N° 2 - Febbraio 2018
CONCILIO DI TRENTO ( 1545 – 1563 ) ( XIX ecumenico )
di Antonio Ratti

               

 

Contesto storico.
Che il Concilio Lateranense V° fosse di serie B e inutile nella sostanza lo si rileva dalla inconsistenza delle parole pronunciate da chi non vedeva l’ora di chiudere i lavori per mancanza di argomenti da discutere, mentre nell’Europa del nord divampava da alcuni anni una pesante ed estesa rivolta contro la Chiesa di Roma. Leone X, nella sua pochezza, pensa che alla guida ci sia un fraticello, definito un “ cinghialotto nella vigna del Signore”, inadeguato a fare danni consistenti e permanenti.  Queste sono le parole di detto papa per giustificare la chiusura del Concilio: “Infine, viene riportato a Noi (Papa Leone X) in numerose occasioni, dai cardinali e dai prelati dei tre comitati del concilio, che non è rimasto nessun argomento da discutere a loro parere e che ormai da numerosi mesi nulla gli è stato portato da nessuna persona.”
Eppure, anche dopo il Lateranense V°, continuano gli insistenti appelli per un concilio vero che ponesse al centro la Chiesa e non gli interessi politico-religiosi di papi, cardinali, re e imperatore, cioè tutto tranne che la fede.
Lo stesso Lutero nel 1518, poco dopo la risonanza mediatica dell’affissione delle sue 95 tesi alla porta della chiesa di Ognissanti ( Schlosskirche ) del castello di Wittemberg, il 31 ottobre 1517, giudica così il Concilio del Laterano: “A Roma ignorano più o meno tutto quello che bisogna dire sulla fede. Ne hanno dato prova clamorosa in quest’ultimo concilio romano.” e si appella all’autorità di un vero concilio.
Nel 1520 sull’opuscolo “Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca”, scrive: “Quando la necessità lo impone e il papa è causa di scandalo per la cristianità, chiunque si trovi in grado di farlo deve adoperarsi per la riunione di un vero concilio libero.”  Per Lutero un concilio è libero quando è tolto al controllo assoluto del Papa: tesi che dal concilio di Costanza in poi è oggetto di dibattiti e scontri e che il Lateranense V° condanna definitivamente, perché, come vuole la tradizione e l’investitura di Gesù a Pietro, non è accettabile. Anche l’imperatore Carlo V, nonché re di Spagna, chiede la convocazione di un concilio per la pacificazione della Germania che ritiene di poter più facilmente ottenere mettendo ordine e pace tra le forze centrifughe che chiedono una profonda riforma della Chiesa e quelle conservatrici che osteggiano ogni cambiamento per il timore che riprendano vigore le tesi conciliariste ( il concilio superiore al papa ) e per le temibili conseguenze prevedibili dalla pretesa  di corpose riforme dottrinali e disciplinari ( vedi le tesi rivoluzionarie di Lutero ).
Questi incessanti appelli avevano già “costretto” papa Pio II Piccolomini
( 1458 – 1564 ) ad emanare la bolla Exsecrabilis con la quale è comminata la scomunica a chiunque faccia appello ad un concilio, la cui indizione è prerogativa esclusiva del pontefice. Papato e Curia romana erigono un muro che ritengono invalicabile e non si rendono conto che il processo riformatore procede velocemente anche senza di loro e con maggiore asprezza a causa della loro indifferenza e sufficienza. Nella dieta imperiale di Norimberga (1523) cattolici e protestanti concordano nel reclamare un concilio “libero e cristiano in terra tedesca”. L’imperatore Carlo V appoggia e sollecita, ancora una volta, questa richiesta, intesa come unico mezzo per ridare pace e unità all’impero che di fatto è formato da tante entità territoriali pressoché autonome: infatti i grandi elettori e i principi feudatari, ormai, sono divisi tra sostenitori dell’ortodossia, sebbene in contrasto con la Curia romana per il suo strapotere e riformatori luterani. La medesima situazione si verifica nella popolazione, provocando ribellioni e scontri fisici; il tutto è causa di tensioni e instabilità politica che preoccupano l’imperatore già alle prese con la rivale Francia. Il concilio richiesto dalla Dieta di Norimberga deve essere:

* libero, ovvero sotto l’autorità dell’imperatore e non del Papa;

* cristiano, ovvero con la partecipazione anche dei laici;

* la sede deve essere in territorio tedesco per ragioni di sicurezza.
I papi, incerti sul da farsi e impreparati ad affrontare un concilio dagli sviluppi incontrollabili e dall’esito imprevedibile, si mostrano più propensi a favorire tentativi di riforma ( sicuramente più gestibili e controllabili ) senza l’assise conciliare, come quello del 1536 nel quale si elabora il Consilium de emendanda ecclesia ( Consigli per correggere la Chiesa ). Di fatto ogni scusa e pretesto sono buoni per non decidere: meglio vivere alla giornata che assumersi la responsabilità, ormai, indifferibile di mettere ordine nella Chiesa e nelle sue strutture organizzative.  A complicare la situazione è la guerra che a più riprese, tra il 1523 e il 1559, si accende tra la famiglia imperiale degli Asburgo e il Regno di Francia e che vede la Francia tra due fuochi, la Spagna e l’Impero. Il papa, contrario al concilio, che sicuramente gli sfuggirebbe di mano, è appoggiato dal re francese Francesco I° che è ai ferri corti e in guerra aperta con Carlo V°, il quale , come imperatore del Sacro Romano Impero, ha il compito, insieme al papa, di estirpare ogni forma di eresia.
Come si può notare, è un vero guazzabuglio e inestricabile circolo vizioso che rendono improponibile un concilio. Paolo III° ( eletto nel 1534 ) tenta nel1536 di indirne uno  per l’anno successivo , 1537,  da tenersi a Mantova.  Il duca locale, che avanza molte richieste economiche per garantire la sicurezza e la ripresa delle ostilità tra le due potenze europee (Francia e Impero), fanno slittare la convocazione al 1538 a Vicenza, ossia in territorio neutrale, perché veneziano. I pochissimi vescovi che si presentano inducono a differire a tempi migliori il concilio. Intanto si cambia nuovamente la sede. La scelta cade su Trento, in quanto è un feudo tedesco e imperiale, retto da un principe-vescovo, inoltre la città è equidistante da Roma e dalla Germania. L’ennesima ripresa delle ostilità tra Francia e Impero blocca ancora l’apertura fissata per il 1542. Finalmente la Pace di Crépy (1544) impegna Carlo V e Francesco I a favorire la convocazione di un concilio, di rispettarne alla lettera le decisioni e di obbligare la convocazione dell’assemblea conciliare nella città imperiale di Trento.
Preparazione e convocazione.
A questo punto Paolo III° emana la bolla Laetare Jerusalem che intima l’apertura del Concilio a Trento per il 15 marzo 1545, data spostata al 13 dicembre del medesimo anno. Finalmente i lavori iniziano senza la partecipazione dei protestanti a dimostrazione che da entrambe le parti manca del tutto la volontà di riunificazione; infatti per la Chiesa cattolica romana è il concilio detto della “Controriforma.”
Per molti mesi si affrontano solo questioni procedurali. Carlo V sostiene di iniziare con la riforma disciplinare della Chiesa, il papa, attraverso i suoi legati, è di parere opposto, poiché intende affrontare prima i temi dottrinali. Compromesso: coesistenza temporale delle questioni disciplinari e dottrinali.
Paolo III°, però,  riesce nel sul intento facendo deliberare subito sulla dottrina, scavando così un solco profondo con il mondo riformato, chiudendo a possibili future intese o riconciliazioni. Finalmente l’estenuante preparazione ha termine e il 13 dicembre, terza domenica di Avvento, iniziano ufficialmente nella cattedrale di Trento, dedicata a san Vigilio, i lavori che durano 18 anni e che procedono in tre fasi 1545 – 1547, 1551 – 1552 e 1562 -1563 intervallate da lunghe sospensioni causate da difficoltà interne ed esterne all’assemblea conciliare.                                               (1, continua )

 

                                                                                                                     


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