiliatrice a Torino.


 Un augurio di serenità a tutti

 

  

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