N° 4 - Aprile 2010
Ortonovesi, illustri ma un pò sconosciuti
di La redazione

 

 

ORTONOVESI ILLUSTRI, MA UN PO’ SCONOSCIUTI

Da Bici Sport – Marzo 1990.

         Nell’Italia degli inventori e degli “artigiani innamorati” ha avuto un ruolo, ancorché sconosciuto, Francesco Ghiggini, morto recentemente a novant’anni d’età. Fece una clamorosa invenzione e poi mise il suo rudimentale prodotto nelle mani di Tullio Campagnolo il quale lo migliorò e lo inserì in un “giro” internazionale dimostrando la grande validità del rapporto felice tra una mente illuminata e un imprenditore di rango. Era destino che il cambio di Ghiggini non dormisse con le ragnatele…

 

 

LA PREISTORIA DEL CAMBIO

 

         All’età di 93 anni si è spento a Ortonovo, (SP), dove da tempo abitava, l’inventore del cambio di velocità per le biciclette. Francesco Ghiggini, così si chiamava. Era nato a Lerici il 17/9/1896, meccanico e motorista navale sin dal 1914, aveva lavorato per 30 anni come operaio alla Oto Melara di La Spezia. Aveva sposato Lina, una dei tanti fratelli Minucciani residenti e anche molto conosciuti nel nostro territorio (Armando, Ida, Lina, Renato, Dino, Gino, Giulio e, ultima, Nella, ancora vivente). Era soprattutto un tipo creativo, patito della meccanica; uno che amava chiudersi nel suo minuscolo laboratorio-ripostiglio stracolmo di attrezzi e cianfrusaglie varie, appartarsi dal mondo e creare congegni tanto sofisticati quanto precisi. Non curandosi dei mugugni della moglie, che gli rimproverava di perdere tempo inutilmente, il Ghiggini, che oltre a essere creativo era un tenace a vita, non si lasciava facilmente scoraggiare e continuava a partorire idee e ad avere la capacità di trasformarle in realtà. Non solo il cambio ideò l’inventore ortonovese, ma anche uno speciale mattone antisismico e una pressa idraulica per produrlo in serie, mentre all’Oto Melara riuscì, con una modifica, a trasformare una macchina tessile che faceva 500 battute il minuto in una in grado di quadruplicare la produzione, e alle Ferrovie dello Stato inviò un progetto di un giunto antimartellante per attenuare il rumore dei binari ferroviari.

         Appassionato oltre che di meccanica anche di ciclismo, aveva visto tante volte passare sotto casa i corridori impegnati nella difficile e pericolosa manovra di cambiare il rapporto di velocità. Nei primi decenni del secolo, ai tempi di Binda, il cambio era una semplice leva con funzione di tendicatena che andava ad agire tra la moltiplica e i rocchetti. I ciclisti dovevano piegarsi sulla bici per spostare la catena con le mani o con la punta dei piedi. Un sistema certo poco pratico e anche pericoloso, ma fino ad allora nessuno aveva studiato un sistema migliore. Ci pensò il Ghiggini nel 1937 a inventare un meccanismo che permetteva lo spostamento della catena nei 3 o 4 rapporti di velocità pur continuando a pedalare. Era sufficiente manovrare una levetta sistemata nella parte alta del tubo del piantone e collegata attraverso un’asticella in acciaio al cambio vero e proprio che regolava automaticamente la tensione della catena.

         Non pago della sua realizzazione, Francesco Ghiggini, fra il ’37 e il ’41, migliorò due volte il suo cambio, rendendolo sempre più funzionale grazie all’applicazione di un principio meccanico detto “sistema cinematico a parallelogramma articolato”. I suoi tre diversi brevetti vennero presentati alla Prefettura di La Spezia e l’ultimo a quella  di Genova (1° brevetto: n° 351005 presentato a SP il 25/1/37 alle ore 15,30; il 2° brevetto n° 369685, presentato a SP il 31/10/38 alle ore 18; il 3° brevetto n° 393926 presentato a GE il 27/11/41 alle ore 11,20). Nasceva così il cambio che oggi è su tutte le bici, migliorato ancora sia funzionalmente che esteticamente, ma nella sostanza sempre lo stesso. Ai pregi di una facile manovrabilità, si aggiungevano quelli di una grandissima semplicità di costruzione e di applicazione del cambio Ghiggini. Cambio che, piazzato sull’asse della ruota posteriore, consentiva al tendicatena di orientarsi sempre parallelamente al piano della catena, in qualsiasi posizione angolare del suo braccio di supporto. Fra l’altro, la levetta sul telaio prevedeva un disco con delle tacche per fermare la leva stessa nella giusta posizione della catena, rispetto al rocchetto scelto, senza corse intermedie: un principio che precorse il cambio a scatto, il Sis di oggi.

         Il Ghiggini i primi cambi li costruì da solo, artigianalmente, e li cedette ai venditori locali di bici. Poi pensò anche di realizzare i vari pezzi in serie con l’aiuto di alcuni amici, ma ciò non avvenne e il progetto del cambio rimase per anni chiuso in un cassetto. Solo alla fine del 1950 la situazione finalmente si sboccò. Un parente del Ghiggini, certo Dino Minucciani, che si trovava a Savona per motivi di lavoro, parlò di questo brevetto a Giuseppe Olmo, il noto fabbricante di biciclette della cittadina ligure. Olmo, entusiasta dell’invenzione, iniziò una trattativa. Venuto a conoscenza del fatto, si fece  però avanti Tullio Campagnolo, titolare dell’omonima azienda che in seguito diverrà leader internazionale del settore, reclamando a Olmo il suo esclusivo diritto alla fabbricazione del cambio, essendo egli stesso in possesso di un brevetto simile. Esaminando bene i progetti del Ghiggini, Campagnolo si rese conto però che  questi brevetti erano regolari e anteriori rispetto a quelli in suo possesso. E allora, anticipando Olmo, contattò l’inventore ortonovese perché gli cedesse il suo ultimo brevetto. Alla fine di gennaio del 1951, nella signorile hall dell’Hotel Londra & Continentale di Genova, il Ghiggini e Campagnolo si incontrarono per la trattativa conclusiva. Con un atto privato, il primo dichiarò, realizzando così un eccellente affare, di aver venduto al secondo i suoi brevetti (sia italiano che francese) al prezzo convenuto di 500 mila lire (con un acconto di 50 mila lire e due rate). Una cifra allora piuttosto considerevole, poiché consentiva l’acquisto di un appartamento o di una casetta.

         Da allora il cambio inventato e sapientemente realizzato dal Ghiggini, ha invaso il mondo del ciclismo e oggi i corridori non si piegano più sulla bicicletta come un tempo per compiere quella manovra tanto complessa e pericolosa che cambiare richiedeva. Gli atleti moderni toccano con un dito la levetta senza più nemmeno guardarla e la catena cambia sede con un “tlac” preciso e magico. I cambi moderni di velocità hanno ormai una morfologia a ginocchio, i registri di corsa trasversale e la vite di inclinazione per il corpo dell’apparecchio. Ma conservano le “stimmate” dell’artigiano ligure soprattutto in un particolare che fu esaltato nella produzione ‘Campagnolo’: le bielle che muovono il bilanciere.

         Chi sale sulla bicicletta, non immagina la storia che abbiamo raccontato, tanto meno i più giovani. Come, per esempio, quei 139 corridori che hanno pedalato fra tradizione, cultura, arte, sul percorso del XV  Giro della Lunigiana, la gara internazionale a tappe per juniores più dura e più bella d’Europa. Una corsa che è stata di volta in volta un valido banco di prova per i vari Argentin e Bugno, Piasecki e Sorensen, Chioccioli e Fondriest e per quasi tutti gli altri protagonisti del ciclismo professionistico di oggi.

         E’ bello pensare che per una settimana, in Lunigiana, più di 100 biciclette vadano alla conquista delle linee dolci dei colli e si spingano fino alle alte giogaie appenniniche o Apuane, fra le praterie a brughiera e a mirtillo o gli scoscesi versanti di marmo, per scendere sulla ripa del Magra, fino al mare.

         In questa ultima edizione, proprio nel giorno in cui si correva la cronoscalata Carrara-Castelpoggio con la vittoria del trentino Gilberto Simoni, nato a Palù di Giovo come Francesco Moser, ma non nipote del popolarissimo ex campione come frettolosamente dichiarato, Francesco Ghiggini, il nostro inventore ormai ultranovantenne, cessava di vivere. Era il 9 settembre scorso, si spegneva una stella sconosciuta nella storia della meccanica ciclistica e se ne accendeva forse un’altra nel ciclismo agonistico, anch’essa tutta da conoscere.

                                                            

                                                             Riccardo Carnovalini, da ‘Bicisport’ – Marzo 1990

 

 

 

 




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