N° 1 - Gennaio 2013
I Padri della Chiesa (2)
di Ratti Antonio

 

 

 

        

 

Per comprendere in modo più compiuto la grandezza e l’essenzialità dell’opera dei Padri della Chiesa è necessario avere un’idea del contesto e del clima politico e sociale in cui hanno vissuto e operato. Pur con realtà diverse, sia per l’Oriente che per l’Occidente, quelli relativi alla patristica sono stati secoli molto travagliati, perché le certezze e le sicurezze garantite dal forte Impero Romano, esempio di efficienza, al bacino del Mediterraneo, all’Europa e all’Asia Minore, stavano affievolendosi pericolosamente a causa della profonda crisi politico-istituzionale, economica e militare che la pletorica e intrigante Corte imperiale di Costantinopoli non sapeva gestire adeguatamente. In Occidente l’Impero, di fatto, si era già sfaldato sotto la spinta di popolazioni dell’Est, i così detti “barbari”, e la Chiesa di Roma con i suoi vescovi sparsi sul territorio era l’unica autorità credibile, impegnata nel tutelare la fede e, sempre più spesso, anche a sostituirsi al potere politico-amministrativo ormai evanescente. In Oriente le cose sembravano procedere più lentamente, sebbene il declino fosse evidente. Personaggi di scarso valore o militari, sostenuti dai loro eserciti, si alternavano sul trono, con frequenza; era, pertanto, ovvia l’instabilità, la debolezza, l’impossibilità di dare continuità all’esercizio del potere e alla programmazione politica, amministrativa ed economica, come avveniva ancora all’epoca di Costantino il grande. Elemento comune a questa serie di imperatori, con orientamenti politici e religiosi divergenti, era l’ingerenza pesante e condizionante sull’autonomia della Chiesa, troppo usata per i loro obiettivi. Per esempio, è bastato che in 3-4 anni si succedessero sul trono Teodosio II, monofisita e la sorella Pulcheria con Marciano, marito e generale, entrambi ortodossi, che si tenessero anche tre concili ecumenici: a Costantinopoli nel 448 contro l’eresia monofisita di Eutiche, influente monaco nella Corte imperiale; ad Efeso nel 449, organizzato dall’eunuco Crisafio, favorito di Teodosio II e sostenitore di Eutiche, per sconfessare le decisioni appena prese a favore dell’ortodossia, dove parlare di intrighi e scontri fisici è un eufemismo e dove fu impedito  ai legati di papa Leone Magno di partecipare attivamente e di prendere la parola, tanto che Leone lo definì il “brigantaggio di Efeso”; a Calcedonia nel 451, sotto la protezione di Pulcheria, pro ortodossia, dove i legati del papa poterono leggere la lettera,Tomus Flavianum, inviata al legittimo patriarca di Costantinopoli Flaviano,nel frattempo deceduto, che conteneva i principi che sono alla base della dottrina trinitaria e della doppia natura di Gesù Cristo ( Communicatio idiomatum nell’unità della stessa Persona  o ipostasi ). Autorevolezza, saggezza, conoscenza, competenza, capacità di sostenere e difendere con rigore la Chiesa e la Parola, oltre all’integrità dei costumi, sono l’identikit di un Padre. Pertanto l’importanza dei P.d.C. non si lega  in primis al loro valore letterario (vedi nota in calce), ma si fonda sulla loro dottrina, desunta dalla Tradizione come fonte della fede. Ciò deriva dalla loro strettissima connessione con il magistero infallibile della Chiesa, essendo in gran parte vescovi, anzi, ai loro tempi erano di fatto il magistero o la parte essenziale di esso, in quanto la Chiesa docente e discente guardava ad essi, delegava la propria difesa, ne accoglieva gli scritti e li circondava di approvazione, rappresentando un vero dono per delineare e definire il corretto cammino ecclesiale. Se avessero errato, lo stesso concetto d’infallibilità sarebbe stato compromesso; da ciò si desume che i P.d.C. hanno tutti i requisiti per essere ritenuti testimoni garantiti e qualificati della inalterata tradizione divina. Tale concezione non ha alcun valore per i Protestanti, che, rifiutando il concetto cattolico di Tradizione, nel campo della fede non riconoscono altra guida che le S. Scritture, quindi non attribuiscono ad altri, tanto meno ai Padri, alcuna supremazia e priorità. I teologi, per valutare l’autorità di un P.d.C. sono soliti indicare queste norme: a) di per sé nessun Padre è infallibile, eccetto il caso che sia stato papa ed abbia insegnato ex cathedra o se ogni  scritto è stato validato da un Concilio ecumenico; b) il consenso unanime dei Padri in materia di fede e di costumi è da ritenersi autorità irrefutabile, perché  equivale alla dottrina stessa della Chiesa. Questo è stato stabilito dal Concilio di Trento (sess.IV) e Vaticano I ( sess.III, 22) che proibirono di dare alla S.Scrittura un significato contrario o diverso alla dottrina concorde dei Padri; c) qualora manchi  tale consenso, la dottrina di uno o più Padri, specialmente se contrasta con quella di altri, è ritenuta non certa, ma non va trascurata, anzi, deve essere oggetto di approfondimento; d) i Padri che, con il consenso e l’approvazione della Chiesa, si sono distinti nel confutare speciali eresie, valgono come autorità nella formulazione dei dogmi relativi. Esempi: S. Cirillo alessandrino nella cristologia (doppia natura di Gesù) contro Nestorio, patriarca di Costantinopoli (Concilio di Efeso del 431),  S. Agostino nella dottrina della Grazia e S.Gerolamo nella dottrina riguardante il peccato originale. 

 

Nota.   La patristica tratta e studia l’aspetto dottrinale e rappresenta la spiegazione degli argomenti oggetto degli scritti dei P.d.C. a dimostrazione e sostegno della corretta dottrina; mentre la patrologia prende in esame l’aspetto letterario e il momento storico dei Padri, ne studia gli scritti e, in riferimento ad essi, la vita dei singoli autori.

 

 

 

 


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