N° 8 - Ottobre 2019
ALLE RADICI DEL PROBLEMA DELL’IMMIGRAZIONE
di Egidio Banti


Il 4 ottobre 1984 - esattamente 35 anni fa – il presidente del Burkina Faso Thomas Sankara pronunciò di fronte all’assemblea generale dell’ONU un discorso da molti considerato come uno dei più importanti discorsi politici di tutto il Novecento. Un discorso che assume anche per noi una particolare attualità perché, di fatto, analizza le ragioni dell’attuale ingente fenomeno migratorio dall’Africa verso l’Europa e, quindi, ne indica quelle che ne sono le possibili soluzioni. Già ne avevamo parlato qui sul Sentiero esattamente un anno fa, in occasione di uno spettacolo sulla vita di Sankara tenuto ad Arcola a cura del gruppo degli Amici padre Damarco e dell’associazione “Voltalacarta”, e patrocinato anche dal Comune di Luni. Ne riparlo oggi anche perché è davvero auspicabile che, dopo mesi ed anni di confusione (e purtroppo, di tante vittime), la questione delle migrazioni dall’Africa possa per lo meno essere compresa nella sua autentica portata.
Il problema non è lo stucchevole anche se drammatico dilemma se accoglierli tutti o no, magari immaginando (bisogna sempre costruire dei nemici per difendere non i valori, che non ne hanno bisogno, ma gli interessi) che davvero qualcuno persegua un tale obiettivo. La radice del problema non sta in Europa, e nemmeno in Libia o in Tunisia, bensì nell’Africa sub-sahariana. Quella di cui fa parte il Burkina Faso (già colonia francese dell’Alto Volta, uno dei paesi più poveri del mondo). Il paese che Sankara, divenutone presidente nel 1983, a soli trentaquattro anni, cercò di trasformare non solo in uno stato democratico, ma soprattutto in un modello capace di presentare al mondo i reali problemi dell’Africa, e facendo così capire che proprio lì stava, e oggi anche di più, il futuro del mondo.
Parlando all’ONU, il giovane presidente rivendicò con forza il diritto del suo popolo e di tutti i popoli africani a non considerarsi più dipendenti dal mondo cosiddetto sviluppato, bensì a prendere in mano il proprio destino: “Affermiamo la nostra consapevolezza di appartenere a un insieme tricontinentale, convinti che una solidarietà speciale unisca i tre continenti, Asia, America Latina e Africa, in una lotta contro gli stessi banditi politici e gli stessi sfruttatori economici”.
Vediamo ancora altri brani di quel discorso: “
Altri hanno spiegato, e senza dubbio spiegheranno ancora, quanto è cresciuto l’abisso fra i popoli ricchi e quelli la cui prima aspirazione è saziare la propria fame e calmare la propria sete, e sopravvivere seguendo e conservando la propria dignità. Ma è al di là di ogni immaginazione la quantità di derrate dei poveri che sono andate a nutrire il bestiame dei nostri ricchi! ... Parlo in nome delle madri dei nostri paesi impoveriti che vedono i loro bambini morire di malaria o di diarrea e che ignorano che esistono per salvarli dei mezzi semplici che la scienza delle multinazionali non offre loro, preferendo piuttosto investire nei laboratori cosmetici, nella chirurgia estetica a beneficio dei capricci di pochi uomini e donne il cui fascino è minacciato dagli eccessi di calorie nei pasti, così abbondanti e regolari da dare le vertigini a noi del Sahel”.
Leggiamo ora queste parole, davvero drammatiche nella loro attualità: “Parlo, anche, in nome dei bambini. Di quel figlio di poveri che ha fame e guarda furtivo l’abbondanza accumulata in una bottega dei ricchi. Il negozio è protetto da una finestra di spesso vetro; la finestra è protetta da inferriate; queste sono custodite da una guardia con elmetto, guanti e manganello, messa là dal padre di un altro bambino che può, lui, venire a servirsi, o piuttosto, essere servito, giusto perché ha credenziali garantite dalle regole del sistema capitalistico”.
Dichiarava Sankara: “Il nuovo ordine economico mondiale per cui stiamo lottando e continueremo a lottare può essere raggiunto solo se saremo capaci di fare a pezzi il vecchio ordine che ci ignora; se occuperemo il posto che ci spetta nell’organizzazione politica internazionale e se, data la nostra importanza nel mondo, otterremo il diritto di essere parte delle discussioni e delle decisioni che riguardano i meccanismi regolatori del commercio, dell’economia e del sistema monetario su scala mondiale. Il nuovo ordine economico internazionale non può che affiancarsi a tutti gli altri diritti dei popoli, – diritto all’indipendenza, all’autodeterminazione nelle forme e strutture di governo – come il diritto allo sviluppo”.

Thomas Sankara era un cristiano, non un islamico. Non voleva né colonizzare né tanto meno islamizzare l’Occidente. Ma ammoniva tutti noi con lo stesso concetto che anni prima l’Abbé Pierre aveva sintetizzato nella frase “Un giorno le loro voci si leveranno come un tuono”. Gli africani non chiedevano e non chiedono posto in Occidente. E perché mai dovrebbero chiederlo, lontano dalla loro terra? Chiedevano e chiedono di essere autorizzati al proprio sviluppo, mettendo fine a quello che già san Giovanni XXIII e san Paolo VI chiamavano nelle loro encicliche e nei loro documenti lo scandalo del commercio internazionale.
Diciamolo una volta per tutte: non è possibile fermare le migrazioni se non si pone fine alla depredazione post-coloniale o neo-coloniale dell’Africa, tuttora in corso, e ragione anche di tanti soprusi e di tanta corruzione internazionale. Perché è proprio quella depredazione che le favorisce, spesso ingannando o sfruttando quelli che sono indotti a migrare. Ed è paradossale, per non dire due volte scandaloso (ma papa Francesco lo dice eccome, ed anche per questo è attaccato duramente dai cortigiani del potere annidati anche dentro la Chiesa), che le stesse persone o le stesse organizzazioni siano quelle che costruiscono la propaganda contro i migranti e nello stesso tempo alimentino quelle migrazioni con la loro condotta economica.
Non a caso l’Occidente – o forse alcuni paesi dell’Occidente – valutò quel discorso come una minaccia per i propri interessi economici. E a suo modo, sottotraccia un po’ come sempre, non tardò a rispondere: il 15 ottobre 1987, trentadue anni fa, un colpo di stato guidato dal suo “vice” (e sino a quel momento amico fraterno) Blaise Compaoré depose Sankara, che venne subito passato per le armi. Compaoré divenne il dittatore del Burkina Faso restando in carica quasi trent’anni ed annullando di fatto ogni ambizione di riforma avviata dal suo predecessore.
Ricordare dunque i 35 anni di quel discorso all’ONU non vuol dire solo ricordare un uomo coraggioso e lungimirante. Vuol dire anche seguire il papa e la Chiesa - tutta la Chiesa, ben compresa quella africana, che non è affatto né contro le migrazioni né contro il papa! – nel promuovere un’azione internazionale che punti a rimuovere le ragioni vere e profonde di fenomeni come quelli che abbiamo di fronte. A cominciare dalla nostra Europa, che dovrebbe porsene alla guida. Senza guardare i falsi profeti e gli ipocriti di un mondo globale che, prima o poi, non li accetterà più.



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