N° 10 - Novembre 2020
COMMENTO AI VANGELI – MESE DI NOVEMBRE 2020, ANNO A/B
di Egidio Banti


 Domenica 1° novembre, solennità di Ognissanti (Matteo, 5, 112)

 La festa di Ognissanti è una delle più importanti dell’anno liturgico e, per tradizione, vede le chiese più affollate che in altre circostanze. La sua origine, al contrario di quanto a volte si ritiene, non è di derivazione celtica, bensì viene dall’Oriente: in origine, però, la festa si celebrava la prima domenica dopo Pentecoste, tra maggio e giugno, a conclusione del grande ciclo pasquale. Questo avviene ancora oggi nel calendario liturgico delle Chiese ortodosse bizantine. In Occidente, la festa fu trasportata al primo novembre da Papa Gregorio Magno, alla fine del VI secolo, e divenne di precetto nell’anno 835, sotto Papa Gregorio IV. Il Vangelo è quello tradizionale detto “delle Beatitudini”. Chi altri potrebbero essere i santi, infatti, se non coloro che nella loro vita e nella loro testimonianza hanno incarnato le caratteristiche proclamate da Gesù in quel celebre brano iniziale del Discorso della montagna ? Ebbene, c’è un aspetto del testo riportato da Matteo, in parte differente da quello di Luca, che merita un’osservazione. Gesù, a proposito dei “poveri in spirito” e dei “perseguitati a causa della giustizia”, non dice che di loro “sarà” il regno dei Cieli, bensì che “di loro è il regno dei Cieli”. Questo particolare rientra nella tipicità messianica di Matteo, che insiste nel presentare Gesù come l’atteso “messia”, che invera e attualizza i profeti già con la sua venuta. Ma è un particolare che vale anche per noi, credenti: improntando la nostra vita alle beatitudini proposte da Cristo, e agli insegnamenti della Chiesa, noi possiamo essere già ora “nel regno”. Quindi, possiamo anticipare il nostro essere santi, sia pure, come sempre avviene su questa terra, in forma limitata e parziale. L’Eucaristia, cioè Cristo che viene dentro di noi, non avrebbe del resto significato se noi già ora, in Grazia di Dio, non fossimo parte del numero grandissimo dei santi del Cielo. L’inverno che ci attende – oggi simboleggiato anche dal cambio di orario e dal venir meno prima, ogni sera, della luce del sole – è spezzato e sconfitto dal calore straordinario che proviene dalle beatitudini. Non ci sarà “inverno” nella nostra vita, se noi ci sforzeremo di essere “santi” con Gesù e in Gesù.

Domenica 8 novembre – XXXII del Tempo Ordinario (Matteo 25, 1 - 13)

E’ novembre, e l’anno liturgico si avvia verso la sua conclusione, che è una conclusione di carattere messianico e, per così dire, “escatologico”: riguardante cioè l’annuncio e la preparazione della venuta finale del Signore, alla fine del tempo. Anche il Vangelo di oggi, relativo all’episodio delle “vergini savie”, ci prepara in qualche modo alla venuta finale di Cristo, rappresentato dallo sposo che rientra in casa a notte fonda, quando ormai quasi nessuno lo attende. Noi non sappiamo, infatti, quando ci troveremo di fronte a Lui, né come singole persone (alla nostra morte terrena) né come umanità nel suo complesso. Dobbiamo dunque essere pronti, per dimostrare a Gesù che viene come lo abbiamo atteso, non solo negli atteggiamenti esteriori (la lampada dell’olio pronta, come tengono appunto le vergini “savie”), ma anche e soprattutto in quelli interiori. La luce delle lampade, come quelle che si tengono accese presso le tombe delle persone care, è segno di vigilanza, quindi anche dell’essere pronti ad entrare nel Regno. Chi non lo farà – come le vergini “stolte” – non sarà punito per cattiveria del Signore, ma perché, per sua libera scelta, avrà rinunciato al mandato ricevuto con il Battesimo.

Domenica 15 novembre– XXXIII del Tempo Ordinario(Matteo  25, 14-30)

Anche la parabola cosiddetta dei “talenti”, presentataci dal Vangelo di oggi, rientra nel cammino “escatologico”, legato cioè al giudizio che il Signore darà nei nostri confronti dopo la nostra morte. Il capitolo 25° del Vangelo di Matteo, da cui sono tratti i brani di queste ultime domeniche, è il capitolo che precede immediatamente il racconto della Passione. Parabole come quella odierna sono quindi presentate dall’evangelista quasi come le “ultime raccomandazioni” di Gesù ai discepoli, prima della sua morte. Il Signore che “parte” è Gesù che lascia la terra la sua Chiesa, per ritornare “dopo molto tempo”, cioè alla fine del tempo. Noi, suoi discepoli, abbiamo il compito, e il dovere non solo di custodire, ma di mettere a frutto i talenti che Egli ci lascia: non talenti materiali, si badi bene (anche se qualcuno interpreta erroneamente questa parabola quasi come un piccolo manuale di economia …), bensì spirituali. Quei talenti sono i comandamenti, sia quelli della Legge antica, sia soprattutto quello specifico e tanto più importante affidatoci da Cristo: il comandamento dell’amore. E’ l’amore per Dio e per il prossimo che rende davvero frutto, nella nostra vita, più di qualunque bene economico. E sulla capacità di averlo sia custodito sia manifestato a tutti, portandone frutto, noi saremo giudicati.

Domenica 22 novembre – Solennità di Gesù Cristo Re dell’Universo (Matteo 25, 31 – 46) – Ultima domenica dell’Anno liturgico

Siamo dunque arrivati alla conclusione dell’anno liturgico. Anno liturgico che è il simbolo della storia dell’umanità, destinata a concludersi con la fine del mondo e la venuta del “re”, Signore del tempo e dell’universo. Matteo conclude con questo grande annuncio il suo Vangelo, prima della descrizione della Passione, Morte e Risurrezione di Cristo. Lo conclude così, perché per lui, così attento all’insegnamento dei profeti, è proprio in tal modo che si concluderà il cammino biblico del popolo eletto, non più però solo il popolo ebraico, ma tutto il grande popolo dei discepoli di Cristo, chiamati ad essere “santi”. Per esserlo, dobbiamo sin da ora comprendere e fare nostre le ammonizioni di Gesù nell’ultimo giorno, anticipate appunto nel Vangelo di oggi. Che sono il cammino della misericordia, quel cammino che ha unito sempre la vita della Chiesa nei secoli e, in particolare, il messaggio degli ultimi Papi, da san Giovanni Paolo II a Francesco, in perfetta linea di continuità. Prendiamo dunque le parole con cui proprio Francesco, quattro anni or sono, ha commentato questo brano evangelico: “A causa dei mutamenti del nostro mondo globalizzato, alcune povertà materiali e spirituali si sono moltiplicate: diamo quindi spazio alla fantasia della carità per individuare nuove modalità operative. In questo modo la via della misericordia diventerà sempre più concreta”. L’anno liturgico finisce ma, per ora, non ancora finisce la nostra vita terrena: dobbiamo quindi far tesoro di queste lezioni così importanti per non sprecare il tempo ancora a nostra disposizione.

Domenica 29 novembre – I del tempo di Avvento  (Marco, 13, 33-37)

Buon anno ! E’ questo il saluto fraterno che oggi, entrando in chiesa, ma anche solo incontrando le altre persone, dovremmo tutti scambiarci. Oggi infatti inizia un nuovo anno liturgico, ovvero una nuova sintesi di quel cammino di storia e di fede che ci accompagna verso il traguardo dell’incontro con Cristo. Dal punto di vista della Chiesa, questo che inizia è un anno importante perché, in Italia, comincerà ad essere utilizzato il nuovo messale, con modifiche che sono anch’esse il frutto del continuo adattamento ai tempi nuovi del perenne insegnamento cristiano. Concluso domenica scorsa l’anno A (con i brani evangelici di Matteo), ora è la volta dei brani tratti dal Vangelo di Marco. Può apparire curioso, ma non troppo, che il brano che leggiamo oggi sia parallelo, nella sostanza, a quella parabola delle dieci vergini letta alcune domeniche or sono. Allora dicemmo che era una parabola “escatologica”, preparatoria della fine del tempo, e quindi anche dell’imminente fine dell’anno liturgico. Ma oggi non siamo invece all’inizio ? Perché ripetere dunque quel messaggio sull’invito alla vigilanza e all’attesa del Signore ? Il perché è presto detto. L’anno liturgico è il simbolo della nostra vita, così come della storia del mondo: al suo centro ci saranno i “momenti forti” della nascita di Gesù (e infatti quella odierna è la prima domenica di Avvento, che la prepara) e soprattutto del grande ciclo pasquale, che dopo il Venerdì Santo, la Pasqua e l’Ascensione, si concluderà con la Pentecoste, ovvero con il manifestarsi della Chiesa di Cristo. All’interno di questa grande storia, che avrà poi la conclusione nella fine del mondo, ci siamo anche noi, chiamati alla salvezza eterna, grazie al dono della fede e della libertà che ci è stata data. Libertà, della quale però non dobbiamo abusare, perché – dice il Vangelo di oggi – siamo anche liberi di sbagliare, di addormentarci al momento dell’arrivo del Signore. Libertà, insomma, vuol dire anche vigilanza, attenzione, impegno: è l’augurio migliore che la Chiesa possa fare a ciascuno di noi all’inizio di un nuovo anno …                           


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