N° 9 - Novembre 2011
NOVEMBRE
di Antonio Ratti

 

 

                                                    

Commemorazione dei defunti. 

Il culto dei defunti si perde nella notte dei tempi: basta pensare alle tante necropoli di ogni età – preistorica e storica - che l’archeologia ha fatto e fa riaffiorare. C’è chi sostiene che la civiltà, la religiosità e l’idea d’immortalità siano nate con il culto dei defunti.  In epoca cristiana la commemorazione dei defunti nasce su ispirazione bizantina. Infatti un antichissimo rito bizantino celebrava tutti i morti il sabato precedente alla domenica Sessagesima -  così chiamata fino alla Riforma liturgica del Concilio Vaticano II – ovvero, la domenica che precede di due settimane l’inizio della Quaresima, all’incirca nel periodo compreso tra la fine di gennaio e il mese di febbraio. A conferma di ciò, le comunità cattoliche italiane di rito orientale conservano ancora questa data. Nella Chiesa latina il rito viene fatto risalire a Sant’Odilone, abate dell’abbazia benedettina di Cluny, nel 998. La riforma cluniacense stabilì che le campane dell’abbazia suonassero con rintocchi funebri dopo i vespri del 1° novembre, mentre l’Eucarestia del giorno seguente sarebbe stata “pro requie omnium defunctorum”. Successivamente il rito venne esteso a tutta la Chiesa Cattolica. La festività col nome di Anniversarium omnium animarum compare nel XIV secolo. E’ consuetudine, ancora oggi molto sentita, nel giorno del ricordo visitare i cimiteri e portare in dono fiori sulle tombe dei propri cari. In diverse località italiane è diffusa l’usanza di confezionare dolci chiamati i dolci dei morti. Nella provincia di Massa – Carrara la giornata è l’occasione del bèn d’i morti con il quale i defunti lasciavano in eredità alla famiglia l’onore di distribuire cibo ai più bisognosi; ai bambini veniva messa al collo la sfilza, una collana confezionata con mele e castagne bollite. Nella zona dell’Argentario era usanza cucire grandi tasche sulla parte anteriore dei vestiti dei bambini orfani per raccogliere offerte di cibo e denaro. Nell’Italia meridionale, nelle comunità dell’Eparchia di Lungro e dell’Eparchia di Piana degli albanesi, essendo di rito greco-ortodosso, i defunti si commemorano secondo la tradizione orientale nelle settimane che precedono la Quaresima.

 

San Martino. 

Nasce in Pannonia (odierna Ungheria ) nella città di Sibaria Sicca ( odiena Szombathely )da genitori pagani nel 316-17.  Viene istruito nella dottrina cristiana senza, però, ricevere il Battesimo. Figlio di un ufficiale dell’esercito romano, segue le orme paterne arruolandosi giovanissimo nella cavalleria imperiale, prestando servizio in Gallia. E’ in questo periodo che si può collocare il famosissimo espisodio di Martino a cavallo, che con la spada taglia in due il suo ampio mantello militare, per donarlo a un mendicante preda del freddo intenso. Intenzionato a dare una svolta alla propria esistenza, lascia la vita militare e raggiunge a Poitiers il dotto ed energico vescovo Ilario, che aveva conosciuto da qualche anno. Martino è già battezzato e Ilario lo nomina esorcista, iniziando così il suo percorso di preparazione al sacerdozio. Il vescovo Ilario, vero protagonista nell’opporsi al dilagare dell’arianesimo, che godeva del sostegno della Corte,viene esiliato in Frigia (regione della Turchia), mentre Martino per il suo grande attivismo missionario  - oltre all’arianesimo, c’è ancora tanto paganesimo in giro – sembra non avere fissa dimora. Nel 356 compie un viaggio in Pannonia, sua terra natale, e passa per Milano. In seguito lo troviamo in totale solitudine alla Gallinara, isolotto roccioso davanti ad Albenga, già rifugio dei cristiani durante le persecuzioni. Tornato in Gallia, riceve l’ordinazione sacerdotale da Ilario, liberato dal suo esilio nel 360. Nel 361 a Ligugé (nei pressi di Poitiers) fonda una comunità di asceti, che è ritenuta il primo monastero con data certa in Europa. Nel 371 è nominato vescovo di Tours e va a risiedere nell’altro monastero da lui fondato a Marmoutier, periferia della città. Si rende conto che Cristo è il “il Dio che si adora in città”, quindi dà il via alla sua ultraventennale azione missionaria per convertire a Cristo le campagne e le zone rurali, preda di un vero disordine spirituale. Non ha certo la cultura e la preparazione di Ilario e spesso affiorano le caratteristiche del soldato rude e sbrigativo, come quando distrugge edifici e simboli dei riti pagani, suscitando più risentimento che consenso e adesioni. I risultati sono, comunque, brillanti, perché il focoso vescovo si fa protettore dei poveri contro i soprusi del fisco romano e dei potenti locali. Con lui le plebi rurali rialzano la testa: sapere di avere al fianco il vescovo Martino fa coraggio e dà sicurezza. Questo aiuta a capire l’enorme popolarità in vita e la crescente venerazione. Quando muore a Candes, le città di Poitiers e di Tours si disputano le spoglie. Gli abitanti di Tours riescono a sottrarre il corpo e a portarlo nella loro città dopo un’agitata navigazione sui fiumi Vienne e Loire.  La festa liturgica si celebra nell’anniversario della sua sepoltura. E’ uno dei primi santi non martiri. Candes da allora si chiamerà Candes-Saint Martin. Nella sola Francia oltre 4000 chiese sono a lui dedicate e il suo nome è dato a migliaia di paesi e villaggi in Francia, Italia, nel resto dell’ Europa e nelle Americhe.

 

 


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