N° 4 - Aprile 2013
San Martino figlio spirituale di San Ilario – Padre e dottore della Chiesa.
di don Romeo Rossetti - Varano De’ Melegari, 08/03/2013

 

 

 

 

Proprio in questi giorni ho scoperto che tra la città di Parma, dove io ho preso la residenza e dove d’altra parte sono nato e vissuto nella mia gioventù, e il paese di Casano di Ortonovo con relativa parrocchia di S. Martino dove ho vissuto come parroco esiste una specie di parentela; infatti a Parma il tredici gennaio si festeggia S.Ilario, padre e dottore della Chiesa, come patrono della stessa; egli infatti fu anche padre spirituale e collaboratore in tutta la Gallia di S. Martino in quanto questi fra l’altro fu Vescovo di Tours . Può essere interessante notare però che a Parma S. Martino, a parte le parrocchie in cui egli è il titolare, viene ricordato specialmente per quel famoso episodio in cui incontrando un povero morto di fame e semi nudo in pieno inverno, si liberò con la spada della metà del suo pesante mantello militare e lo donò allo stesso. Inoltre il giorno 11 novembre - giorno in cui ricorre la sua festa - fino a poco tempo  fa era considerato il giorno dei traslochi agricoli. Con grande piacere ho notato che anche su “Il Sentiero” il carissimo, egregio collega ed esimio scrittore Antonio Ratti, scrivendo un’ articolo sui Padri della Chiesa fa un espresso ricordo di S. Ilario come Padre e Dottore della Chiesa.

Nato nel 315 d.c. a Poitier, nella Gallia, ebbe una vita molto avventurosa e molto impegnativa dal lato ecclesiastico. Nato da famiglia benestante per quanto pagana, ha frequentato i corsi di grammatica e retorica e, come era normale allora per i preti, aveva moglie e una figlia di nome Afra. Per motivi a noi ignoti arrivò a Parma già da adulto, con le scarpe macinate dal duro camminare sulle vie sconnesse consolari, su aspri sentieri e al guado degli innumerevoli corsi d’acqua. La Parma di allora (senza Cattedrale né Battistero) era un Municipium di Roma Imperiale e non si poteva sperare che un oscuro calzolaio, un “ometto”, si rivelasse sollecito nel riabilitare le calzature da viaggio ad uno straniero esigente. E invece accadde.

Proviamo ad immaginare Ilario nella botteguccia di un calzolaio su una scranna spagliata. Sta provando ai piedi, ristorati in un catino d’acqua del torrente, scarpe militari (calighe) appena cucite dal calzolaio: perfette, ben ferrate al modo legionario, morbidi i legacci da avvincersi come edera alla gamba perché il passo non rimanesse incerto. Un gran lavoro meritevole di premio.

            A questo punto si vuole che il tonante Ilario lasciasse sugli assi del ciabattino le calighe sfondate, quelle stesse che, per licenza di prodigio riservata ai santi in servizio permanente, a luna appena tramontata, si sarebbero mutate in calzature d’oro zecchino. Arbitrario? Fantasioso? Chissà: non ci sono migliori inventori dei santi nel dar luogo all’improbabile. E così ecco Ilario legarsi a Parma, senza sospettare , anche lui, di diventarne, un bel dì, tutore spirituale e intelligenza cristiana di riferimento.

Da questo momento noi  lo vediamo, attraverso le stesse strade sconnesse di prima, ritornare in Gallia  dove inizia  la sua vita da vero cristiano, mentre prima era semplicemente un lettore della Bibbia come intellettuale, Vescovo e Evangelizzatore di tutta la Gallia. Nel frattempo il figlio di Costantino, chiamato Costantino II, si sarebbe schierato subito con l’arianesimo, spedendo addirittura in esilio nella remotissima Frigia, provincia romana dell’Asia, proprio Ilario, eletto vescovo a trentasette anni (350) e incessante sciabolatore a colpi di gladio contro i tentacoli della mostruosa eresia ariana. Fu tra i quarantatre e i quarantasette anni, che il nostro esule non rinunciò a prodigarsi anche in Frigia contro le insorgenze dell’arianesimo. Tanto che lo stesso imperatore Costantino II si risolse a rispedirlo nella natia Aquitania con la nuova accusa di essere diventato, anche in Asia, provocatore di discordia; in parole povere, un lottatore corpo a corpo contro quanti venissero indotti dall’arianesimo corrosivo a definire Cristo differente per natura dal Padre, a lui inferiore, non da Lui generato, ma da Lui adottato come figlio. 

Comunque Ilario reagì a tutto ciò, prese le vie di mare e di terra per ritornare nella sua Gallia. Vestito da pellegrino, mantello con cappuccio e cappello a larghe tese; dormiva dove capitava, si nutriva di quello che la carità o il caso gli fornivano. Egli era intimo della pioggia, del vento, del freddo, dell’afa sempre con il bastone pastorale in mano, le labbra a mormorare preghiere fino a rivedere finalmente la sua patria.

Esistenza esemplare la sua, scrisse molto; opere storiche, polemiche, dogmatiche; firmò anche un trattato sulla Trinità, “best seller” cattolico dell’epoca, commentò i salmi, iniziò il popolo al canto degli inni, resuscitò un fanciullo. Sollevò se stesso da terra al Concilio di Seleucia; sostenne, collaborando con lui, per tutta la vita Martino di Tours che,come dicemmo, divenne il S. Martino, Vescovo di Tours.

Quando morì a cinquantaquattro anni nel 367 fu dichiarato a gran voce dallo stesso popolo redento: S. Ilario il Grande. Nel 1851 Papa Pio IX lo dichiarò Dottore della Chiesa. Comunque noi ogni anno lo ricordiamo, oltre che in Chiesa acquistando e gustando a ricordo delle sue scarpe le deliziose scarpette di pasta dolce, così puntuali sulle tavole parmigiane per far festa ogni tredici gennaio al Patrono della città e alla sua leggenda.

 

 

 


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