N° 3 - Marzo 2017
CONCILIO di LIONE I ( 1245 )
di Antonio Ratti


Padre Nazareno Fabbretti nel libro I Vescovi di Roma, a proposito degli anni che vanno dal Concilio Lateranense IV (1215 ) al Lione I, si esprime così: “ Il conflitto tra papa Fieschi ( Innocenzo IV ) e Federico II è una grande occasione storica perduta.
Se Innocenzo III, Gregorio IX e Innocenzo IV avessero trovato dialogo e accordo politico, religioso e culturale, forse già da quel momento laicità e fede nella storia avrebbero avuto convivenza più pacifica e feconda, salvando i secoli a venire da intolleranze ugualmente sanguinose.
” Sempre padre N. Fabbretti scrive di Innocenzo III: “. È il più potente sovrano della Chiesa che la storia della cristianità conosca. Per lui Chiesa ed Impero non sono che due aspetti consostanziali e complementari dello stesso mandato divino ed umano concessogli per dominare i popoli…Ritiene, pertanto, per sé scontato il diritto delle due spade, cioè il potere religioso e politico non solo su tutti i cristiani, ma, in assoluto, anche su tutti gli uomini.”
Con questi presupposti è arduo intavolare un dialogo e trovare un accordo con un laico che, forse, per reazione alla forzosa educazione cristiana impartitagli dallo stesso Innocenzo III, amava la libertà più completa in modo ossessivo come e quanto Innocenzo III e i suoi immediati successori pretendevano la sottomissione di ogni potente e potere.
Sinibaldo Fieschi, di Lavagna-SanSalvatore dei Fieschi, eletto papa, sceglie scientemente il nome di Innocenzo IV per mostrare la ferma determinazione di proseguire la politica del suo illustre predecessore, pur proponendo una trattativa per individuare una soluzione pacifica.
Federico II, grande e illuminato imperatore, primo sovrano umanista, poeta e letterato del Medioevo, ha obiettivi esattamente opposti a quelli del papa attuale come lo era stato con i precedenti: non intende concedere diritti e privilegi, né tollerare un’autorità superiore che lo condizioni e lo limiti. Quindi la trattativa è destinata a fallire, anzi Federico minaccia di muovere su Roma per catturare il pontefice che, per sicurezza, crea al volo 12 cardinali per avere una propria Curia e s’imbarca con loro per Genova presso la sua famiglia.
Dopo tre mesi muove verso Lione con l’intenzione di convocare un Concilio generale al fine di scomunicare per la seconda volta l’imperatore ribelle e riaffermare i diritti della Chiesa anche sui territori imperiali cari a Federico; Puglia e Regno delle due Sicilie.
Federico, in risposta, invita i principi cristiani a punire la corruzione e l’invadenza del clero in ogni settore della società civile. Un altro pesante contenzioso riguarda il rifiuto di Federico a partecipare ad una crociata (chiodo fisso dei papi del tempo) per liberare Gerusalemme e il Sacro Sepolcro.
Federico, come aveva già fatto Francesco d’Assisi con il famoso Saladino, incontra pacificamente il sultano Malik-hel-Khemel ed entra in Gerusalemme per sottolineare che è possibile dialogare e non solo combattere. Innocenzo IV, giunto a Lione, il 27 dicembre del 1244 convoca il Concilio per il giugno 1245. Il Concilio si deve occupare dei rapporti con l’Imperatore, al quale tre mesi prima dell’apertura dei lavori (13 aprile) viene rinnovata la scomunica con annessa deposizione dal trono imperiale, sperando di intimidirlo; dei mezzi per intervenire in Terra Santa rioccupata dal Sultano nel 1244; del pericolo dei Tartari di Gengis Kan, che, conquistata la Russia e la Persia, si preparano ad invadere l’Europa attraverso la Polonia e l’Ungheria. La scomunica può avere conseguenze gravissime, infatti, automaticamente libera tutti i sudditi dall’obbedienza all’imperatore; quindi rappresenta un’arma devastante che Innocenzo IV giustifica con queste parole:
 “ Bisogna ricordare per quale diritto il papa depone l’imperatore: il Giusto figlio di Dio, mentre era ancora in vita, e da ogni eternità, era Signore per natura; così, egli avrebbe potuto, per diritto naturale, lanciare una sentenza di deposizione e di condanna contro gli imperatori e ogni altro sovrano, poiché si trattava di persone che egli aveva creato e arricchito di doni della natura e della grazia. Per la stessa ragione, il suo Vicario lo può ugualmente.” Il 28 giugno 1245 il Concilio ha inizio con la presenza di 144 vescovi per lo più spagnoli e francesi, assenti i tedeschi e gli ungheresi, pochissimi gli italiani. I lavori si aprono con un discorso sui “5 dolori del Papa”: corruzione morale, atti di pirateria dei Saraceni lungo le coste italiane e occupazione islamica di Gerusalemme, lo scisma con la Chiesa ortodossa, la minaccia dei Tartari convertiti all’islam e la persecuzione verso la Chiesa posta in essere dall’Imperatore.
Come si può notare la scena conciliare è occupata da questioni politiche, mentre quelle pastorali, canoniche e disciplinari sono del tutto marginali. Imitando in tutto il suo predecessore di nome, fa votare nella terza e ultima sessione (17 luglio) 91 privilegi favorevoli alla Chiesa romana promulgati da imperatori e re, da Ottone I a Federico II (ben 35!). I rappresentanti dell’imperatore (Taddeo da Sessa e Pier Delle Vigne) contestano l’autenticità dei privilegi e la regolarità della convocazione del Concilio stesso, considerandolo, pertanto, non valido. Il risultato pratico del Concilio è nullo, perché sul piano politico non cambia niente: le diatribe tra i due poteri continueranno ancora per secoli; mentre all’interno delle Chiese d’Occidente, a causa della pesante centralizzazione romana imposta dai due Innocenzo, III e IV, l’imposizione fiscale istituita dal papato, le negative ricadute sulle Chiese locali per la politica dei benefici ecclesiastici da parte della Curia papale, le limitazioni alla libertà di scelta dei capitoli cattedrali sulle elezioni vescovili, la politicizzazione della Chiesa romana, che avoca a sé il diritto di validare e revocare la nomina di imperatori e re, oltre a diventare uno Stato sovrano, il disagio è grande e diffuso. Ormai non ci troviamo di fronte al “Vicario di Cristo”, ma ad un “Superman”, superuomo, che pretende, con determinazione, diritti e privilegi. C’è un po’ di delirio di onnipotenza: il “non c’indurre in tentazione” in questo periodo non è materia di riflessione. Nella sostanza, si sfrutta il proprio ruolo per ostentare e ottenere potere terreno attraverso quello religioso. Non è davvero un bel periodo. 



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