N° 2 - Febbraio 2021
Spiritualità
  IL “BUON SEME”
di PADRE DAMARCO



 

Proseguiamo la pubblicazione delle relazioni che hanno caratterizzato il 30 ottobre scorso il convegno tenutosi alla Casa della Missione di Sarzana nell’ambito delle iniziative per i 45 anni dalla morte di padre Vincenzo Damarco, dei Preti della Missione. Il testo di questo mese è della relazione tenuta da don Giovanni Cereti. Genovese e illustre teologo, don Cereti vive da molto tempo a Roma, dove ha fondato il gruppo di spiritualità “Fraternità degli Anawin”. Grazie anche al tramite prezioso e all’amicizia con l’ortonovese Giuseppe Pedroni, collabora ormai da anni con il gruppo degli “Amici di padre Damarco”. Sul tema della relazione che pubblichiamo oggi sul “Sentiero”, ha svolto numerosi studi e conferenze nel solco di una riflessione critica sul sempre difficile stato di attuazione del Concilio Vaticano II e quindi di un contributo vivo di fermento alla comunità ecclesiale.

(e.b.)

DIGNITA' DELLA PERSONA E APERTURA AGLI ALTRI

DAL CONCILIO VATICANO II A PAPA FRANCESCO

 

                                                  di Giovanni Cereti

"Dignità della persona e apertura agli altri": un’affermazione che costituisce il cuore dell'Evangelo e quindi che dovrebbe esserlo anche del messaggio della chiesa intesa come popolo di Dio. Queste due tematiche sono inoltre riconosciute come il frutto dell'evoluzione propria della nostra tradizione, almeno per l'Europa occidentale, e nonostante gli orrori della prima metà del ventesimo secolo. Le tre parole che ci parlano di eguaglianza, libertà e fraternità esprimono concetti pienamente cristiani, anche se talvolta sono state usate proprio in funzione anticlericale. Nella stessa linea occorre ricordare che i diritti umani fondamentali sono stati affermati innanzitutto nella scuola domenicana spagnola del sedicesimo secolo (Bartolomeo de Las Casas, Francisco de Victoria) per essere poi sviluppati da Ugo Grozio e nell’illuminismo rivendicati contro posizioni ecclesiastiche meno aperte. Purtroppo il riconoscimento della dignità della persona umana e della necessaria apertura agli altri furono nel sedicesimo secolo compromessi e quindi considerati quasi estranei nella Chiesa cattolica per il fatto che le Chiese evangeliche sottolinearono alcuni di quei valori civili e comunitari per cui nel clima dell’epoca per i cattolici essi rimasero piuttosto nell’ombra. Per quanto in ritardo di 200 anni, come diceva il cardinal Martini, di fatto anche nella chiesa cattolica agli inizi del ‘900 si svilupparono dei movimenti di risveglio che trovavano alimento proprio nella riflessione sulle Scritture. I movimenti biblico, patristico, liturgico e molti altri prepararono la Chiesa cattolica ai rinnovamenti che finalmente vennero almeno in parte affermati anche se non compiutamente realizzati con il Concilio Vaticano II. Il Vaticano II affrontò infatti con molto coraggio tutti i temi presenti e discussi nelle comunità cristiane, cercando di darvi una risposta in chiave riformatrice. Sono soprattutto tre le affermazioni fondamentali per il tema della riforma. Vi è innanzitutto un riferimento alla capacità di discernere i segni dei tempi, per cui certi valori emersi nella società venivano fatti propri dall'assemblea conciliare (GS 4 e Il). Infatti, viviamo in un mondo in profonda evoluzione (GS 4), per cui "il genere umano passa da una concezione piuttosto statica dell'ordine, a una concezione più dinamica ed evolutiva" (GS 5). Di conseguenza, “le istituzioni, le leggi, i modi di pensare e di sentire, ereditati dal passato, sembra che non si adattino bene alla situazione attuale" (GS 7). Un'affermazione straordinariamente importante, che può supportare qualsiasi riforma che appaia oggi necessaria, dalla soppressione del celibato richiesto per legge a quanti si presentano per l'ordinazione al ministero presbiterale, all'ordinazione delle donne allo stesso ministero. In secondo luogo, nel decreto sull' ecumenismo "Unitatis Redintegratio", la riforma della Chiesa (e delle Chiese) è considerata necessaria per potere realizzare la riconciliazione dei cristiani. "La Chiesa pellegrinante sulla terra è chiamata da Cristo a questa perenne riforma della quale essa, in quanto istituzione umana e terrena, ha continuo bisogno" (UR 6), e questo tanto nei costumi, quanto nella disciplina ecclesiastica, quanto infine nel modo di esporre la dottrina. Per quello che riguarda infine la dignità della persona e l'apertura agli altri, basti pensare ai due primi capitoli della prima parte della "Gaudium et Spes", consacrati proprio a riaffermare la grandezza e dignità della persona umana e il suo carattere sociale, aperto agli altri. Nel primo capitolo il Concilio affronta il discorso sulla persona umana, sul suo valore per credenti e non credenti, sulla sua dignità in quanto creata a immagine di Dio, come uomo e donna, dotato di libertà, composto di corpo e spirito, capace di conoscenza e di sapienza, dotato di una coscienza morale. "Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire ... L'uomo ha in realtà una legge scritta da Dio nel suo cuore: obbedire ad essa è la dignità stessa dell'uomo, e seconda questa egli sarà giudicato. La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità propria" (GS 16). Un'affermazione che dev'essere ricordata a quanti affermano che non esiste una coscienza personale, ma vi è solo la coscienza della chiesa, alla quale occorrerebbe obbedire. Il secondo capitolo della prima parte della GS è dedicato poi alla comunità degli uomini, e lì troviamo i principi di quell' amore universale verso gli altri e di quel superamento di un'etica individualistica, che ha trovato i più recenti sviluppi nell'enciclica "Fratelli tutti" di papa Francesco. Ambienti che sembravano meno segnati dall'incontro con la modernità, come per esempio gli ambienti missionari, hanno potuto conoscere una crisi, proprio alla vigilia del Vaticano II, a causa degli eventi legati alla decolonizzazione e al nuovo rispetto che si portava alle culture locali, crisi superata proprio con la 'missio Dei': non siamo noi che andiamo in missione, è Iddio stesso, Padre Figlio e Spirito, che ci manda (AG 1-4). Il Concilio ha soprattutto parlato dell'unica Chiesa di Cristo, alla quale tutti apparteniamo per il battesimo e la fede (UR 3). Di conseguenza, tutte le ricchezze delle altre chiese, ricchezze legate al patrimonio umano, cioè al numero delle persone credenti che vivono in queste comunità, e ai patrimoni liturgici e spirituali di queste chiese, in quanto tutte appartenenti all'unica Chiesa di Cristo, le possiamo considerare ricchezze di quest'unica Chiesa per la quale dobbiamo rendere grazie al Signore, superando tutte le dispute del passato. Mentre esponenti di altre Chiese cristiane si riavvicinavano alla Chiesa cattolica, lieti dei rinnovamenti realizzati, la novità di tante affermazioni conciliari mise in allarme le forze più conservatrici esistenti all'interno della Chiesa cattolica, che si coalizzarono nel cercare di vanificare le decisioni del Concilio. L'opposizione nei confronti di Giovanni XXIII e di Paolo VI non fu minore di quella che oggi conosce papa Francesco. Purtroppo, essa incise proprio sugli ultimi anni di papa Paolo VI e sulle sue ultime decisioni; prese per scongiurare uno scisma che gli veniva minacciato da cardinali e da vescovi. Nell'ultima enciclica di papa Francesco "Fratelli Tutti" si mettono in primo piano "gli scartati". In un gruppo di lettori dell'enciclica che io seguo, una persona si lamentò di questa espressione. Non vi furono scartati nelle Chiese? Furono innumerevoli, per motivi politici e ideologici. Gli scartati di cui parla papa Francesco furono per esempio nella stessa Chiesa i preti che avrebbero potuto diventare vescovi in Italia e nel mondo e che furono scartati per la scelta costante per l'episcopato di preti conservatori, donde il livello mediocre dello stesso episcopato in tanti paesi. Ma soprattutto furono i molti preti, ricordati in un intervento di Pietro Lazagna, che ebbero a soffrire in molti modi ("pubbliche censure, trasferimenti, riduzioni allo stato laicale"), e con loro le comunità cristiane, che si videro private da un'autorità ecclesiastica poco illuminata di preti che volevano vivere nella fedeltà al concilio e che guidavano con grande generosità le loro comunità. Questo sia detto pur rispettando la buona fede e la rettitudine di intenti di quanti presero queste decisioni, che erano condizionati dalla formazione ricevuta e dalla presenza di tanti esponenti del popolo cattolico ma soprattutto dell'episcopato italiano che pensavano e agivano nello stesso modo. L'esegesi biblica ha posto in risalto nella lettura del Primo Testamento il conflitto fra il sacerdozio e il profetismo. Il sacerdozio trasmetteva gli insegnamenti alle nuove generazioni, cercando di conservarli in tutte le loro esigenze. I profeti intravedevano le nuove necessità, ma non avevano altro potere che quello della parola. Un conflitto che forse ha accompagnato nei secoli la storia della chiesa, e del quale ha sofferto anche il nostro carissimo padre Vincenzo Damarco, che aveva compreso le necessità del popolo di Dio e che voleva essere fedele alle aperture conciliari, ma che ebbe a soffrire incomprensioni ed emarginazioni proprio per questo motivo. Mi limito a rilevare quanto scrissi nella prefazione alla nuova edizione dei “Commenti ai vangeli" di padre Damarco, e cioè che è possibile che proprio le persone che meglio avevano compreso il Concilio siano state squalificate come contestatori e quindi non ascoltate ed emarginate. Nelle comunità religiose, le persone più aperte alle acquisizioni conciliari si trovarono spesso in minoranza e molte di esse dovettero lasciare le loro comunità e quindi la vita religiosa per la resistenza che si era manifestata nell'accettare i rinnovamenti conciliari. Furono molte le vittime di questa situazione, ma soprattutto furono molti anche i responsabili nella Chiesa e nelle comunità religiose che si irrigidirono e che giunsero a esercitare l'autorità in forme di "potere" e di decisioni prese senza rispetto per la persona dell'altro, forme che avrebbero dovuto essere estranee al popolo di Dio. Fra le vittime di questo orientamento conservatore e di questa resistenza anche inconscia ad accettare gli orientamenti del Concilio, che portò a confondere il politico con lo spirituale ma che non tenne alcun conto di quanto aveva detto il Concilio intorno ai segni dei tempi e soprattutto intorno alla coscienza personale alla quale siamo tenuti a obbedire, ci fu come si è detto padre Vincenzo Damarco. Altri hanno dato conto di questa straordinaria incisività di padre Damarco, testimoniata dal fatto che dopo 45 anni dalla sua morte la sua persona e il suo insegnamento restano vivi in una comunità cristiana. Personalmente ho riletto il discorso di don Sandro Lagomarsini al suo funerale e mi sono commosso al pensiero di un uomo tanto buono e ragionevole e che tanto ha sofferto da parte di chi deteneva il potere, sia come vescovo sia nel suo ordine religioso. Lasciando agli storici il compito di ricostruire meglio la storia dei due pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, papi che comunque sono stati eletti dopo la morte di padre Damarco, possiamo aggiungere che essi operarono certamente in fedeltà alla loro vocazione e in conformità alla loro coscienza, ma che l'orientamento a scelte e decisioni di carattere conservatore continuò anche se spesso con incoerenze e portò a una mancanza di attenzione alle decisioni del Concilio che contribuì forse alla morte di tante esperienze vitali di comunità locali e all'allontanamento dalla Chiesa di tanti fratelli e sorelle di buona volontà. Così come merita di essere rilevata una incapacità di misericordia nei confronti di quanti erano stati costretti a lasciare il sacerdozio e la vita religiosa, talvolta ridotti in miseria nella nuova situazione che dovevano affrontare senza adeguate ricompense della comunità per quanti avevano per anni posto la loro vita al servizio della Chiesa. In conclusione, la dignità della persona e l'apertura agli altri furono in molti casi ignorate o represse, come accadde proprio con padre Damarco e con la sua capacità di animare la comunità cristiana a lui affidata. Oggi tuttavia, con papa Francesco, si sono riaccese molte speranze per un rinnovamento della chiesa in piena fedeltà al Concilio e ancor più all'Evangelo. Le encicliche "Laudato sì" e "Fratelli tutti" sono impregnate di questa volontà di rinnovamento, e delineano un'umanità capace di superare le barriere che dividono le chiese e le stesse religioni, capace di accogliere i credenti come i non credenti, nella ricerca di una convergenza di tutta l'umanità nel perseguire un-avvenire di pace e di giustizia e nell' impegno a salvaguardare la vita sulla nostra terra. Mi viene in mente uno scritto di Teilhard de Chardin, redatto al momento della prima guerra mondiale a Verdun, dove egli prestava servizio militare. Di fronte alla visione di due eserciti impegnati allo spasimo per avere il sopravvento l'uno sull' altro, con un'infinità di giovani che immolavano la vita per la loro rispettiva patria, scriveva di sognare il tempo in cui l'umanità avrebbe fatto fronte comune per combattere malattie, povertà, e violenze di ogni genere. Viviamo in tempo di pandemia, la violenza è ancora presente, ma forse quel tempo è venuto, e papa Francesco ci insegna a varcare i confini per riconoscere il valore infinito di ogni persona umana e la necessità di unirci a tutte le altre persone che popolano la terra per fare fronte comune in modo da poter dare vita tutti insieme a una nuova umanità.


  Gesù è vicino
di Enzo Mazzini



La Chiesa ci invita alla gioia, una grande gioia, perché è ormai vicina la nascita del Signore che viene a noi per restare sempre accanto a noi e soprattutto vicino ai poveri ed ai diseredati.
Tutto questo emerge con prorompente chiarezza nel Vangelo della terza domenica di Avvento che per la seconda domenica di seguito contempla la figura di un grande Santo: San Giovanni Battista.
Io in questo periodo di pandemia per il covid, essendo relegato in casa anche per la mia età ormai avanzata e quindi  come soggetto particolarmente esposto, ne approfitto per assistere a molte Sante Messe trasmesse da TV 2000, da Padre Pio TV e da Tele Liguria Sud. Ebbene, in questa terza domenica di Avvento,  assistendo alla S. Messa trasmessa su Padre Pio TV, ho ascoltato un'omelia davvero profonda, rivolta ai fedeli da parte di S.E.Mons.Franco Moscone, Vescovo di Manfredonia, Vieste e San Giovanni Rotondo, omelia che mi ha particolarmente colpito e che ritengo utile estendere ai lettori del Sentiero: "Cari fratelli e sorelle, mi sembra che la frase iniziale della seconda lettura di questa domenica abbia  qualche cosa di straordinario e sconvolgente e lasciamo che parli al nostro cuore.
San Paolo ci indica qual è  la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di noi. Qual'è questa volontà di Dio in Cristo Gesù? Lo sappiamo: è la nostra salvezza, è la pienezza della vita, è la vittoria del bene e renderci in Cristo suoi figli, adottivi ed eredi. Lo abbiamo ascoltato domenica scorsa e nella festa dell'Immacolata, ma la frase che anticipa questa volontà di Dio in Gesù, che è volontà di salvezza per tutti e sempre, fa aggiungere tre osservazioni, quasi tre comandi fondamentalmente e detti con intensità: il primo comando è: "Siate sempre lieti" il secondo è: "Pregate ininterrottamente" e il terzo: "In ogni cosa rendete grazie ". Mi domando sovente: "Ma è possibile comandare questo?  Una gioia che perdura sempre? Una preghiera ininterrotta? La capacità di vedere su ogni cosa l'occasione per dire "Grazie"? Credo che dal punto di vista umano e dal punto di vista esperienziale di ciascuno di noi non sia così. Senza dubbio, come desiderio, vogliamo essere sempre lieti e siamo anche disponibili, come desiderio e da persone di fede, ad avere la mente in Dio e quindi una preghiera ininterrotta e vorremmo una relazione corretta con la nostra storia, con gli avvenimenti e con le persone,  in modo da trovare motivi di ringraziamento e di gratitudine, ma l'esperienza, i limiti della nostra vita, le incomprensioni e gli avvenimenti della storia ci impediscono di vivere queste realtà in una forma così continua come vorrebbe Paolo e come sarebbe la volontà di Dio in Cristo Gesù per tutti noi. Ma se è impossibile letteralmente, lo può diventare realmente nella vita, ad una condizione, ed è San Paolo stesso che lo ribadisce immediatamente dopo, e la condizione è di non spegnere la voce dello Spirito che è dentro di noi, che ci è stata comunicata attraverso il Battesimo: non spegnere questa sorgente che Dio ci ha inserito nel nostro cuore che è poi il dono della fede, non disprezzare quella voce, che è interiore, della coscienza, che è la voce di Dio e metterci, dice ancora Paolo, a vagliare ogni cosa, a renderci conto di quello che capita, cercando di  setacciare e di conservare ciò che è bene, trascurando e mettendo da parte ciò che è male. I momenti di vera gioia, di preghiera autentica e soprattutto di gratitudine, anche se a volte potrebbero sembrarci pochi, se li vogliamo, se li conserviamo, se li vediamo momento per momento nella nostra vita, allora renderanno tutta la nostra vita una vita di vera gioia, di preghiera ininterrotta e di gratitudine e copriranno tutti gli avvenimenti che vanno in altra direzione. Saremo stati capaci di vagliare e tenere veramente il bene e fare sì che questo bene abbia la meglio su tutto e recuperi le condizioni negative. Diventeremo, in questo modo, capaci e portatori di giustizia, di  verità e di pace: è quanto diceva anche il profeta Isaia.
Il testo del profeta Isaia è importantissimo anche perché Gesù nella Sua prima predicazione, quando si presenta ai suoi concittadini a Nazareth, nella Sinagoga e per la prima volta prende ufficialmente la parola, commenta questo testo e lo applica a Se stesso: "Lo Spirito del Signore, lo Spirito di Dio, è su di me, mi ha consacrato con la sua unzione e mi ha mandato a portare questo lieto annuncio, questa gioia che deve rimanere sempre e mi ha mandato a portarla incominciando da chi apparentemente è più lontano dalla situazione di gioia e di sicurezza. Mi ha mandato a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà e, con la scarcerazione, a promulgare l'anno di grazia del Signore ". Quanto sono belle queste parole di Gesù e vere e quanto sono necessarie sempre e quanto le sentiamo necessarie in questo particolare momento della nostra storia e della storia di tutta l'umanità! Abbiamo bisogno di questo Spirito, di questa vita cristiana, che faccia di ognuno di noi, in questa situazione di pandemia, comunque, dei portatori di un annuncio, di un annuncio lieto che è il Vangelo e soprattutto capace di fasciare le piaghe, le piaghe fisiche, ma soprattutto le piaghe dei cuori (e quanti cuori si stanno spezzando!) e capaci di dire quella parola che libera, incominciando dalla mente, dal cuore e dallo spirito di ogni persona. Ecco, a questo il Signore ci abilita e ci rende capaci perché quello Spirito che era su di Lui, quello Spirito che Dio ha messo, fin dalla creazione del mondo, sull'intera creazione, non se ne è andato, non è fuggito da questa terra,  non è lontano, non ci ha abbandonati: è ancora presente, ma tocca a noi riuscire a riconoscerLo e tocca a noi soprattutto sentirLo presente dentro di noi, aprirgli la porta del cuore e della mente perché si sprigioni e porti frutti di gioia, di gratitudine e di quel pensiero costante in Dio e nei fratelli. Ecco, questi sono i temi della prima parte della liturgia della parola di questa terza domenica di Avvento, che ci indica la nostra vocazione di cristiani come persone che donano al mondo la gioia e la donano con la loro testimonianza di vita completa. Ma c'è anche il testo del Vangelo, il Vangelo di Giovanni, che ci presenta, come domenica scorsa, però domenica scorsa era l'Evangelista Marco, la figura di Giovanni Battista. Ce lo presenta però in un momento particolare: di domande. Non ci presenta Giovanni che sta battezzando, ma piuttosto un Giovanni che viene interpellato, interpellato dai Sacerdoti, da quelli che allora avevano nelle loro mani la storia di fede e civile del popolo eletto. I sacerdoti e i leviti lo interrogano, gli buttano addosso una serie continua di domande: "Ma tu chi sei? Sei forse il Cristo?  Sei Elia, che si pensava dovesse tornare? Sei uno dei profeti? E se non sei questo, dici qualche cosa: perché fai questo? Perché battezzi? Giovanni sta alle domande, non fugge lontano da queste domande, risponde e risponde senza fingere. Avrebbe potuto fingere, avrebbe potuto dire: "Sì, sono io il Cristo ". Avrebbe potuto cercare, fra virgolette, il proprio interesse personale e la propria riuscita. Avrebbe ottenuto di sicuro applausi e forse ancora maggiori persone che andavano dietro di Lui. No! Giovanni sta alle domande, non rinuncia a cercare la risposta e non finge nel rispondere. Ecco, anche per noi deve avvenire qualcosa di simile. Anche noi dobbiamo imparare ad ascoltare le domande vere ed autentiche che provengono da ogni luogo, quelle che portiamo dentro di noi, alla ricerca del significato della vita e dei nostri comportamenti, quelle che ci vengono dall'esterno, dalla storia. Quante domande questa pandemia e questa situazione mondiale ci portano! Quelle che ci vengono dalla intera situazione creaturale.
Anche noi dobbiamo rispondere a "Chi siamo?" e dobbiamo dircelo con certezza: "Non siamo i creatori, non siamo i padroni, non siamo forti ma siamo pieni di fragilità, scopriamo continuamente le nostre debolezze: siamo creature e abbiamo bisogno di ritornare e di riscoprire Colui che può darci una mano e riportarci alla verità". Ecco, ascoltare le domande che ci sono in noi, attorno a noi e che continuamente ogni giorno ci arrivano ed è importante questo : l'ascolto è il primo elemento della fede.  Se non ascoltiamo le domande vere della vita, ben poco di fede riusciremo a testimoniare! Ma se ascoltiamo e tiriamo fuori queste domande senza paura, senza fingere, con risposte semplici, senza illudere, ecco che il Signore ci accompagnerà a crescere nella fede e soprattutto a diventare Suoi testimoni. 
C'è una parola  chiave nel Vangelo di questa domenica ed è la parola  "testimone" o "testimonianza ": "Venne un uomo mandato da Dio.  Il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone " e poi c'è il verbo "per dare testimonianza alla luce" e poi "Questa è la testimonianza di Giovanni". Se andiamo a vedere il termine che il Vangelo pone, nell'originale greco il verbo testimoniare è il verbo del martirio. Ascoltare le domande senza fingere risposte, ma cercando la risposta vera, ci porta a diventare anche noi testimoni: quella testimonianza vera che ci fa ”martiri" di Cristo. Non avremo più bisogno di parole per dire la nostra fede perché la parola si incarna in noi, come si è incarnata in Gesù: "Il Verbo si è fatto carne". La nostra vita diventa automaticamente espressione di questa parola.  Diventa carne della parola. Diventa testimonianza, diventa eloquenza e ci permette di vedere che il volto del nostro fratello e della nostra sorella è il volto di Cristo, ci permette di riconoscere che chi è in difficoltà e in sofferenza è lì  il Cristo nella carne, ci permette di sentire che ci possiamo avvicinare, come Cristo, da buoni samaritani e fare la nostra parte. La testimonianza, il martirio è il martirio nella carne in ogni giorno e questa testimonianza, questo martirio, farà di noi dei tanti Giovanni  Battista,  che sanno portare in questo mondo,  in questi giorni, in questa situazione, quella che è la luce di  Cristo che è tenerezza, puro conforto, per portare quella voce che rende la testimonianza di una presenza, di una verità che è ancora una volta il Signore Crocifisso e Risorto e ci renderà in questo  modo capaci di quei tre verbi e di quei tre impegni che San Paolo ci ha detto all'inizio. Ci permetterà di essere veramente lieti in qualsiasi situazione perché la gioia è quella che viene da Lui. Ci permetterà di avere un atteggiamento costante di visione e quindi di preghiera anche quando fisicamente non preghiamo e ci renderà grati in ogni cosa, in ogni incontro, in ogni avvenimento. Ecco, che sia così.  Chiediamo questo dono, il dono di questo martirio di testimonianza che nello spirito ci permette di essere persone capaci di preghiera ininterrotta, di gioia sempre e di rendimento di grazia in ogni momento e per ogni cosa. Amen".


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