N° 4 - Aprile 2015
Graffiature
di Ratti Antonio


PREGHIERA E OPPORTUNISMO

 

Ogni qualvolta preghiamo siamo in grado di dare a Dio solo lode? Pregare è riconoscere l’onnipotente grandezza di Dio Creatore e la limitatezza infinita della natura umana. In realtà, anche se convinti di essere sinceri e in buona fede, chiediamo sempre qualcosa come il garantirci il dono della Grazia, della salvezza, della salute per noi e per i nostri cari. Vedi i viaggi della speranza a Lourdes e altrove.
Un tempo nelle campagne andava di moda un particolare ex voto: per grazia ricevuta un bambino veniva vestito da fratino per uno-due anni.  Oggi possiamo aggiungere che preghiamo per sollecitare il dono della pace, della sicurezza, del lavoro, della tranquillità fisica e mentale e contro le violenze ai più deboli, ai minori e alle donne. Chi rifugge il mondo lo fa pensando di avere maggiori opportunità per la propria anima.  Si prega per l’unità dei cristiani, come se le divisioni dipendessero da Lui. Si prega per le vocazioni, sempre più carenti, come se fosse compito Suo operare perché aumentino le libere scelte alla vita consacrata da parte dei giovani. Forse, ponderando con più diligenza, si scoprirebbe che è un problema legato al “post Cresima”, quando, ricevuto il ”diploma” di cristiano (sacramento della Confermazione), si ha il vuoto educativo da parte delle famiglie sempre più laicizzate e traballanti e delle comunità parrocchiali che non hanno studiato alcun progetto, con i relativi strumenti di realizzazione, adatto a suscitare l’attenzione di ragazzi alle prese con le criticità di un’età di passaggio verso il mondo degli adulti.
E’ più facile e comodo investire sugli anziani e pregare con loro, anziché provare a conoscere le esigenze dei giovani che sono tante e diversificate, poiché si devono preparare alle difficoltà della vita in una società moralmente sorda ed egoista.
Pregare è anche, e, forse, soprattutto, impegnarsi a investire sui giovani. Dice il marketing: la vendita comincia quando il cliente ha detto no. Questa affermazione potrebbe diventare un permanente e concreto progetto di preghiera (non di fervorini scontati). Era preghiera - e che preghiera! - quando S. Giovanni Bosco realizzava una nuova scuola professionale per dare un mestiere ai suoi ragazzi delle periferie torinesi; è passato un secolo e mezzo e il problema è sempre lì ad incalzare: oggi quasi tre milioni di giovani non lavorano né lo cercano più, perché non sanno come proporsi, a chi proporsi e cosa proporre.
Non possiamo trasformare gli oratori in scuole di arti e mestieri, ma in luoghi di crescita sociale e spirituale: questo sì che sarebbe corretto. Quando l’urgenza del quotidiano e la mancanza di certezze future ti coinvolgono interamente, si fa più complicato cercare il trascendente che sembra poter attendere momenti migliori.
Mi scuso per la divagazione, ma Gesù non perde occasione per stimolarci alla preghiera del fare e non alla preghiera del dire. Troppo spesso non siamo mentalizzati né preparati caratterialmente e tecnicamente a cogliere l’invito di Gesù: l’improvvisazione è come una pianta senza radici, non può crescere né dare frutti, può solo seccare. Gesù è schietto: il fico infruttifero va tagliato.
Pregare si trasforma spesso in una specie di scambio: io do una cosa a Te, Tu dai una cosa a me.
Calza a pennello un proverbio della Lucchesia: “Perché un’amicizia tenga, un pentolino vada e un altro venga”.  Il verbo pregare nel linguaggio comune ha persino acquisito un nuovo significato: serve a chiedere una cortesia, una raccomandazione, tanto è radicata la convinzione che pregare sia sinonimo di chiedere.     Riusciamo a dare gloria e onore a Dio senza chiedere? O distinguere quando con la preghiera intendiamo lodare Dio e quando, in affanno, con la preghiera intendiamo chiedere lumi e soccorso a Dio, anche attraverso la mediazione di Maria e dei Santi, che umanamente sentiamo più vicini?
“Nessuno fa niente per niente”, sembra essere il leit motiv che anima l’uomo, anche il più santo. E’ vero che l’essere umano non fa una cosa per farla e basta, ma solo quando intravede una finalità, a seconda delle opportunità, più o meno lecita, più o meno palese, più o meno nascosta, che porta ad un preciso tornaconto: anche la salvezza eterna, purtroppo, rientra in questa ottica. Si respira per vivere, si mangia non solo per vivere, ma per goderci la vita, ci si cura per vivere, si pretende il tempo libero per divertirci e vivere meglio, si lavora solo per il benessere e oltre, si cerca la droga e l’alcool - persino tra i giovanissimi -  per eccitarci e cercare emozioni forti a buon mercato: la ricerca di Dio non è ritenuta un’emozione, ma un elemento marginale che non risolve. Perché siamo arrivati a tanto? Dio è un’altra cosa, che non può essere misurata con il metro umano: almeno questo andrebbe inteso.
Ripropongo la domanda: siamo capaci di pregare Dio per darGli lode, il grazie di esistere e basta?
 (i suggerimenti per essere onesti promotori della Parola non mancheranno mai, perché le vie del Signore sono infinite!).    Temo che la risposta sia dolente.




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