N° 11 - Dicembre 2015
DOPPIO CONCENTRATO DI POMODORO
di Carlo Lorenzini


Breve commento a “IL SENTIERO” di novembre 2015. La pagina dei ragazzi

 

La pagina dei ragazzi con i loro scritti (‘Tempo d’autunno’) dedicati quasi tutti alle castagne. Le castagne della collina di Nicola. Quegli scritti semplici che parlano di gite nei boschi alla ricerca delle castagne che, dice il poeta dell’Indovinello’, sono ‘brunette lustre e perfette’, mi hanno fatto sentire la nostalgia di quando noi ragazzi andavamo per castagne (che allora non era tanto facile, perché le castagne erano preziose e i proprietari ne erano gelosi ed erano severi nel difenderle da eventuali ladri), la nostalgia di quel loro profumo che era profumo di castagne arrostite (le mondine) oppure di castagne bollite (i borgatei, si chiamavano così le castagne cotte nell’acqua assieme ad un rametto di alloro che profumava tutta la casa) e le cuocevamo direttamente nel bosco servendoci di barattoli di latta per la conserva smessi con ancora la scritta “doppio concentrato di pomodoro”.
Questi ragazzi (congratulazioni alle loro maestre) vedono la natura e le castagne con gli occhi del poeta. Dicono: “Non vediamo l’ora di andare nel bosco di Nicola a raccogliere le castagne che poi mangeremo; le dolcissime caldarroste”. Dicono: “Sul sentiero del bosco abbiamo visto e raccolto le castagne per fare le caldarroste”.  Dicono: ”Lassù nel bosco c’è una brunetta lustra e perfetta, che è saporita lessa e arrostita”. C’è poi chi si sofferma a contemplare il bosco che in autunno è uno spettacolo di colori ed è ricco di molti frutti uva, castagne, cachi, noci, nocciole, olive, melograni (o melagrane? Inoltre, mancano i fichi?).
E non manca il poeta che vede nell’autunno il preludio all’inverno, con l’arrivo del freddo, le foglie che cadono, e le rondini che emigrano verso i paesi caldi. Negli scritti di questi nostri ragazzi ho notato che si parla ostinatamente di ‘caldarroste’. Ma, signora maestra, le castagne arrostite per gli Ortonovesi non si chiamavano ‘mondine’ e quelle bollite non erano i ‘borgatei’?  Malinconicamente devo costatare che i tempi cambiano e con essi cambiano i costumi e coi costumi il linguaggio  e le castagne arrostite che ieri si chiamavano ‘mondine’ oggi con vocabolo nobile e raffinato si chiamano ‘caldarroste’ e quelle bollite che ieri si chiamavano ‘borgatei’, oggi si chiamano ‘le bollite’.
Comunque sia, queste castagne, caldarroste o no, sono riuscite a ridestare in me, vecchio di più che ottant’anni, la nostalgia dei miei castagni nicolesi e delle mie nicolese castagne che noi chiamavamo ‘la castagna’, anche quando volevamo indicarle al plurale.
 Nostalgia con cui ho convissuto nella mia vita e che poi (nel 1988) è diventata racconto autobiografico. Opera letteraria, credo, di un certo pregio. Ed io sarei lusingato e onorato se ci fosse la possibilità di farla conoscere ai nostri ragazzi, che con animo così pieno di poesia hanno parlato dell’autunno e delle castagne.
Di castagne e di castagni, infatti, ho scritto nel racconto ‘Le castagne’ che si trova pubblicato ne ‘Il ritorno di Ulisse’. E poi ne ho parlato in ‘Com’eravamo’ a pagina 15 e a pagina 65.
A questo proposito devo dire che il racconto ‘Le castagne’ ha avuto grande successo fra gli scolari di una terza elementare della scuola di Sarteano in provincia di Siena. Ma una pagina ricavata dal racconto ‘Le castagne’ sarà un valido invito (più che altre mie parole di promozione) alla lettura di questi miei scritti.
“(La mamma e la Irlanda, nostra ospite,) rievocavano ispirate (i tempi della loro adolescenza) ed erano assenti.  Dimenticavano di mangiare; e si dimenticavano anche di me. Che, però, non mi annoiavo; e mi ingozzavo di tutto quel ben di Dio. Dopo aver mangiato il minestrone, mangiai le frittelle (dolci) con il formaggio pecorino; poi mangiai le castagne bollite; e, infine, mangiai le arrostite.  Le arrostite io di solito le lasciavo per ultime; per la loro squisitezza; e perché mi piaceva indugiare nel gustarle.  Prima le sbucciavo: cinque, dieci, quindici...; poi le contemplavo, davanti a me e me: belle, lucenti, sane, calde, e profumate; poi incominciavo a mangiarle, riempiendomi la bocca: a due, a tre, a quattro per volta, a seconda della loro grossezza: e gustandole morbide, tiepide e dolci.  Infine, bevevo un po' di vino, per diluire in bocca quel loro saporoso e gradevole impasto.
Quando fui sazio, piano piano, mentre ancora loro parlavano, mi alzai; mi avvicinai al focolare e, pensoso, guardai le ultime braci spegnersi; poi mi accostai alla finestra subito alla sinistra del caminetto, che si affacciava ad oriente, contro le alte montagne incombenti. Scostai le tendine; e ammirai assorto il misterioso incantesimo di quei monti, che già, da valle, si collocavano nell'ombra del pomeriggio, per accogliere fra poco nel loro arcano seno, il crepuscolo e la sera.Era oramai l'ora che la nostra avventura volgeva al termine.  Mi restava giusto il tempo per scendere giù e andare nell'orto; dov'era anche la porta per entrare nella stalla. Mezz'ora o poco più, per intrattenermi con l'asino, le pecore, e le capre. Stetti lunghi minuti in quell'oscuro silenzio odoroso di fieno a guardare gli animali; che guardavano me, un po' indifferenti, un po' diffidenti, un po' impauriti.  Infine, stabilita la confidenza, li toccavo, li accarezzavo, e dicevo loro cose e cortesie. 
Avrei voluto non andarmene mai”.
E termino la rievocazione di queste mie nostalgie, dicendo ancora grazie agli scolari ortonovesi, che con le loro poesie mi hanno riportato indietro negli anni e, fra l’altro, mi hanno fatto rivivere un fatto lontano, oggetto di un piacevole ricordo. Che è questo:
“Improvvisamente, il ricordo… Noi ragazzi sotto l'ombra dei secolari castagni della nostra collina, presso all'ampio fuoco, sopra cui, profumato, bolliva il secchio con all'esterno la scritta  “doppio concentrato di pomodoro”, poi, ancora noi ragazzi, ebbri del dolce frutto cotto delle castagne, del calore della fiamma, dell'aria aperta, della libertà e dei discorsi, ritti, in circolo, attorno al rustico focolare, a spegnere, gli occhi accesi sghignazzando, col getto limpido, potente, lungo e liberatorio dei nostri umori, gli ultimi residui delle braci.
Un cordiale saluto a voi e alle vostre maestre e maestri.




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