N° 1 - Gennaio 2013
Il mio viaggio in Terrasanta . Sulle orme di Gesù (Seconda parte)
di Giuliana Rossini

 

 

 

            Sul monte Sinai si erge il Cenacolo dove Gesù ci ha donato il suo Corpo e il suo Sangue rimanendo con noi per sempre e dove lo Spirito Santo è disceso su Maria e gli Apostoli dando loro il coraggio necessario per proclamare il Vangelo. In questo luogo si è costituita la prima comunità dei cristiani. Nei pressi sorge la chiesa della Dormizione di Maria. Infatti, secondo la tradizione di Gerusalemme, ma non quella di Efeso,  ella sarebbe morta in quel luogo e poi assunta in cielo in anima e corpo. Domina la vallata di Cedron, la chiesa di San Pietro in Gallicantu, nel luogo in cui l’apostolo tradì Gesù e poi pianse amaramente. Qui, nello stesso sito, la tradizione situa il palazzo del sommo sacerdote, Caifa, che col Sinedrio giudicò il Cristo.

            Uno spazio a parte merita il Monte degli Ulivi, al di là della vallata del Cedron, da cui si ha una vista bellissima dell’antica Gerusalemme, su cui svetta la cupola dorata della moschea della Roccia. Gesù stesso vi si recava a pregare e qui insegnò il “Padre Nostro”  ai suoi discepoli; nei pressi pianse di dolore per la distruzione di Gerusalemme (…e non lasceranno in te pietra su pietra…) mentre entrava trionfalmente nella città. Alla base del monte vi è il giardino del Getzemani, dove Gesù pregò e sudò sangue per la fatica di accogliere la volontà del Padre, ma concluse dicendo “… però non quello che voglio io, ma quello che Tu vuoi (Mc. 14,36)…”. Questo giardino, nei secoli, non ha subito trasformazioni e vi sono ancora degli ulivi ultracentenari che potrebbero aver assistito all’agonia di Gesù.

            Il giorno dopo è dedicato ai luoghi santi per gli Ebrei. Ci rechiamo alla spianata del Tempio. Anche qui lunghe code per accedervi. Mentre aspettiamo il nostro turno, noto dietro di noi un gruppo di orientali (ci sono in Terrasanta moltissimi gruppi provenienti da tutto il mondo) e chiedo da dove vengono. Un sacerdote, che conosce un po’ l’italiano, risponde che sono cinesi di Pechino e ci tiene a chiarire che appartengono alla Chiesa di Roma.  E’ un momento di reciproca fratellanza. Dopo controlli minuziosi entriamo nella spianata del Tempio che, come molti sapranno, è stato distrutto una prima volta dai Romani nel 70 d.C. e poi definitivamente nel 135 in seguito ad insurrezioni dei Giudei. Secoli di dominazioni arabe hanno portato alla costruzione, proprio in quel luogo, di due moschee, fra cui quella famosa della Roccia o di Omar, a pianta ottagonale, tutta decorata con piastrelle azzurre e con un’enorme cupola dorata che si erge imponente sula città. Gerusalemme è per i musulmani il luogo di culto più importante  dopo la Mecca e Medina. Sulla spianata vi sono molte scuole coraniche all’aperto; in una di queste alcune ragazzine di 10-12 anni, col capo coperto, gonne e maniche lunghe (nonostante sia ottobre inoltrato fa molto caldo) passeggiano avanti e indietro leggendo il Corano. Resto piacevolmente colpita da tanta fede e impegno e nel contempo provo tristezza per i nostri fratelli maggiori Ebrei che qui non hanno più alcun punto di riferimento per la loro fede.

            Passiamo poi a visitare il Muro del Pianto. Da una parte gli uomini che devono obbligatoriamente indossare la calottina sul capo, dall’altra le donne. Infilo un biglietto nel muro in cui chiedo a Gesù l’unità, la fratellanza e la pace per tutti, il reciproco rispetto e la tolleranza religiosa. Nel pomeriggio visita al museo dell’olocausto. E’ un parco molto esteso in cui sono sepolti gli uomini “giusti” che hanno aiutato gli Ebrei durante la seconda guerra mondiale, con diversi padiglioni in cui sono conservate testimonianze dolorose dell’immane tragedia che essi hanno vissuto. Particolarmente toccante la zona dedicata ai bambini morti nei campi di concentramento: immersa nel buio, con gigantografie di alcuni bambini uccisi e un’infinità di piccole luci, come stelline, a ricordare la terribile sorte. Davvero non posso accumunare questo dolore a quello di Gesù crocifisso.

            Da quanto detto, mi pare che emerga che la Giudea appaia piuttosto come una terra del dolore, del rifiuto, della divisione. Questa impressione sembra acuirsi il giorno dopo quando ci rechiamo nel cuore della città santa: il Santo Sepolcro. Percorreremo la Via Crucis partendo dal luogo detto Litostrato, il tribunale in cui Pilato ha condannato Gesù, ricalcando le sue orme lungo la Via Dolorosa per giungere al luogo in cui fu crocifisso. Essa è immersa nel bazar, il mercatino arabo.  Le nostre guide ci hanno suggerito di non pretendere il silenzio di chi in quel luogo lavora, ma gli Arabi hanno rispetto per la fede altrui e tutto procede nel migliore dei modi. Le stazioni sono quasi tutte dislocate in piccole cappelle, tranne le ultime cinque che si trovano nel cortile della Basilica. Procedendo lungo la Via Dolorosa, ad un tratto mi pare di cogliere lo sguardo un po’ seccato di una ragazzina col velo che ci incrocia. Allora la saluto sfoderando il mio sorriso migliore. Risponde al mio sorriso e chiede il mio nome in inglese, ma io, un po’ per la confusione, un po’ perché sono abituata a mia volta a chiedere la provenienza dei pellegrini, le rispondo: “Dall’Italia!”. Le si stampa sul viso il sorriso tipico dei giovani verso gli anziani un po’ lenti nel comprendere e indicandosi mi dice: “Fatima”. Allora le rispondo subito, facendo altrettanto: “Giuliana”. Fatima si illumina e felice si allontana. Questo piccolo episodio dà un senso nuovo alla mia giornata: è bastato un sorriso a stabilire un rapporto! Come sarebbe meglio se tutti imparassimo a sorridere di più!

            Eccoci al Santo Sepolcro. La folla è tantissima, perciò partecipiamo alla Santa Messa in un luogo appartato, appartenente ai cattolici (anche qui le divisioni!). Poi entriamo in un piccolo tempietto dove è conservato il sepolcro di Gesù. Mi fermo pochissimi istanti: il sacerdote ortodosso ci invita a scorrere veloci, perché i pellegrini in visita sono tantissimi. Ma quel sepolcro vuoto parla al cuore: Gesù è risorto e ha definitivamente vinto la morte! Questa è la collana preziosa, la risposta di cui siamo andati in ricerca, quella che dà senso a tutta la nostra fede. Se Cristo non fosse risorto vana sarebbe la nostra fede, dice San Paolo. E così è: pur nella tristezza del momento, pure le divisioni e i tanti dolori del mondo, una luce sicura brilla: Gesù risorto per me, per tutti, anche per coloro che non lo hanno riconosciuto o conosciuto per nulla. Dio Amore si è manifestato nel Figlio, il quale compiendo la volontà del Padre ha patito ogni dolore, fino al supremo abbandono. Ma poi è risorto e la speranza ha ragione d’essere e le parole di Gesù brillano luminose di verità.

            La Basilica è grande e bella, ma alquanto cadente a causa della difficoltà di mettere d’accordo tutti coloro che l’hanno in custodia; curiosamente contiene anche il Monte Calvario che non si può vedere, ma toccare salendo al piano superiore (è alto circa 15 metri) attraverso un faro. Due ragazze del nostro gruppo decidono di passare la notte all’interno della Basilica. Questa viene chiusa dall’esterno alle 7 del pomeriggio e riapre alle 4 mattino successivo. Ci racconteranno che si è trattato di un’esperienza bellissima: affiancate da una suora hanno pregato tutta la notte, partecipando ai vari riti che si sono susseguiti.

 La nostra guida ci dà una bella notizia: quest’anno a Nazareth, per la prima volta, le varie confessioni cristiane celebreranno il Natale e la Pasqua nello stesso giorno. Mi sembra un buon modo per concludere il nostro pellegrinaggio: come ad Emmaus si possano aprire gli occhi e il cuore di tutti i cristiani e non, e realizzare la fratellanza e la pace, frutti dell’unità che Gesù ha chiesto al Padre poco prima di morire.

                                                                                                                            

 

 


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