N° 11 - Dicembre 2015
Storie dei lettori
  Appunti di un Pellegrino
di Gualtiero Sollazzi



Tre dediche

            A Giuseppe: Tu, giovane giusto, hai dato il nome al Bambino per volontà dell’Altissimo, e hai custodito con tenerezza il Verbo fatto carne. Sei stato accanto a Lui e alla tua sposa, in umile servizio.

            A Maria: Guardo i tuoi occhi pieni di amore e di stupore su quella mangiatoia per animali, diventata culla: guardano e adorano. E io con Te, guardo e mi inginocchio.

            Ai pastori: Avete avuto paura quando per voi si è accesa in quella notte una grande luce. Lo spavento vi ha sempre accompagnato. Sapevate bene cosa le autorità del Tempio pensavano di voi, e così la gente. Eravate “impuri” e quindi “scomunicati”. Ma il Signore vi ha pensato, proprio nel profondo mistero di quella notte, a voi per primi ha annunciato con la voce dell’Angelo: “Vi è nato un Salvatore, che è il Cristo Signore!”. Siete andati, avete visto l’Emanuele, il “Dio con noi”, e la gioia è dilagata nel vostro cuore.

 

 

Sogni e tavole

 

Due episodi recenti raccontano i tempi bui che attraversiamo. Ignari senegalesi uccisi a Firenze; un campo nomadi messo a fuoco a Torino, complice una ragazza che aveva inventato uno stupro subìto dai rom... Così l’aria fetida del razzismo, alimentata da una ideologia cieca, si è diffusa ancora di più in molti settori del paese.
Il grande Martin Luther King, apostolo dell’uguaglianza, alla folla che lo ascoltava a Washington il 28 agosto 1963, e fu l’ultima volta perché poi sarebbe stato assassinato, ebbe parole che sono passate alla storia. “Io ho un sogno: che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi, sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza”.
Quel profeta cristiano si riferiva alla piaga dello schiavismo; oggi potremmo allargare il problema e chiederci come guardiamo e accogliamo gli immigrati, i diversi, gli ultimi. Se facciamo di tutto perché si arrivi a una “tavola della convivialità delle differenze” come sognava un altro grande, don Tonino Bello: differenti in tante cose, ma uguali in umanità. Non dimenticando Paolo: “presso Dio non c’è preferenza di persone”.



  Chiesa Cattolica e Chiesa Ortodossa (seconda parte)
di Vincenzo Di Martino (Da"Communio" periodico della Parrocchia di San Pietro Apostolo -La Spezia



            Con la successiva formulazione del Credo (lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio), la Chiesa Cattolica ha voluto dare maggiore risalto alla comunione tra il Padre ed il Figlio, ma comune è la visione di Dio in tre persone uguali e distinte.
Addentrarsi ulteriormente in specificazioni mi sembra si vada incontro soltanto ad elucubrazioni dottrinarie. Ulteriori differenze tra la Chiesa Cattolica e quelle Ortodosse riguardano il celibato ecclesiastico obbligatorio, introdotto da papa Leone IX, e l’uso del pane azzimo per l’Eucaristia. Ma sostanzialmente la separazione tra le due Chiese ha più che altro origini storiche ed in particolare la controversia sul ripristino della supremazia patriarcale da parte del papa di Roma sui possedimenti bizantini nel sud dell’Italia e dei Balcani, oltre al supposto tentativo papale di esercitare un vero e proprio primato di giurisdizione sui patriarcati orientali. Dopo di ciò papa Leone IX giunse alla scomunica cui il patriarca Michele rispose con un anatema contro Roma: sarà la definitiva separazione tra le due Chiese. Le controversie ideologiche avrebbero potuto essere ridimensionate se lette in una prospettiva tradizionale. Purtroppo subentrarono interessi ancora una volta politici prima da parte dei Franchi di Carlo Magno e della quarta crociata, poi con l’intervento di Venezia contro Costantinopoli. 
La Chiesa Ortodossa non riconosce il primato papale, definendo la Chiesa Cattolica “Chiesa papista”, accusa condivisa anche dagli anglicani; non riconosce la dottrina concernente il Purgatorio; pratica il rito bizantino che procede al Battesimo per immersione; offre l’Eucaristia usando pane lievitato; contempla il celibato se non per giungere al grado dell’episcopato e per i monaci. Altre differenze concernono il dogma dell’infallibilità del Papa e dell’Immacolata Concezione. Il peccato originale è riconosciuto e chiamato anche peccato ancestrale, per indicare la colpa di Adamo ed Eva, le cui conseguenze si sono abbattute su tutta l’umanità. Secondo gli ortodossi, però, gli esseri umani nascono spiritualmente puri, ma inevitabilmente destinati a far conto col peccato che è una sorta di malattia genetica dell’anima i cui sintomi cominciano a manifestarsi col tempo. Ma Dio offre a tutti la possibilità di accogliere le sue grazie e così guarire.
Il peccato, nella tradizione della Chiesa Ortodossa, più che una macchia dell’anima è una malattia che impedisce il rapporto con Dio per cui necessita di terapia individuale con la presenza di un padre (o una madre) spirituale.
Per gli Ortodossi, così come per la Chiesa Cattolica, Cristo è vero Dio e vero uomo. 
Gli Ortodossi riconoscono la verginità di Maria, tuttavia l’Ortodossia non condivide il dogma dell’Immacolata Concezione; credono, invece, nell’Assunzione di Maria in cielo in corpo e anima. La resurrezione di Cristo è l’evento centrale della Chiesa Ortodossa: Gesù Cristo, il Figlio di Dio, fu crocifisso, morì, discese agli inferi e resuscitò come uomo e come Dio. Ogni domenica è dedicata alla celebrazione della resurrezione, perciò la liturgia pone l’accento sulla resurrezione piuttosto che sulla passione di Gesù. Vengono riconosciuti i Santi come tali, come nella Chiesa Cattolica, indipendentemente dal riconoscimento ufficiale. Essi, come nella Chiesa Cattolica, vengono venerati ma non adorati: l’adorazione spetta solo a Dio. In tempi recenti anche la Chiesa Ortodossa ha riconosciuto di fatto sette sacramenti: Battesimo, Cresima, Eucaristia, Confessione o Penitenza, Unzione degli infermi, Ordine sacro e Matrimonio. Per quanto concerne l’Ordine sacro solo il Vescovo è scelto tra i celibi, mentre sacerdoti e diaconi possono essere indifferentemente celibi o sposati, purché non in seconde nozze e non si sposino dopo l’ordinazione. Il matrimonio è monogamico ed eterosessuale. Neppure la morte scioglie il vincolo. Solo il Vescovo può ammettere a seconde o terze nozze che vengono celebrate con austerità: ove sia assolutamente venuto meno l’amore coniugale può ammettere il divorzio.
La Chiesa Cattolica riconosce la validità delle Ordinazioni conferite dagli Ortodossi: al contrario la Chiesa Ortodossa non riconosce i sacramenti amministrati al di fuori di essa.
Nell’ambito di questo quadro sommario e veloce, mi pare che le differenze teologiche siano assolutamente di scarsa rilevanza e la prospettiva di una unione non solo nella stessa fede, ma in una sola comunità, possa senz’altro realizzarsi.

 

                                                                            

  Saper ascoltare
di Marco Bernardini



 

La responsabile della Segreteria Direzionale mi informa che un dipendente di elevato livello chiede di parlare con me. Normalmente si prende appuntamento e si prepara una scaletta. La mia agenda, aperta sul tavolo, mi suggerisce di soprassedere. Non è la mattinata buona. Sto per liquidare la faccenda quando mi viene in mente: “Fai agli altri quello che vorresti che gli altri facessero a te”. Mi fermo. Chiedo il motivo di tale richiesta: è una questione personale. Che faccio? La Segretaria mi sta guardando. Ultima occhiata all’agenda e decido: va bene, lo faccia venire.
Il nostro “amico” entra, si siede davanti a me dall’altra parte della scrivania, guardando in basso. Noto una forte  agitazione ed un senso di smarrimento. E’ in difficoltà.  Per metterlo a suo agio, chiudo l’agenda e stacco il telefono. Mi faccio più “sotto” come per avvicinarmi a lui. Lo guardo in silenzio. Mi sento sereno e pronto all’ascolto.  Gli vengono le lacrime. Racconta una sua perdurante, forte sofferenza e non sa con chi parlarne. L’incontro procede nel mio assoluto silenzio. Durante il colloquio o meglio il soliloquio, mi viene spesso la tentazione di intervenire, di consigliare, di decidere per lui. Ma sento che sarebbe tutto sbagliato.  Mi sovvengono allora quelle parole udite chissà quante volte, ma ahimè poco praticate, che ci ricordano quanto non sia importante ascoltare, ma “saper ascoltare”. Ascoltare e dare il proprio parere è normalmente piacevole e distensivo. Si parla di tante cose che spesso ci fanno sorridere e divertire. Quando le conversazioni diventano difficili, si tende a tagliare corto.
Il “saper ascoltare” invece è un’altra cosa.  E’difficile e impegnativo. E’ un’arte.  Richiede di fare il “vuoto” dentro di sé per riempirsi dell’altro. Le sue palpitazioni diventano tue. Avverti che tutto quello che ti dice ti appartiene. L’altro sente un senso di leggerezza ed una grande fiducia. Il dialogo che si snoda riposa sulla reciprocità: è una nuova antropologia. E’ così che si celebra l’alterità dell’altro e ciò consente di raggiungere un grande risultato: di entrare in relazione con lui. Mentre ascolto il mio “amico”, penso a tutto questo. Supero continuamente la tentazione di concludere, suggestionato da quella benedetta agenda che è lì, davanti a me. Ma questo è il prezzo che devi “pagare”.
Sento una grande pace perché percepisco la sacralità di questo momento. Al termine c’è un sorriso sulle nostre labbra ed un’intensa, reciproca commozione. 

 

                                                           

  Le lettere di S. Paolo apostolo ai Romani
di Paola G. Vitale



 

Durante il mese di ottobre, abbiamo ascoltato le lettere dell’apostolo Paolo ai Romani, popolo radicato nei sensi corporei, popolo materialista, già ben diverso dalle popolazioni elleniche. Quello che più mi colpisce è l’attualità del messaggio, in questa nostra epoca in cui c’è la massima attenzione ad ogni parte del corpo, per averne cura, ma questo, passi. Il corpo ora è mercerizzato anche da giovanotti e giovanette, via internet, per ricavare dalla sensualità facile guadagno.
La “beata sensazione” di libertà, di leggerezza è agognata al massimo, mentre, al contrario, lo spirito, la spiritualità partano a ben diversa “beatitudine”. Ne siamo consapevoli? Sappiamo esporre e garantire che questa beatitudine spirituale ci fa liberi e felici? Personalmente ci provo ogni giorno e affermo “che funziona!”.

                                                                                             



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  Giustizia e misericordia
di Giuliana Rossini



 

          C’è un prima e c’è un dopo. Il prima è l’entusiasmo di toccare con mano l’amore di Dio per noi, ogni istante della nostra vita e, in particolare, constatare che le nostre guide spirituali - soprattutto il grande papa Francesco, che sembra realizzare tutte le aspettative della Chiesa - sono veramente illuminate dallo Spirito Santo, dandoci la certezza che, nonostante ostacoli e difficoltà di ogni tipo, tutto concorra alla realizzazione del disegno di Dio. Da qui l’impegno a cercare, con tutti i limiti delle mie capacità, di comunicare esperienze e scoperte fatte in merito.
Ultimamente ho letto (anche se un po’ in ritardo) la raccolta delle catechesi del mercoledì sulla famiglia tenute dal papa, dal dicembre 2014 al settembre 2015. E’ un libricino che consiglio caldamente a tutti. Da parte mia, devo dire che sono stata letteralmente conquistata dalla profonda sapienza che vi è contenuta: con un linguaggio semplice e diretto, adatto alla comprensione di tutti, grandi e piccoli, sapienti e privi di istruzione, Bergoglio sa trarre dalla Parola di Dio significati sempre nuovi, confacenti al nostro tempo e di una bellezza superlativa.
Di questo volevo parlare in queste righe. Ma poi c’è un dopo che sembra togliere senso ad ogni cosa, ogni valore e sapore, lasciando solo sconforto e paura: parlo dei tristi avvenimenti di Parigi del 13 novembre scorso. Quel giorno ero a Bruxelles, ospite, con mio marito, di mia figlia, la seconda, che vive là da diversi anni con la sua meravigliosa famiglia, quando attraverso la televisione abbiamo appreso delle incredibili stragi commesse dai membri dell’Isis. In quel momento tutto è sembrato fermarsi, come sospeso nel vuoto; all’incredulità è seguito l’orrore e un dolore profondissimo per tutte quelle vittime innocenti. Le immagini del televisore ci rimandavano un dolore cupo, intenso, commovente e dignitoso nella sua profondità. Mi colpiva quella penetrante sofferenza che sembrava rimanere in basso, senza aneliti verso il cielo.
L’inno della Marsigliese sembrava la risposta laica a chi aveva la protervia di voler essere eroe e agire in nome di Dio ed era invece solo un maledetto assassino. Chissà se nel cuore delle folle presenti è salita una preghiera verso l’alto! Certo questo grandissimo dolore ha bucato il cielo ed è giunto al cuore di Dio. Piano, piano è subentrata l’ansia e la paura: l’Europa era stata colpita al suo interno e più nulla sembrava sicuro e stabile. Non ci è sfuggito che Bruxelles, la città dove risiedevamo, era troppo vicina a Parigi, bersaglio appetibile poiché centro nevralgico, anzi capitale dell’Europa e,…covo di terroristi!
Lo sgomento dei residenti era palpabile. Decretata, anche se non immediatamente, la massima allerta, sospesi tutti gli incontri sportivi e gli spettacoli, chiuse le scuole, i centri commerciali e la metropolitana, disposta la presenza di forze armate con mitra e passamontagna ovunque. Chi rimaneva a casa palpitava per chi, vuoi per il lavoro, vuoi per gli studi, doveva assentarsi, ma anche chi lasciava i familiari entro le mura domestiche non era affatto tranquillo. Anche noi, che avevamo lasciato lassù i nostri cari, eravamo pieni di sgomento. La vista, attraverso la TV, della Grande Place, il salotto buono della città, completamente deserta ci ha turbati: ci pareva di essere dinanzi a un paesaggio lunare!
E adesso, che fare? Mio Dio, non ci abbandonare! Certamente occorre isolare e neutralizzare queste cellule impazzite che provocano tanto dolore e sconvolgimento. E tuttavia dobbiamo pregare intensamente affinché i Grandi della terra, responsabili della situazione mondiale non prendano decisioni affrettate, con esiti imprevedibili: le bombe hanno sempre e solo procurato guai maggiori. Occorre distinguere (anche noi semplici cittadini) tra questi feroci terroristi e il resto della comunità islamica che invece è pacifica e contraria alla violenza. Tenere sempre aperte le porte del dialogo (un dialogo “radicale”), gettare ponti, come dicevano il papa (insieme ai suoi predecessori) e altri personaggi religiosi di spicco, dinanzi all’ONU e al Parlamento Europeo. E’ necessario coniugare giustizia e misericordia come avviene nel cuore e nella mente di Dio. L’Anno Santo della Misericordia ci aiuti in questa direzione. Papa Francesco nell’omelia di mercoledì 28 gennaio scorso ci ricordava che Gesù è “la Via da percorrere, il Maestro da ascoltare, la Speranza che il mondo può cambiare, che l’amore vince l’odio, che può esserci un futuro di fraternità e pace per tutti”.
Gesù, vero Re dell’Universo e giusto Giudice che per amore e solo per amore è venuto sulla terra povero, in una mangiatoia, ci guidi e ci illumini in questo faticoso cammino di testimonianza della verità fatto di amore, pace e giustizia. Buon Natale a tutti!

                                                                    


  La tattica del terrore
di Marta




Siamo vicini alla Francia fisicamente e spiritualmente; in questo momento di terrore e di angoscia per quegli attentati tutti ne siamo provati; è come se fosse successo a noi, come se anche tutti noi avessimo perso un amico o  un familiare. Le più alte autorità spirituali islamiche hanno sostenuto con forza che non si uccide in nome di un Dio, tantomeno nel nome di Allah e del suo Profeta. Purtroppo ci troviamo di fronte ad una visione drammaticamente distorta del concetto di divinità che predica l’odio e non il rispetto del prossimo e della persona. Le stragi e la tattica del terrore ne sono semplicemente la logica conseguenza. Sicuramente l’Occidente ha commesso errori e ha sottovalutato per anni le tante guerriglie sparse in tutti i continenti, ma era impossibile prevedere un’escalation di queste dimensioni.
Diciamo che Satana in persona non smette mai di tessere la sua tela.
I tragici avvenimenti di Parigi ci toccano tutti nel vivo e tutti noi siamo solidali con loro; devono con le loro forze e col sostegno di tutti trovare la forza di andare avanti con tenacia e determinazione, di non lasciarsi prendere dalla paura e vivere nel terrore, perché è proprio questo il loro obiettivo primario. Il buon Dio dia loro la forza di continuare la loro vita come sempre: lavorare, studiare e anche divertirsi.  Spero e penso proprio che ce la possano fare, visto come si è creato tra loro un senso di fratellanza; abbiamo tutti visto come  cantano la Marsigliese negli stadi, nelle piazze, in Parlamento… 
Mi hanno commosso le belle parole di una lettera che uno sposo che ha dedicato alla propria moglie uccisa nel teatro Bataclan: “Eccola qua, bella, bellissima, come quando l’avevo sposata dodici anni fa. Ogni pallottola che è entrata nel suo corpo è come un dolore entrato nel vostro cuore. Lei mi darà la forza, da lassù, per continuare a crescere il nostro bambino: gli canterò canzoni, sorriderò con lui, giocherò… E, a voi: non avrete neanche il suo odio!”.
Che questo Santo Natale possa portare al mondo intero la pace tanto desiderata. Tanti Auguri a tutti.

                                                                                                  Marta


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