N° 9 - Novembre 2013
Un grande abate : Don Luciano Pesce Maineri
di Enzo Mazzini



Gli anni della guerra '40/45 furono anni veramente drammatici: la fame, le malattie, le numerose ferite e morti dovrebbero farci tutti riflettere e noi, che in parte li abbiamo vissuti, abbiamo il dovere di raccontarli  specialmente ai nostri giovani, nella speranza di contribuire a  creare un clima di vera pace.
Mai più guerre!
Anche il nostro comune e' stato teatro di vicende veramente gravi ed io voglio richiamare la vostra attenzione sul comportamento veramente esemplare tenuto dai tre sacerdoti che hanno diretto le nostre parrocchie durante gli anni terribili della  seconda guerra mondiale: l'abate don Luciano Pesce Maineri, don Albino Bellangelo e don Tito Bassi.
 In questo primo excursus cercherò di parlarvi, in estrema sintesi, della figura di don Luciano Pesce Maineri, anche se sono consapevole che lo spazio richiesto per illustrare degnamente questa grande figura dovrebbe essere più ampio.

L'abate era genovese di nascita e di famiglia appartenente al ceto medio. Compì gli studi di ragioneria prima di entrare nell' ordine di don Orione. Venne al Santuario negli anni precedenti la seconda guerra mondiale, forse chiamato da N.S. del Mirteto per portare un po' di consolazione e rimedio alle immani sofferenze che avrebbero colpito la popolazione in quegli anni tanto terribili. Per gli abitanti di Ortonovo e per chi ha avuto la fortuna di conoscerlo è stato un uomo veramente provvidenziale. Non ha infatti esitato un solo istante  a mettere a disposizione di chi aveva bisogno i locali del Santuario e tutto quello di cui disponeva, specialmente dopo l'8 settembre 1943, non esitando a dare ospitalità ai militari sbandati dopo l'armistizio, pur consapevole dei rischi che avrebbe corso se i tedeschi ne fossero venuti a conoscenza, ed il rischio era reale, tenuto presente il gran numero di fascisti che c'erano anche nel nostro comune e che avrebbero potuto riferire.
Per amore verso il prossimo, non ha esitato a mettere a repentaglio la propria vita, consapevole del drammatico destino che avrebbe potuto attenderlo: deportazione e morte, com’è purtroppo capitato a molti altri eroici sacerdoti. Inoltre avrebbe dovuto provvedere anche al sostentamento di queste persone e tutti sappiamo che quelli non erano tempi facili. C'era una cosa sola di cui don Pesce era sicuro: la Divina Provvidenza. E non sbagliava. Infatti, attraverso le offerte spontanee dei fedeli è riuscito a fare dei veri miracoli, distribuendo tutto quello che aveva, anche col rischio di rimanerne completamente senza lui stesso.Il Santuario rappresentava il riferimento sicuro e costante anche per la gente del paese. Molte persone, specialmente giovani, hanno trovato un sicuro rifugio nella galleria scavata nella roccia, trascorrendo giorni ed anche notti al riparo dai pericoli della guerra e questo fino all'arrivo degli Alleati.

Mi raccontava mio cugino Roberto Felici (che proprio in questi giorni è volato in cielo) che ognuno di loro aveva il suo posto assegnato.  "Vedi, questa era la mia nicchia", mi diceva qualche mese fa in occasione di una festa alla Madonna del Mirteto, come ho già riferito in altra pagina per ricordare la figura di Roberto.
Don Pesce non esitò a nascondere nei locali del Santuario anche una quindicina di militari disertori ed ex prigionieri alleati, cercando di mantenere un clima di cordialità e di fiducia coi soldati tedeschi e smorzando ogni tensione, per tutelare l' incolumità della popolazione.
Si rese protagonista anche di molte gesta eroiche e provvidenziali. Ne cito solo alcune a mo' d'esempio.
Il 20 novembre  1943 due ragazzi di Ortonovo paese avevano acceso un piccolo falò  per scaldarsi. Immediatamente furono presi e trasferiti nelle carceri di Marassi a Genova, con la gravissima accusa di avere fatto segnalazioni luminose al nemico. Ebbene, furono liberati proprio a seguito dell’intervento di don Pesce che riuscì a convincere le autorità tedesche della loro buona fede.
Il 26 marzo 1944 ad Ortonovo paese, in seguito ad una rissa scoppiata in una bettola per futili motivi, rimaneva ucciso un anziano del paese e ferito un militare tedesco. Grave fu il rischio corso dal paese, perché i tedeschi non esitavano a fare pesanti azioni di rappresaglia. Solo gli interventi di don Pesce e del Commissario Giulio Cesare Lorenzini riuscirono ad evitare la prevista rappresaglia tedesca. In seguito (nel mese di settembre)  sarà don Pesce a far liberare proprio il Commissario Lorenzini che era stato catturato dai partigiani e portato nel loro rifugio a Castelpoggio.
 Ho ricordato solo alcuni episodi per testimoniare le virtù eroiche dimostrate dall'abate durante la guerra, ma l'elenco potrebbe continuare.  Io ho avuto la fortuna di conoscere e frequentare don Pesce, ammirandone la grande statura morale e religiosa.

Avevo un cugino, che anche lui si chiamava don Luciano. Entrò nell'Ordine di don Orione  finendo missionario in Australia, dove trovò la morte. Lui era nato missionario. Ricordo che si era attorniato di noi ragazzi, facendo azione di apostolato e di preghiera.
Bellissime erano le immagini sacre che lui dipingeva magistralmente e di cui aveva ricoperto le pareti della sua casa in Pognana,  parrocchia di mio zio don Luigi.

Ebbene fu proprio per chiedere l'ingresso di mio cugino Luciano nell'Ordine di don Orione che mio zio conobbe don Pesce e fra i due sgorgò subito un rapporto di profonda amicizia e totale fratellanza, tanto che l'abate riuscì a convincere mio zio don Luigi a passare gli ultimi anni della sua vita come ospite al Santuario.
Io devo ringraziare il fatto che mio zio fosse ospite lassù perché questo mi ha dato l'opportunità, in varie occasioni, di trascorrere parecchio tempo a conversare con don Pesce. Furono per me occasioni di grande arricchimento culturale e spirituale che non ho mai dimenticato. La serenità di giudizio e la grande carità orionina trasparivano da ogni gesto e parola dell'abate ed io gli sarò eternamente grato per quello che è riuscito a trasferire in me.  D'altra parte don Pesce era portato al dialogo con tutti ed il suo rapporto con la gente era meraviglioso: sempre pronto ad aiutare chiunque avesse bisogno, compresi i numerosi giovani che a lui si rivolgevano per eliminare qualche lacuna negli studi. Lui considerava quei giovani i suoi ragazzi e quindi non si è mai tirato indietro. Ha sempre considerato Ortonovo come il suo nuovo mondo, tant' è che ha voluto rimanere tra gli Ortonovesi  anche dopo la morte, disponendo che le sue spoglie riposassero nel loro cimitero dove numerosi sono i fedeli che si recano a pregare sulla sua tomba.



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