N° 5 - Maggio 2016
Concilio di Nicea II (786-787)
di Ratti Antonio


Il secondo Concilio ecumenico di Nicea è convocato su richiesta di papa Adriano I (772 – 795) dall’imperatrice d’Oriente Irene l’Ateniana, cioè di origine ateniese, per condannare l’iconoclastia, “rifiuto delle immagini”, e il ripristino del culto delle immagini, “ iconodulia”.
 Il contesto storico in cui si inserisce questo Concilio è molto complesso e difficile dal punto di vista politico e religioso e presenta rapidi mutamenti legati all’instabilità del potere imperiale, che, invece, come costante, interferisce pesantemente nella sfera religiosa.
La Chiesa orientale  e in particolare il Patriarcato di Costantinopoli, per più di un secolo, sono coinvolti dal flagello iconoclastico che distrugge materialmente non solo ogni raffigurazione sacra, ma depaupera un immenso patrimonio artistico-culturale costituito da icone, mosaici, dipinti che le grandi comunità conventuali avevano prodotto.
Un esempio, vicino a noi, ci fa capire la situazione di estremo disagio vissuto da molte comunità cristiane. L’arrivo sulla spiaggia della città di Luna intorno al 780 delle reliquie del Volto Santo, oggi a Lucca, e del Preziosissimo Sangue, oggi nella cattedrale di Sarzana, rappresentano l’estremo tentativo di salvare le venerate reliquie dalla follia iconoclasta affidandole a marinai diretti in Occidente o, addirittura, sigillandole entro tronchi d’albero e  consegnate alla benevolenza del mare. Nella chiesa di san Lorenzo a Porto Venere è conservato uno di questi legni.
Torniamo a Costantinopoli, sede del patriarcato e capitale dell’Impero bizantino.
Sembra che certi uomini di Chiesa non possano vivere senza inventarsi il modo di creare attriti e polemiche, pertanto, superate ormai le dispute teologiche sulle nature di Gesù e le persone della Trinità, si tira in ballo la liceità della venerazione delle immagini che potrebbe sfociare in idolatria, cioè nel dare culto alle immagini e non alla realtà che esse rappresentano. Il pericolo è reale e latente anche oggi. Provocatoriamente, ripeto, provocatoriamente: si è più vicini a Maria nella grotta di Lourdes piuttosto che al Santuario mariano del Mirteto? Il silenzio e la pace che si respira sul colle del Mirteto, come in altri luoghi romiti, ritengo che faciliti di molto la ricezione e la trasmissione del segnale da parte del cellulare di cui è dotata la nostra anima. Più di uno sarà dissenziente, ma per me è così. Chiudo la parentesi diversiva.
Gli iconoclasti a sostegno delle loro tesi, si richiamano al Vecchio Testamento che vieta la rappresentazione visiva del sacro e del divino. Lo stesso cristianesimo primitivo e paleocristiano faceva uso di simboli come il pesce, l’agnello, l’ancora, ecc., per indicare Gesù. Solo dal IV secolo si comincia a decorare i luoghi di culto con figurazioni sacre che ricordano episodi dei Vangeli e a produrre icone soprattutto con volto di Maria, oggetto di particolare venerazione. Il rifiuto ostile all’immagine, in Oriente e nella Chiesa Orientale, trova la sua giustificazione quando esse finiscono, sempre più spesso, per avere, non più una funzione decorativa, ma sostanziale, in quanto diventano il centro della vita liturgica e, col tempo, intorno ad esse comincia a svilupparsi un vero e proprio culto. 
Anche i Padri della Chiesa non hanno intravisto il pericolo e, poi, c’è poca chiarezza sul significato delle parole culto, venerazione e adorazione. Il Concilio, non ecumenico, di Quinisesto (691-692) affronta il problema, vietando la rappresentazione figurativa di Gesù, ormai presente ovunque, persino sulle monete di Giustiniano II (685 – 695). Con l’ascesa al trono di Leone III, l’Isaurico, da Isauria, regione turca di provenienza (717 – 740),  inizia la vera e propria “caccia alle streghe” con la distruzione e cancellazione violenta di ogni immagine sacra. Le grandi istituzioni monastiche e il grande teologo, nonché Padre della Chiesa, Giovanni Damasceno, si oppongono alla politica imperiale ingaggiando una dura lotta di resistenza che avrà termine ben dopo il Concilio di Nicea II e cioè nell’843.
Costantino V (740 -775) continua con vigore la politica paterna e convoca un Concilio nel 754 a Hieria (vicino a Calcedonia, dove esiste una reggia)  nel quale si afferma come il culto delle immagini sia, non solo idolatria (adorazione di idoli), ma anche eresia. Solo il Patriarcato di Costantinopoli, in mano a uomini contigui all’imperatore, riconosce e fa proprie le decisioni conciliari. Gli altri patriarcati (Gerusalemme, Alessandria, Antiochia, Roma) non riconoscono il Concilio e rifiutano  gli atti conciliari.
La politica imperiale cambia radicalmente con la morte prematura di Leone IV (780), poiché diventa imperatrice-reggente del minorenne Costantino VI (770 – 797), la madre Irene, favorevole al culto delle immagini. Con il pieno assenso del papa Adriano I, convoca il Concilio che doveva svolgersi a Costantinopoli, ma la sede iniziale e la data d’inizio sono spostate a causa dei disordini provocati dagli oppositori iconoclasti. Il Concilio si riunisce sotto la presidenza di Tarasio, patriarca di Costantinopoli, nella chiesa dei Santi Apostoli della città, nel 786. La maggioranza dei vescovi presenti è notoriamente iconoclasta ed applaude all’improvvisa irruzione della Guardia imperiale che costringe l’Imperatrice a sciogliere l’assemblea. Irene non si dà per vinta, epura la Guardia infedele e, per garantire maggiore sicurezza ai lavori e ai padri conciliari, trasferisce il Concilio a Nicea, dove i lavori riprendono il 14 settembre 787.  Sono presenti circa trecento vescovi e molti abati. L’Occidente è rappresentato da una quindicina di vescovi dell’Italia meridionale, che non hanno mai partecipato alle lotte iconoclaste e da due rappresentanti di papa Adriano I, entrambi  di nome Pietro. Nella prima sessione ai vescovi dichiaratamente iconoclasti viene data una scomoda scelta: o rimanere sulle proprie posizioni e quindi essere deposti, oppure accettare le decisioni del Concilio, ma restando in silenzio durante i lavori.
Nella seconda sessione viene letta e approvata la lettera di papa Adriano, dove si legge questa affermazione: “I cristiani non testimoniano il loro rispetto ai legni o ai colori, ma a quelli  di cui le immagini recano il nome”.  A Nicea si tengono sette sessioni, l’ottava si tiene nel palazzo imperiale della Magnaura a Costantinopoli il 13 ottobre 787, dove, dopo aver letto il documento finale (Horos) alla presenza  di un grande concorso di popolo, vengono apposte le firme imperiali di Irene e del figlio Costantino e in successione dei presenti all’Assemblea.
Si può concludere che il Concilio definisce e fa chiarezza  sui termini, indicando la netta differenza tra  venerazione delle immagini, ammessa, e adorazione (latria) assolutamente negata, perché riservata solo a Dio. Viene ben evidenziato che la venerazione delle immagini vuol dire venerazione delle persone che rappresentano e non delle icone stesse in quanto tali. Dal documento finale ho estrapolato queste due frasi che mi paiono molto utili da ricordare anche oggi: “L’onore reso all’immagine, in realtà, appartiene a colui che viene rappresentato e chi venera l’immagine, venera la realtà di chi in essa è riprodotto…. Quanto più frequentemente queste immagini vengono contemplate, tanto più quelli che le contemplano sono portati al ricordo e al desiderio dei modelli originali e a tributare loro rispetto e venerazione”.  Ovviamente neppure il Nicea II e l’impegno dell’imperatrice mette a tacere gli ultra-iconoclasti: la lotta tra le opposte fazioni continua come se le decisioni conciliari fossero acqua fresca. Nell’815 l’imperatore Leone V annulla, motu proprio, il Concilio di Nicea, ripristinando le decisioni del Concilio iconoclasta di Hieria del 754; il suo successore Michele II nell’820 annulla Hieria  a favore di Nicea. L’altalena ha termine con Michele III e sua madre Teodora che convocano un Sinodo a Costantinopoli, l’11 marzo 843, nel quale si arriva alla conclusione del conflitto eliminando definitivamente l’iconoclastia. Gli imperatori sono sempre più alle prese con problemi politici e militari gravissimi a causa dell’islam che erode e conquista territori asiatici dell’Impero, per perdersi dietro a polemisti per vocazione e professione. Comunque il problema della venerazione eccessiva di immagini o di oggetti che richiamano il sacro è una suggestione latente ed  una tentazione anche dell’oggi.

NOTE.

1.     Culto di DULIA : termine teologico per indicare l’onore reso ad un santo. Sinonimo è VENERAZIONE

2.     Culto di LATRIA: termine teologico per indicare il culto più alto, reso solo a Dio, cioè alle tre Persone della Santissima Trinità. Sinonimo è ADORAZIONE

3.     Culto di IPERDULIA: termine teologico per indicare il particolare culto a Maria, Madre di Dio.

4.     L’imperatrice Irene aveva una fede così “ profonda e sincera”  e un forte senso della maternità che nel 797, organizza una congiura e acceca il figlio Costantino VI, che muore per le conseguenze delle ferite, per poter governare da sola, senza il figlio, che ormai maggiorenne, non vuole più la tutrice. Questa nota per dire in quali mani è passata la nostra fede per diversi secoli.



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