N° 10 - Novembre 2020
Storie dei lettori

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  Dal “Diario di un Pellegrino”
di Gualtiero Sollazzi



  A  BASSA  QUOTA …

Nel linguaggio politico usa da tempo questa espressione “in quota …”  Significato: spartizione.
Ovvio: di quello che conta e che rende.  Tutto sa di cattivo odore. Perché dalla Rai all’Eni, dall’ Anas all’Inps e alle banche, si va avanti col “in quota”.
Non interessano il merito, la competenza. Alla politica basta “piazzare” uno o più dei suoi.   E’ così che si serve il bene comune?
Altro i doverosi controlli, altro la sfacciata occupazione.   E l’etica cos’è e dov’è?
Ricordo un lattoniere che aveva fatto solo le elementari e che fu mandato dal partito a fare il sindaco revisore di una Cassa di Risparmio. Alle mie amare rimostranze, mi rispose candido: io non so, ma siamo in due e l’altro si intende di bilanci.
Già, ma il ricco  “gettone” lo prendeva anche lui.    Non era un furto?
Non perdiamo l’indignazione e, se possibile, non cuciamoci la bocca.   In ogni sede.

  “La Stella del Risorgimento”
di Romano Parodi


“All’Italia consacrò la vita, il patrimonio, il cuore”

          Bellissima e ricchissima nobildonna milanese ingiustamente dimenticata. Patriota, giornalista, scrittrice, e anche attrice di teatro. Sentimentalmente mazziniana e pragmaticamente monarchica.
A raccontare tutta la sua vita non basterebbe un libro (infatti ne hanno scritto venti). Nel 1828, ventenne, aderì alla Carboneria (assieme all’amica, Ortensia di Beauharnais, madre del futuro Napoleone III, suo coetaneo, che conobbe, e che poi cercò invano, nel ‘49, di dissuaderlo dall’intervenire nella faccenda romana), ed iniziò un’attività tale, da farne un baluardo del Risorgimento italiano. Scriveva: «Delle libertà politiche e civili gli italiani avevano sperimentato soltanto la speranza. Soltanto il diritto di parlarne era stato fin qui garantito, per cui quando i dominatori austriaci e borbonici proscrissero la parola magica e si rivelarono per quei tiranni incurabili che sono, furono, e sempre saranno; gli italiani sentirono, forse per la prima volta, il peso intollerabile delle catene, le maledirono e si prepararono ai sacrifici più nobili pur di spezzarle». Nel 1830, l’Austria emette un ordine di cattura nei suoi confronti e confisca tutti i suoi beni. Riesce a evitare l’arresto fuggendo nel sud della Francia. Ritornata in possesso dell’immenso suo patrimonio, partecipa all’organizzazione della spedizione di un corpo volontario in Savoia organizzato da Mazzini.     

          Il libro di P. Colussi: “La donna che visse cinque volte” rende perfettamente l’idea di chi era Cristina Trivulzio. “Attirava gli uomini come il fiore le api”. “ La sua vita parigina, dal 1831 al 1840, è un romanzo. Corteggiata da tutti, adorata dal vecchio generale Lafayette, che la prende sotto le sue grandi ali (Eroe dei due mondi e di tre rivoluzioni. La città di Lafayette, dove proprio oggi 24 agosto, hanno ucciso un afroamericano, da lui ha preso il nome). Cristina vive una stagione eccezionale, ancora oggi, ben presente nella storia della letteratura francese. Apre un salotto famoso in rue d’Anjou. De Musset, Balzac, Liszt, Heine, Bellini sono innamorati di lei, ciascuno a suo modo. Tutti vengono respinti con garbo e civetteria. Le simpatie si rivolgono piuttosto a personaggi più austeri, agli intellettuali e ai politici che dominano la scena del nuovo regno orleanista di Luigi Filippo, l'ultimo discendente di Valentina Visconti a sedere sul trono di Francia. Tra questi vi sono: lo storico Augustin Thierry, il politico e futuro presidente delle Repubblica francese Adolphe Thiers e infine François Mignet, grande oratore, storico e direttore degli Affari Esteri, dal quale avrà una figlia”. A dirla tutta però, neanche lei sapeva chi fosse il vero padre. Comunque, Maria, la figlia, fu riconosciuta dal marito separato, conte Belgioioso, dietro compenso (non c’era il divorzio). A Parigi era chiamata la Regina di Cuori. (Aveva tanti soprannomi, il più curioso era: “la comunista rossa”). Delacroix, Lehmann, Hayez, Gerhard, innamorati “perdutamente”, la eternarono nei loro dipinti e gli scrittori, sotto altro nome, nei loro romanzi (la Ortensia, della Certosa di Parma di Sthendal, per es.). Cristina ha conosciuto e fatto amicizia con Cavour, Mazzini, Garibaldi, d’Azeglio, Balbo, Dumas padre, Victor Ugo, Maroncelli, Pellico, Manzoni, etc. (Prima di lasciare Milano, chiese di dare un ultimo saluto a Giulia Beccaria, la madre di Alessandro Manzoni gravemente malata; ma il “pio” Manzoni, destra storica, non la lasciò entrare; troppo scandalosa era la sua vita per essere accettata da un cattolico convertito. Famosa e dissacrante la frase a lui attribuita quando seppe che Cristina, a Locate, aveva fondato un asilo per i bambini poveri: «ma se ora i figli dei contadini vanno a scuola chi coltiverà i nostri campi?»).

          Corrispose con Carlo Alberto e con Napoleone III.  Nel 1855 tornò a Milano, dove iniziò a costruire asili, scuole e ricoveri per anziani (anche il Pio albergo Trivulzio). Morì a 63 anni distrutta dalla sifilide e con il capo, penosamente reclinato di lato per una pugnalata che le recise un tendine del collo. La pugnalata la prese in Turchia (dove fuggì alla fine della Rep. Romana), da uno spasimante respinto, e la sifilide, dal ritorno di fiamma col marito, un impenitente libertino, che sposò a 16 anni e lasciò a 20 perché tradita. Il giorno delle nozze, i suoi amici, le avevano “regalato” questo epitalamio (canto nuziale): “Che poi che teco alquanto avrà goduto/ lussureggiando andrà con questa e quella/ e invano ti udirem gridare aiuto:/ ma come indietro più non si ritorna,/ render solo potrai corna per corna”.E così fu. 

          Cristina visse nel pieno del Risorgimento italiano, ebbe contatti con tutti i maggiori protagonisti dell’epoca, sovvenzionò insurrezioni, organizzò un battaglione di duecento volontari napoletani: il battaglione Belgioioso, per combattere alle Cinque Giornate di Milano e poi nella battaglia di Curtatone e Montanara. Finanziò Tito Speri nelle “Dieci Giornate di Brescia, la “Leonessa d’Italia”. Diresse gli ospedali a Roma durante la Repubblica Romana di Mazzini. La donna che inventò la Croce Rossa”, uno dei tanti libri (in realtà inventò il corpo infermiere: arruolò anche tutte le prostitute di Roma, scandalizzando i benpensanti). Goffredo Mameli, e Luciano Manara morirono fra le sue braccia. Manara, prima di spirare: “La morte, affinché il nostro esempio sia efficace, e per chiudere con serietà l’eroico Quarantotto”.  

             Scampoli di alcune delle tante biografie su Cristina, «Una bellezza assetata di verità», dei grandi scrittori dell’epoca:  - «..non ho mai visto nulla di così favoloso, di così poetico, di così fantastico come questa nera chioma che si profila in ondulazioni selvagge sul trasparente pallore del vostro viso …  il vostro umilissimo e obbedientissimo Henri Heine».- Essa era consapevole di posare alternativamente come una figura del rinascimento italiano... Alfred de Musset (che spese la sua seconda gioventù nelle sue reti..)Nessuno fece più di lei a Parigi per la propaganda dell’idea italiana. Essa le consacrò la vita, il patrimonio, il cuore” Balzac. - Con mille astuzie mi conduceva per mano sulla soglia del suo giardino segreto. Poi mi chiudeva il cancello in faccia…Lehmann - Magnifica organizzatrice di festini dell’amore, ma pronta a eclissarsi al momento di mettersi a tavola... Chopin, (sembra che si concedesse poco perché già soffriva di malattie veneree). «Quella terra nobile ed infelice, patria della bellezza, ha prodotto Raffaello Sanzio, Gioacchino Rossini e la principessa Cristina Beljojoso» Liszt; “Prima di tutto toglieva il respiro ma poi ti affascinava perdutamente” Houssaye.

          Le due ultime biografie. La misteriosa vita della dama del Risorgimento “dell’amico” Arrigo Petacco, morto a Portovenere due anni fa, che scrive: “Fu una vera Madre della Patria, fanatica femminista, cancellata dalla storia. Le donne non le perdonavano la bellezza, gli uomini l’intelligenza”; La Prima donna d’Italia” (così la definirono Garibaldi e Cataneo) di M. Fugazza 2017.

          Anche nel suo testamento spirituale pensa all’Italia e alle donne: “…..vogliano le donne onorate del futuro, rivolgere il loro pensiero alle sofferenze e alle umiliazioni delle donne che le hanno precedute”. Sepolta a Locate Triulzi, non nella lussuosa tomba di famiglia, ma, per suo volere, nella zona riservata ai poveri.

          Mazzini e Cristina - Vivendo più o meno negli stessi anni (dal 1808 al 1871 Cristina, dal 1805 al 1872 Mazzini), dotati entrambi di una forte personalità, si confrontarono spesso in modo molto serrato. Anche sul piano ideologico non si può dire che si siano amati molto. Cristina, pur finanziando i primi e tanti progetti insurrezionali di Mazzini, li considerava tutti votati al fallimento (e così sarà, vedi Pisacane). Mazzini, pur apprezzando il sincero coinvolgimento della donna nella causa patriottica e nella lotta contro la dominazione austriaca, non approvava le sue oscillazioni verso le soluzioni moderate e monarchiche (prima l’Unità poi la Repubblica). Il ’49 romano costituirà lo scenario in cui il confronto tra i due, avviato inizialmente su un piano di reciproca collaborazione, assumerà presto toni molto aspri e lascerà nel loro rapporto uno strascico di divergenze e di attriti mai più cancellati. (il mese prossimo: Mazzini e Carrara).   

          Rosa Montmasson, Tonina Masanello, Colomba Antonietti, Anita Garibaldi e Cristina Trivulzio. Queste sono le “mie” cinque eroine per il libro: “Cento donne che hanno fatto l’Italia”. Non erano mercenarie: hanno dato la vita alla Patria senza prendere una lira. Se ci sono Tina Anselmi, Nilde Jotti… e magari la Pivetti o la Santa che… (beninteso non ho letto il libro; chi l’ha letto mi faccia sapere).

          Un’altra bella donna da ricordare è la “spezzina” Virginia Oldoini, contessa di Castiglione, cugina di Cavour, che però, a differenza di Cristina, era di simpatie monarchiche. Entrambe, in periodi diversi, trent’anni di differenza, imperarono a Parigi. Virginia era stata mandata da Cavour a “corrompere” Napoleone III, del quale divenne amante.  

  OTTOBRE 2020. E’ ANCORA TEMPO DI COVID-19
di MARTA


 

Avevamo la speranza, e ci credevamo per davvero, di essere dopo otto mesi fuori da questo terribile mostro! Ma non è così.
Con l’autunno stiamo ritornando ai numeri di inizio pandemia.
Tutti viviamo nella paura e per chi ha già patologie serie, anche nel terrore.
Per l’ipocondriaco, poi, il momento è veramente duro, perché ogni occasione è buona per vedere rischi di contagio, dalle persone che indossano male le mascherine agli assembramenti e ambienti affollati, dai tasti dell’ascensore alle maniglie  delle porte persino di casa. Ogni cosa fa salire l’ansia alle stelle. Si vive col pensiero dei disinfettanti, tra alcool, gel, spray e saponi per lunghe lavate alle mani. Io, personalmente, li acquisto, li annuso e più sanno di alcool e più mi sento sicura ed appagata. Apprezzo molto all’entrata dei negozi e dei supermercati la misurazione della temperatura con lo scanner.
Mi dà sicurezza la presenza di vigilanti all’interno per controllare la distanza tra le persone e i comportamenti dei singoli. Poi c’è il problema delle mascherine, esempio le FP2, che non ti aiutano a respirare, anzi ….
Immagino la sofferenza dell’asmatico e dell’allergico. Ci sono quelle dette chirurgiche di colore verdino, le più usate, ma andrebbero cambiate giornalmente. Comunque tutte, specialmente quelle “fai da te” di stoffa, andrebbero sostituite spesso.  Quanti lo fanno? E chi lo fa, spesso, le lascia per strada come le cicche delle sigarette!!!  Siamo molto più attenti a controllare il nostro corpo: al primo starnuto, al colpetto di tosse o alla fronte meno fredda del solito, andiamo nel panico. Ricordiamoci come abbiamo vissuto la prima parte della pandemia! Tappati in casa in preda a tristi presagi, anche sulla spinta delle notizie dei TG e degli appelli di medici e politici, abbiamo passato questa emergenza con la speranza di sentire proclamare il cessato pericolo. Questa fiducia ci ha permesso di sopportare il lockdown  (isolamento ). Purtroppo la sua sospensione ha fatto pensare che si potesse tornare alla vita di prima, a festeggiare la fine di un incubo, e pian piano, sembra che ci si stia abituando a convivere col virus, non rispettando le regole o facendolo molto meno.  Siamo arrivati alle manifestazioni di piazza dei negazionisti. Con la stagione fredda la recrudescenza della pandemia è paventata come evento clinicamente logico, tanto che si pensa ad un nuovo lockdown per Natale e le feste di fine anno.
Troppi sono gli atteggiamenti sconsiderati che ogni giorno i notiziari ci fanno vedere. Per colpa di una minoranza incosciente il percorso per uscirne fuori sarà più complicato e più lungo con quanto ne consegue anche sul piano economico con le nuove povertà. La ricerca mondiale sta studiando più di un vaccino, ma occorrono tempi di sperimentazione adeguati al fine di fornire farmaci sicuri. Per ora non resta che essere responsabili e rispettare le regole che le autorità sanitarie ci suggeriscono.
Speriamo, preghiamo e confidiamo nel Signore.


  L’ANNUNZIATA FESTEGGIA S, PIO DA PIETRELCINA
di Enzo Mazzini



 

Oggi, mercoledì 23 settembre, nella bella Chiesa dell'Annunziata, si festeggia un Santo davvero amato e venerato da tutti i cristiani: San Pio da Pietrelcina che è pervenuto alla santificazione nel modo che segue.
Il 20 marzo 1983, a quasi quindici anni dalla Sua morte, iniziò il processo diocesano per la canonizzazione del "Servo di Dio". Il 21 gennaio 1990 Padre Pio venne proclamato "Venerabile" , il 2 maggio 1999 fu dichiarato "Beato" ed il 16 giugno 2002 fu proclamato "Santo" in Piazza San Pietro, da Papa Giovanni Paolo Secondo, come San Pio da Pietrelcina e la Sua festa liturgica viene celebrata infatti il 23 settembre, anniversario della Sua morte.
Il diacono Agostino, che ha dedicato i suoi novant'anni di vita a questa Chiesa, rendendola un vero gioiello, impegna oggi tutte le sue forze per solennizzare questa ricorrenza. Lui infatti è stato sempre un grande devoto di Padre Pio e, durante la sua lunga vita, ha organizzato parecchi pellegrinaggi per portare i fedeli della Vicaria, e non solo loro, a San Giovanni Rotondo, come ha ricordato lui stesso, al termine della S. Messa.
Celebrano la solenne S. Messa Don Carlo, il parroco Padre Domingo e Padre Michele, assistiti dal Diacono Agostino, con grande partecipazione di fedeli.
Molto profonda l'omelia di Don Carlo, che merita davvero di essere riportata integralmente: "Ringrazio la Fraternità Missionaria ed il nostro Diacono, che ancora una volta mi danno la possibilità di chiudere con voi una festa molto particolare: particolare perché noi ricordiamo un sacerdote, il primo sacerdote, Padre Pio, che ha avuto le stimate, un sacerdote che, attraverso la testimonianza della sua vita, ci insegna a mettere Dio al primo posto. Ci dice di non aver paura.
Davvero importante la domanda che Pietro pone a Gesù, una domanda molto significativa, ricca di curiosità: Pietro voleva sapere che cosa sarà la fine della vita, dopo aver seguito Gesù. Forse c'era anche la curiosità di capire, in quelle espressioni molto belle di Gesù, che cos'è il Paradiso, che cos'è la santità, il valore della Croce, il valore della sofferenza e, quando parliamo di santità, una cosa molto bella: il Paradiso. Ma Gesù ci insegna che, prima di arrivare a quello, c'è la sofferenza: se non c'è sofferenza non c'è santità.
Ecco il bivio. Ecco quello che può sembrare la nostra difficoltà. Lo è stato anche per Pietro: lo conosciamo bene quel brano dove Gesù, con molta confidenza, apre il Suo cuore e dice quelle parole significative, piene di amore verso l'umanità. Non pensiamo verso l'umanità di allora: verso l'uomo, verso le persone di ogni tempo. Non pensiamo soltanto a quell'umanità che garantisce un po' di ricchezza, un po' di simpatia, un po' di salute. No! Non solo: a ogni umanità, anche quell'umanità abbandonata e dimenticata da tutti, anche a quel grido di sofferenza che è nel cuore nostro qualche volta, specialmente quando ci sono situazioni difficili, incomprensibili, dove la parola non serve a niente: sono complicate, non possiamo spiegarle. Ecco: ci ha insegnato a saper amare quel momento. Ecco Pietro, nel momento in cui Gesù in confidenza offre questo aiuto, che poi è la conversione del nostro cuore, se ascoltiamo quello che ci dice: "Il Figlio dell'uomo dovrà soffrire, essere riprovato, essere ucciso e il terzo giorno risorgere". Pietro dice: "Che Dio non voglia"! Certamente noi sappiamo che Pietro lo ha fatto in un momento di confidenza e di amore verso il Maestro, ma è come se avesse messo un muro davanti all'amore di Gesù, come se avesse detto: "Sì, Gesù, puoi morire, però soltanto per poche persone. Io Ti amo." Poi Lo tradirà, ma comunque Lo amerà e Gesù dirà a Pietro in quel momento: "Vade retro Satana! Stai dietro di me, perché tu mi sei d'intralcio, perché non pensi secondo Dio ma secondo gli uomini".
Come pensa Dio? Dio pensa alla salvezza di tutti; l'uomo che cosa pensa? Forse alla salvezza di pochi. E qui entriamo in quello che è l'insegnamento di San Pio da Pietrelcina. Ci sono due lezioni di amore che San Pio offre alla nostra povera umanità: la prima è l'amore nel dolore. È difficile viverlo ed è difficile donarlo al male degli altri. Proviamo noi, quando soffriamo, a dirci: "Che bello!" O proviamo a dirlo ad una persona quando soffre veramente. Siamo stati tutti di fronte alle sofferenze delle persone che amiamo. Non si può mica dire: "Beati voi!" Allora ecco quello spunto, quel messaggio, quella lezione che può dare speranza alla nostra vita. Padre Pio, tutti i Santi, ma in modo particolare San Pio da Pietrelcina ha saputo rendere fecondo quel dolore. Come si fa? Si raccoglie e si tiene stretto nel cuore, anche se non si capisce. Accogliere e raccogliere il dolore vuol dire essere presenti dinnanzi al dolore nostro e degli altri: essere capaci di capire che quella è la manifestazione più grande dell'amore di Gesù. Il dolore reso fecondo attraverso la tua offerta, la tua donazione!
Perché Padre Pio ha costruito un grandissimo ospedale? È perché sapeva che il malato soffre. Ma qual è la sofferenza più grande del malato? Non solo quella di soffrire fisicamente, ma di essere abbandonato, di essere lasciato solo. Qual è la più grande ricchezza? Sì, offrire la possibilità della guarigione, ma la grande ricchezza è la presenza accanto al malato: Casa Sollievo della Sofferenza.
Ci ha visto bene Padre Pio, un grande medico, un grande specialista dell'amore: accogliere, stare accanto a chi soffre!
C'è un altro insegnamento, fra i tanti: parlando di Padre Pio alla gente, una volta è uscita fuori una persona che ha detto: "Ma è molto burbero Padre Pio. Sembra quasi cattivo, di fronte. Ha uno sguardo quando ci si va a confessare! Poi ti mette un po' in difficoltà." Io, siccome l'ho sentita e l'ho letta anche in qualche scritto, mi son detto: "Ci sarà una spiegazione” e la spiegazione c'è e come! Quando una persona andava a confessarsi e non diceva la verità, Padre Pio leggeva nel suo cuore e le diceva: "Vattene via" e faceva bene: "Tu nascondi il tuo peccato e vieni a confessarti? Allora Lui leggeva nel cuore di quella persona e diceva: "Ritorni o ritorna quando vuoi confessare i tuoi peccati". Ecco la fermezza di Padre Pio di fronte al peccato mortale.
Il peccato mortale rompe la grazia fra noi e Dio; il peccato mortale fa morire l'anima e quando muore l'anima, muore anche il corpo, muore tutto: non fisicamente, ma nella vita di fede, sì. Il peccato mortale intristisce la tua storia, la tua vita ed è contagioso verso gli altri: intristisce anche gli altri. Ecco perché Padre Pio diceva: "No!" E poi quando quella persona per la seconda volta tornava e si confessava fino in fondo ed usciva fuori dal confessionale piangendo, anche Padre Pio piangeva!
Torniamo all'amore al dolore. Padre Pio, come altri Santi, ma Lui in modo particolare, quando ha ricevuto le stimate ha detto: "O Gesù, falle sparire: mi metti in imbarazzo così" e per un certo periodo sono sparite: Gesù aveva accolto la Sua preghiera. Poi, sono tornate e da quel momento Padre Pio ha sofferto tanto perché sapeva che quelle stimate avrebbero buttato contro di Lui tanto male: calunnie, calunnie gravissime a quest'uomo, anche da parte di uomini della Chiesa.
Per gelosia, Gli hanno detto, imposto di non celebrare l'Eucaristia. Per Lui la Messa...... Durava due ore! Gli hanno detto: "Vuoi celebrarLa? CelebraLa nella tua celletta", come se fosse stato in galera, da solo, forse con un frate che La serviva.
"Non confessare più!" Lui che ha dato una vita per le Confessioni! Dolore e malattia fisica.
Voi capite che è una cosa atroce. Eppure, ha ubbidito alla Chiesa: "Sia fatta la volontà di Dio!"  Si è ritirato. Poi, quando l'hanno scagionato da tutte le calunnie ed accuse, quello che ha fatto lo sappiamo tutti. Ecco l'amore: non a parole, ma a fatti!
Aiutaci , San Pio da Pietrelcina, ad amare, ad offrire la nostra sofferenza: ne abbiamo tanta nel cuore, ognuno di noi, specialmente in questo momento delicato, difficile. Aiutaci ad essere portatori di questa speranza, ad essere presenti. Forse non capiamo il dolore però, se siamo presenti nel dolore, diventiamo quella luce piccola, ma luce infinita che illumina anche quei momenti difficili.
Vi ho portato la reliquia di San Pio da Pietrelcina: in quella piccola tèca ci sono due gocce di sangue di San Pio e sono l'immagine più bella di una donazione totale: "Ti dò la vita, anche il mio sangue, soltanto per amore" perché diceva Padre Pio: "Desidero che tutte le persone possano entrare in Paradiso".
Ecco, allora, la bellezza di questo piccolo frate che attraverso la Sua umiltà ci ha aperto le porte del Paradiso."
Grazie, don Carlo. Ogni volta che ti ascoltiamo, ci sentiamo rapiti dalle tue meravigliose parole e dai tuoi profondi insegnamenti!
Al termine della S. Messa, Il diacono Agostino ha voluto aggiungere un'altra perla a questa bellissima celebrazione, ricordando alcune esperienze vissute in occasione dei  numerosi pellegrinaggi a San Giovanni Rotondo, da lui organizzati, con la devota partecipazione di tanti fedeli, sempre accompagnato dalla sua adorata Aldemara che era sempre al suo seguito.
In particolare, ha sottolineato un fatto realmente accaduto, molto toccante e significativo. Una vedova, già avanti negli anni, si è prodigata a lungo nel mettere insieme tutti gli spiccioli di cui veniva in possesso, per poter disporre dei quattrini necessari per poter, finalmente, coronare il sogno della sua vita: andare da Padre Pio!
Dopo infiniti sacrifici, finalmente ha potuto recarsi da Padre Pio. Appena entrata in Chiesa, è avvenuto un fatto davvero miracoloso: Padre Pio che si trovava nella parte opposta della Chiesa, e quindi era abbastanza lontano da lei, la chiamò. Lei, stupita, andò verso di Lui che le disse: "Quanti sacrifici hai fatto! Finalmente sei venuta! Ti ho aspettato tanto. Ora fammi una promessa: che tornerai ogni anno". Non dobbiamo stupirci: San Pio aveva molti doni speciali, come quello di leggere nel cuore ed il pensiero degli altri, di conoscere i fatti avvenuti anche in lontananza e magari intervenire sugli stessi e di avere il dono dell'ubiquità. Davvero un Santo eccezionale!

Chiediamo che dal Cielo guardi tutte le nostre Parrocchie e tutti noi, donandoci la Sua preziosa protezione.

 

                                                                                                                                                  

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