N° 10 - Dicembre 2013
Lettera a Gesù Bambino
di Antonio Ratti



                                                                                            

 

Caro Gesù Bambino,

ancora una volta mi rivolgo a Te per esprimere le mie perplessità e, sempre più spesso, la mia non condivisione degli eventi che caratterizzano l’agire del genere umano, diviso, ormai in modo radicale, tra i pochi che decidono ( politici, finanzieri, manager, ricchi ) e i tanti, troppi e ancora troppi, che hanno solo il diritto di subire in silenzio.
La mia ingenuità - imbecillità nel giudizio dei potenti di cui sopra – suggerirebbe come risolutiva una modesta rinuncia, che non intaccherebbe il loro potere, ma che garantirebbe dignità a chi l’ha persa, a chi gli è stata tolta o non l’ha mai conosciuta.
Basterebbe che il neocolonialismo in atto per lo sfruttamento delle immmense ricchezze poste nelle viscere di nazioni poverissime e le barbare dittature di indecenti personaggi criticati a parole, ma protetti nei fatti, accettassero l’idea che ogni cosa ha un limite oltre il quale c’è solo caos e distruzione, perché il clima politico, sociale, economico e i rapporti tra i popoli migliorerebbero con evidenti e duraturi vantaggi per tutti, anche per loro. Quando la stessa sopravvivenza fisica per fame, per malattie persino facilmente curabili, per mancanza di libertà, per corruzione nelle istituzioni e abusi di ogni genere è ad altissimo rischio, si fa più complicato cercarTi e trovarTi, anche se, senza saperlo, Tu sei sempre vicinissimo.

Se analiziamo la situazione della nostra Italia, a tutti i livelli troviamo corrotti e corruttori, faccendieri e arrivisti, persone dalla doppia ( anche tripla ) personalità impegnati a demolire, sebbene la loro collocazione pubblica vorrebbe ben altro.
Sicuramente non avendo letto il Vangelo, non conoscono il tuo paradosso della cruna dell’ago e del cammello, per questa ragione papa Francesco insiste nel sottolineare come la corruzione e l’uso distorto  della propria posizione sociale sia un grave peccato indegno per un cristiano. Ma,“Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire” era solita suggerire nonna Clelia. La mia, ormai, lunga esperienza di vita mi insegna che voler bene è a costo zero, e rende felici; il contrario, invece, impegna tutto noi stessi nella ricerca di motivi o interessi speciosi idonei a creare divergenze, attriti, liti, corruzioni e quant’altro portano alla disgregazione del tessuto sociale e dei rapporti interpersonali. In siffatto clima di contrapposizioni, se non di lotta aperta, si fa più confuso il pensiero di mettere al primo posto la tua Parola e il tuo progetto di salvezza, che per trovare interlocutori attenti necessita di un terreno adatto, cioè, un mondo pacificato e interessato al trascendente. Purtroppo l’uomo, comunque collocato nella società civile, è attratto dall’effimero che si può toccare e soddisfa prontamente, anziché pensare in grande. Se ho sete, mi bevo subito l’acqua del rubinetto che dà sollievo immediato; per l’acqua che annulla per sempre il problema sete, semmai, ci penserò: non c’è fretta e non è un problema primario.

Ho riletto tutte le mie precedenti lettere per capire i cambiamenti di umore col passare degli anni: è un crescendo di amarezza e di delusione, perché faccio fatica a trovare un’oasi serena nel mondo d’oggi. L’Africa e l’Asia sono due continenti svuotati del diritto alla pace; l’Europa, per meglio dare libero sfogo agli egoismi personali e nazionali, tradendo se stessa, si è limitata a dotarsi di una mediocre e costosa unità economica e non accetta l’evidente legame con la cultura cristiana; l’Italia è scossa dai vaniloqui di saccenti inutili, sfacciatamente incatenatisi al potere e da uno stuolo di bipedi starnazzanti e sgomitanti per entrare nell’agone. In questa desolazione morale, perché di questo si tratta, consolaci come hai consolato e tranquillizzato i tuoi discepoli sulla barca nel mare di Galilea in tempesta.     “A passà a nuttata” diceva con triste ottimismo E. De Filippo.
Pur rispettando la libertà piena che il Padre tuo ha consegnato all’uomo, trova il modo di farci riscoprire, magari con due ceffoni – quanto mi sono stati salutari quelli di mio padre! – che solo il concetto che sottende la parola “amore” è in grado di portarci a Te attraverso una ritrovata armonia e condivisione con il nostro prossimo vicino e lontano in un mondo rasserenato. Quanto si starebbe meglio tutti, ricchi e poveri, e quanto tempo avremmo per pregustare l’eternità, nostro approdo naturale e definitivo, per merito della tua incarnazione, di cui stiamo facendo la memoria.

Forse, ho parlato solo dei nostri problemi terreni, ma l’uomo, per il premio finale, deve operare sulla terra nel modo che Tu gli hai insegnato e proposto. Aiutaci a tenere alto il seme della speranza, perché gli uomini di buona volontà possano farsi sentire e conquistare il mondo. Buon Natale.

                                                                                      



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