N° 1 - Gennaio 2021
Spiritualità
  Gesù è vicino
di Enzo Mazzini



La Chiesa ci invita alla gioia, una grande gioia, perché è ormai vicina la nascita del Signore che viene a noi per restare sempre accanto a noi e soprattutto vicino ai poveri ed ai diseredati.
Tutto questo emerge con prorompente chiarezza nel Vangelo della terza domenica di Avvento che per la seconda domenica di seguito contempla la figura di un grande Santo: San Giovanni Battista.
Io in questo periodo di pandemia per il covid, essendo relegato in casa anche per la mia età ormai avanzata e quindi  come soggetto particolarmente esposto, ne approfitto per assistere a molte Sante Messe trasmesse da TV 2000, da Padre Pio TV e da Tele Liguria Sud. Ebbene, in questa terza domenica di Avvento,  assistendo alla S. Messa trasmessa su Padre Pio TV, ho ascoltato un'omelia davvero profonda, rivolta ai fedeli da parte di S.E.Mons.Franco Moscone, Vescovo di Manfredonia, Vieste e San Giovanni Rotondo, omelia che mi ha particolarmente colpito e che ritengo utile estendere ai lettori del Sentiero: "Cari fratelli e sorelle, mi sembra che la frase iniziale della seconda lettura di questa domenica abbia  qualche cosa di straordinario e sconvolgente e lasciamo che parli al nostro cuore.
San Paolo ci indica qual'è  la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di noi. Qual è questa volontà di Dio in Cristo Gesù?
Lo sappiamo: è la nostra salvezza, é la pienezza della vita, é la vittoria del bene e renderci in Cristo suoi figli,figli adottivi ed eredi. Lo abbiamo ascoltato domenica scorsa e nella festa dell'Immacolata, ma la frase che anticipa questa volontà di Dio in Gesù, che è volontà di salvezza per tutti e sempre, fa aggiungere tre osservazioni, quasi tre comandi fondamentalmente e detti con intensità: il primo comando è: "Siate sempre lieti" il secondo è: "Pregate ininterrottamente" e il terzo: "In ogni cosa rendete grazie ".

Mi domando sovente: "Ma è possibile comandare questo?  Una gioia che perdura sempre? Una preghiera ininterrotta? La capacità di vedere su ogni cosa l'occasione per dire "Grazie"? Credo che dal punto di vista umano e dal punto di vista esperienziale di ciascuno di noi non sia così. Senza dubbio, come desiderio, vogliamo essere sempre lieti e siamo anche disponibili, come desiderio e da persone di fede, ad avere la mente in Dio e quindi una preghiera ininterrotta e vorremmo una relazione corretta con la nostra storia, con gli avvenimenti e con le persone,  in modo da trovare motivi di ringraziamento e di gratitudine, ma l'esperienza, i limiti della nostra vita, le incomprensioni e gli avvenimenti della storia ci impediscono di vivere queste realtà in una forma così continua come vorrebbe Paolo e come sarebbe la volontà di Dio in Cristo Gesù per tutti noi. Ma se è impossibile letteralmente, lo può diventare realmente nella vita, ad una condizione, ed è San Paolo stesso che lo ribadisce immediatamente dopo, e la condizione è di non spegnere la voce dello Spirito che è dentro di noi, che ci è stata comunicata attraverso il Battesimo: non spegnere questa sorgente che Dio ci ha inserito nel nostro cuore che è poi il dono della fede, non disprezzare quella voce, che è interiore, della coscienza, che è la voce di Dio e metterci, dice ancora Paolo, a vagliare ogni cosa, a renderci conto di quello che capita, cercando di  setacciare e di conservare ciò che è bene, trascurando e mettendo da parte ciò che è male. I momenti di vera gioia, di preghiera autentica e soprattutto di gratitudine, anche se a volte potrebbero sembrarci pochi, se li vogliamo, se li conserviamo, se li vediamo momento per momento nella nostra vita, allora renderanno tutta la nostra vita una vita di vera gioia, di preghiera ininterrotta e di gratitudine e copriranno tutti gli avvenimenti che vanno in altra direzione. Saremo stati capaci di vagliare e tenere veramente il bene e fare sì che questo bene abbia la meglio su tutto e recuperi le condizioni negative. Diventeremo, in questo modo, capaci e portatori di giustizia, di verità e di pace: è quanto diceva anche il profeta Isaia.
Il testo del profeta Isaia è importantissimo anche perché Gesù nella Sua prima predicazione, quando si presenta ai suoi concittadini a Nazareth, nella Sinagoga e per la prima volta prende ufficialmente la parola, commenta questo testo e lo applica a Se stesso: "Lo Spirito del Signore, lo Spirito di Dio, è su di me, mi ha consacrato con la sua unzione e mi ha mandato a portare questo lieto annuncio, questa gioia che deve rimanere sempre e mi ha mandato a portarla incominciando da chi apparentemente è più lontano dalla situazione di gioia e di sicurezza. Mi ha mandato a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà e,con la scarcerazione, a promulgare l'anno di grazia del Signore ". Quanto sono belle queste parole di Gesù e vere e quanto sono necessarie sempre e quanto le sentiamo necessarie in questo particolare momento della nostra storia e della storia di tutta l'umanità! Abbiamo bisogno di questo Spirito, di questa vita cristiana, che faccia di ognuno di noi, in questa situazione di pandemia, comunque, dei portatori di un annuncio, di un annuncio lieto che è il Vangelo e soprattutto capace di fasciare le piaghe, le piaghe fisiche, ma soprattutto le piaghe dei cuori (e quanti cuori si stanno spezzando!) e capaci di dire quella parola che libera, incominciando dalla mente, dal cuore e dallo spirito di ogni persona. Ecco, a questo il Signore ci abilita e ci rende capaci perché quello Spirito che era su di Lui, quello Spirito che Dio ha messo, fin dalla creazione del mondo, sull'intera creazione, non se ne è andato, non è fuggito da questa terra,  non è lontano, non ci ha abbandonati: è ancora presente, ma tocca a noi riuscire a riconoscerLo e tocca a noi soprattutto sentirLo presente dentro di noi, aprirgli la porta del cuore e della mente perché si sprigioni e porti frutti di gioia, di gratitudine e di quel pensiero costante in Dio e nei fratelli.
Ecco, questi sono i temi della prima parte della liturgia della parola di questa terza domenica di Avvento, che ci indica la nostra vocazione di cristiani come persone che donano al mondo la gioia e la donano con la loro testimonianza di vita completa.

Ma c'è anche il testo del Vangelo, il Vangelo di Giovanni, che ci presenta, come domenica scorsa, però domenica scorsa era l'Evangelista Marco, la figura di Giovanni Battista. Ce lo presenta però in un momento particolare: di domande. Non ci presenta Giovanni che sta battezzando, ma piuttosto un Giovanni che viene interpellato, interpellato dai Sacerdoti, da quelli che allora avevano nelle loro mani la storia di fede e civile del popolo eletto.

I sacerdoti e i leviti lo interrogano, gli buttano addosso una serie continua di domande: "Ma tu chi sei? Sei forse il Cristo?  Sei Elia, che si pensava dovesse tornare? Sei uno dei profeti? E se non sei questo, dici qualche cosa: perché fai questo? Perché battezzi? Giovanni sta alle domande, non fugge lontano da queste domande, risponde e risponde senza fingere. Avrebbe potuto fingere, avrebbe potuto dire: "Sì, sono io il Cristo ". Avrebbe potuto cercare, fra virgolette, il proprio interesse personale e la propria riuscita. Avrebbe ottenuto di sicuro applausi e forse ancora maggiori persone che andavano dietro di Lui. No! Giovanni sta alle domande, non rinuncia a cercare la risposta e non finge nel rispondere.

Ecco, anche per noi deve avvenire qualcosa di  simile. Anche noi dobbiamo imparare ad ascoltare le domande vere ed autentiche che provengono da ogni luogo, quelle che portiamo dentro di noi, alla ricerca del significato della vita e dei nostri comportamenti, quelle che ci vengono dall'esterno, dalla storia. Quante domande questa pandemia e questa situazione mondiale ci portano! Quelle che ci vengono dalla intera situazione creaturale.
Anche noi dobbiamo rispondere a "Chi siamo?" e dobbiamo dircelo con certezza: "Non siamo i creatori, non siamo i padroni, non siamo forti ma siamo pieni di fragilità, scopriamo continuamente le nostre debolezze: siamo creature e abbiamo bisogno di ritornare e di riscoprire Colui che può darci una mano e riportarci alla verità". Ecco, ascoltare le domande che ci sono in noi, attorno a noi e che continuamente ogni giorno ci arrivano ed è importante questo: l'ascolto è il primo elemento della fede.  Se non ascoltiamo le domande vere della vita, ben poco di fede riusciremo a testimoniare! Ma se ascoltiamo e tiriamo fuori queste domande senza paura, senza fingere, con risposte semplici, senza illudere, ecco che il Signore ci accompagnerà a crescere nella fede e soprattutto a diventare Suoi testimoni.  C'è una parola chiave nel Vangelo di questa domenica ed è la parola “testimone" o "testimonianza ": "Venne un uomo mandato da Dio.  Il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone " e poi c'è il verbo "per dare testimonianza alla luce" e poi "Questa è la testimonianza di Giovanni". Se andiamo a vedere il termine che il Vangelo pone, nell'originale greco il verbo testimoniare è il verbo del martirio. Ascoltare le domande senza fingere risposte, ma cercando la risposta vera, ci porta a diventare anche noi testimoni: quella testimonianza vera che ci fa “martiri" di Cristo. Non avremo più bisogno di parole per dire la nostra fede perché la parola si incarna in noi, come si è incarnata in Gesù: "Il Verbo si è fatto carne". La nostra vita diventa automaticamente espressione di questa parola.  Diventa carne della parola. Diventa testimonianza, diventa eloquenza e ci permette di vedere che il volto del nostro fratello e della nostra sorella è il volto di Cristo, ci permette di riconoscere che chi è in difficoltà e in sofferenza è lì il Cristo nella carne, ci permette di sentire che ci possiamo avvicinare, come Cristo, da buoni samaritani e fare la nostra parte. La testimonianza, il martirio è il martirio nella carne in ogni giorno e questa testimonianza, questo martirio, farà di noi dei tanti Giovanni  Battista,  che sanno portare in questo mondo,  in questi giorni, in questa situazione, quella che è la luce di  Cristo che è tenerezza, puro conforto, per portare quella voce che rende la testimonianza di una presenza, di una verità che è ancora una volta il Signore Crocifisso e Risorto e ci renderà in questo  modo capaci di quei tre verbi e di quei tre impegni che San Paolo ci ha detto all'inizio. Ci permetterà di essere veramente lieti in qualsiasi situazione perché la gioia è quella che viene da Lui. Ci permetterà di avere un atteggiamento costante di visione e quindi di preghiera anche quando fisicamente non preghiamo e ci renderà grati in ogni cosa, in ogni incontro, in ogni avvenimento. Ecco, che sia così.  Chiediamo questo dono, il dono di questo martirio di testimonianza che nello spirito  ci permette di essere persone capaci di preghiera ininterrotta, di gioia sempre e di rendimento di grazia in ogni momento e per ogni cosa.
Amen".


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  IL CONVEGNO NEL RICORDO DI PADRE DAMARCO
di Egidio Banti



IL CONVEGNO NEL RICORDO DI PADRE DAMARCO

DIGNITA’ DELLA PERSONA E APERTURA AGLI ALTRI:


Come “Il sentiero” aveva già riferito, si sono concluse a Sarzana le iniziative per ricordare il religioso vincenziano padre Vincenzo Damarco a 45 anni dalla morte, avvenuta il 29 ottobre 1974. Padre Damarco, popolarissimo a Sarzana, dove è stato uno dei sacerdoti più significativi nel periodo del Concilio e del “dopo Concilio”, era molto conosciuto in tutta la Val di Magra e a Carrara. Inoltre, il gruppo degli “Amici di padre Damarco”, composto sia da persone credenti sia non credenti, è coordinato sin dal suo inizio da Paola Gari, ortonovese “di adozione”.

Per questo sabato 31 ottobre si è tenuto un convegno sul tema “Padre Vincenzo Damarco: la dignità della persona e l’apertura agli altri”.
I lavori, per le note restrizioni in atto, si sono svolti a distanza, grazie al collegamento reso possibile da don Franco Martini, attuale responsabile della “Casa della Missione” di Sarzana, e dai suoi collaboratori.
Per tali ragioni riteniamo di dare spazio all’evento, pubblicando sul “Sentiero”, a partire da oggi, la sintesi dei diversi interventi di quel giorno. E’ stata infatti una occasione di rilievo, come forse ce ne sono ancora poche, per riflettere “a tutto campo” sulle prospettive della Chiesa cattolica e più in generale del confronto tra fede religiosa e impegno sociale, di autentica promozione umana.
Come del resto ha sottolineato Giorgio Pagano in un articolo pubblicato dopo l’evento, “è sorprendente la sintonia tra il messaggio di papa Bergoglio e quello che ci ha lasciato cinquant’anni fa padre Vincenzo Damarco”. Occasione dunque importante per riflettere, tanto più nell’ambito delle comunità ecclesiali.
Il convegno di Sarzana ha avuto come promotori il gruppo sarzanese “Amici di padre Damarco” e il circolo ACLI locale, intitolato anch’esso al nome di Damarco.
L’aspetto davvero importante è stata la partecipazione ai lavori di padre Erminio Antonello, visitatore provinciale per l’Italia dei religiosi della congregazione fondata nel ‘600 da San Vincenzo de’ Paoli ed alla quale Damarco apparteneva. Nel 1971, infatti, quando Damarco fu trasferito a Verona per le sue idee considerate troppo “progressiste” (in realtà semplicemente evangeliche e conciliari), a Sarzana ci furono tensioni.
Il 23 maggio 1971 l’inviato speciale del Corriere della sera scriveva un articolo di apertura di pagina su cinque colonne, intitolato “Sarzana rivuole il suo prete”. Damarco accettò con obbedienza il trasferimento, invitando a sospendere ogni manifestazione di protesta. Ma questo non ricucì subito lo “strappo”, compreso quello con il vescovo di allora Giuseppe Stella. Oggi, per tanti motivi, molte cose sono cambiate, ma è stata la prima volta della partecipazione del responsabile italiano dei Vincenziani ad una iniziativa a ricordo del suo confratello di allora.
Per questo iniziamo la serie degli articoli dedicati al convegno proprio con le parti salienti dell’intervento di padre Erminio.
Non senza però aver ricordato gli altri relatori. Gabriella Raschi, spezzina ma presidente nazionale del Volontariato Vincenziano femminile, ha parlato sulla storia, il ruolo e le prospettive del volontariato legato all’opera di Vincenzo de’ Paoli. Sono seguite le relazioni di Gaetano Lettieri, docente di Storia del Cristianesimo all’Università Sapienza di Roma (“La figura e il pensiero di padre Damarco quale emerge dai suoi Commenti ai Vangeli”) e del sacerdote e teologo genovese monsignor Giovanni Cerreti (“La dignità della persona umana dal Concilio Vaticano II a papa Francesco”).
Dopo l’intervento di padre Antonello, chi scrive ha parlato sulla “Presenza dei Vincenziani a Sarzana: 250 anni di storia e di impegno”, mentre don Sandro Lagomarsini, parroco di Cassego che fu amico di padre Damarco e che condivise con lui quei tempi difficili, ha ripercorso una sintesi di quel cammino importante per la storia della Chiesa locale, e non solo. Ci sono stati anche brevi interventi di monsignor Paolo Cabano, responsabile culturale della diocesi, e di don Franco Martini.

Egidio Banti

  L’INTERVENTO DI PADRE ERMINIO ANTONELLO
di Egidio Banti


L’INTERVENTO DI PADRE ERMINIO ANTONELLO:

IL VALORE PROFETICO DI PADRE DAMARCO

 

Padre Erminio ha iniziato il suo intervento su due ricordi personali di Damarco, ma prima ancora esprimendo apprezzamento per una iniziativa – ha detto - dalla quale emerge il cuore che P. Damarco è riuscito a generare in tante persone.
Per un anno io ho seguito le sue lezioni di latino. Io avevo 11 anni, lui 34, ma il divario di età non creava distacco. In quel periodo nella scuola apostolica di Verona, in cui P. Damarco era presente da due o tre  anni, vigeva una fraternità familiare fra Padri e allievi. P. Damarco era un po' come il peperoncino, dava briosità alla convivenza. Il suo modo di insegnare era sobrio ed essenziale, Eravamo davanti ai primi rudimenti di latino, un tema ostico ma ricordo il suo parlare accattivante e astuto nell’alimentare, eppure ci sapeva fare con molta maestria. Ricordo alla fine del II trimestre si presentò in classe con un sacco, letteralmente un sacco, di caramelle; divise la classe in due gruppi e inscenò una gara fra i due gruppi per vedere chi rispondeva correttamente alle sue domande. Era il 1956, il tempo delle prime gare di Lascia o raddoppia, questa ne era una riproduzione in piccolo. Il gioco si protrasse per alcune settimane, funzionò in modo egregio per ripassare tutte le lezioni di latino. In conclusione, il mio ricordo è il suo modo di insegnare, che era simpatico ... Ricordo poi il modo in cui aveva i capelli non stavano mai al posto, ribelli, lui era un po' così: questo suo modo, questa sua figura . Fu uno dei primi fari della mia formazione morale e intellettuale e volentieri sono qua a ricordarlo”.

La seconda fonte di conoscenza di Damarco, ha proseguito padre Erminio, sono i testi dei suoi commentari ai Vangeli: “Anch’io ho letto quel testo, lo recuperai circa 30 anni fa a Verona, perché non era molto in auge nella Congregazione, e lo depositai come testimonianza preziosa nella nostra biblioteca vincenziana di Torino ...  Certo questa fonte scritta è interessante ma è priva di quella testimonianza sensibile di chi ha potuto ascoltare dal vivo la vivacità della sua parola e vivere un rapporto con lui.

L’energia affettiva e la parola in P. Damarco erano coniugate in modo così sintonico da sciogliere ogni forma di banalità espressiva .In ogni caso ripercorrerla a distanza mi ha fatto riscoprire un’eco della sua persona
.

La parola evangelica  che vi risuona è una parola che va direttamente all’esistenza e non indulge mai alla retorica, il suo scrivere è schietto e trasparente, dice quel che vuol dire in maniera diretta e senza involuzioni, si fa capire immediatamente, è questo il segno  della sua intelligenza che sapeva coniugare profondità, essenzialità e semplicità”.
Il pregio maggiore del testo, ha osservato padre Erminio, “è la centratura sulla rivelazione cristologica. Questo è quello che a me è parso più pregnante.

Prima di tutto Gesù raccontato da Damarco è vivo, operante nella coscienza umana capace di dare alla vita cristiana carità verso il prossimo come il centro da cui si può continuare la presenza di Cristo nella storia”.

Proseguendo nella sua analisi dei commenti, la relazione si è soffermata su alcuni brani specifici, per poi proseguire così: “Un secondo elemento che mi ha colpito di questa centratura cristologica è che essa conserva la carica profetica tipica del Gesù dei Vangeli. P. Damarco ridice, interpreta le parole del Vangelo in modo che queste penetrino le coscienze, mettano in discussione atteggiamenti formali di ieri ed oggi. Questo emerge bene nel commento al Vangelo di Marco della domenica 28 gennaio 1962 (Marco I, 21,28): ”.
E proseguendo: <“Nella parabola del giudizio universale Gesù riduce al solo comandamento dell’amore la valutazione morale della vita di ogni individuo”: certo, essere cristiano vuol dire avere la carità. Ma questo messaggio meravigliosamente semplice, ad un esame più approfondito, finisce per essere conturbante: chi può dire di aver praticato o anche solo di saper praticare ora in modo veramente cristiano il servizio di bontà per gli altri? Chi può garantirsi da tutte le infiltrazioni egoistiche pure nello stesso esercizio della carità? Purtroppo dobbiamo ammettere che viviamo ancora nel tempo precopernicano del mondo morale: onestamente diciamoci pure che al centro siamo sempre noi, e non ancora Dio.>E’ qui, dice padre Erminio, che ci soccorre la fede: <Credere è ammettere che proprio nel comandamento fondamentale siamo in deficit, che abbiamo bisogno che Dio completi la nostra insufficienza. Attraverso la fede noi rompiamo il tragico cerchio della nostra autosufficienza e possiamo uscire dal nostro egoismo. L’insegnamento di Cristo, a differenza di quello impartito dagli scribi, non aveva lo scopo di interpretare in modo sempre più acuto la legge per fare di noi degli osservanti; ma quello di individuare la radice del nostro egoismo e la grande azione sanatrice di Dio, in modo che noi stessi possiamo collaborare con lui alla cristianizzazione della nostra vita, cioè alla graduale osservanza del precetto della carità. I dogmi e la morale, intesi come fine a se stessi, e non in funzione di questa maturazione, sono da considerarsi alienanti ed estranei al cristianesimo. Ecco la carica profetica direi molto profonda a partire da questa centratura cristologica che mi pare elemento portante di questi commenti al Vangelo>.
Alla fine – ha detto il relatore - mi permetto un breve  accenno critico, senza il quale farei solo retorica e questo per Damarco, se mi ascoltasse, suonerebbe come un imperdonabile sgarbo verso di lui, per lui  per il quale la critica e  il dibattito, erano  sale di un discorso sensato.
Al tempo in cui Damarco scriveva eravamo poco dopo il Concilio e non era stato ancora metabolizzato il significato mistico della chiesa nel suo rapporto con la storia. C’erano correnti del tempo che tendevano a ridurre ad una dimensione eminentemente sociologica e solo immanente la Chiesa. Mi è parso che in alcune parti del suo commentario P. Damarco abbia ceduto in modo monocorde a questi autori, quasi identificando la Chiesa nella sua storia, fatta di uomini, e non la Chiesa nella sua trascendenza. Ma alla Chiesa della storia mancherà sempre la coerenza esaustiva del Vangelo: il Vangelo nella sua inarrivabilità è pungolo costante alla storia, per questo è capace nella Chiesa umana che lo contiene. Forse è proprio questo che certe formule di P. Damarco volevano dire>.Ed ecco le conclusioni: <Nel contrasto fra antico e nuovo, padre Damarco ha dovuto districarsi e lo ha fatto nella direzione di riscoprire il Vangelo. E circa le incomprensioni di allora verso il suo operato, desidero citare le parole di una sua sorella camilliana, suor Benigna, in una lettera scritta al suo superiore e che si trova nell’archivio di Torino: “Negli anni in cui P. Damarco era a Sarzana mi disse ‘Nel passato i fedeli andavano in chiesa per cercare il sacerdote e per essere da lui aiutati, al giorno d’oggi i fedeli non vanno più in chiesa e per questo  il sacerdote deve uscire e mettersi in mezzo al popolo, solo così potrà evangelizzarlo’. Lui ha fatto così ed ha pagato di persona. Se in qualcosa ha sbagliato, lo ha fatto in buona fede e le sofferenze fisiche e morali sono state una riparazione. Sono anche certa che chi ha preso provvedimenti drastici nei suoi riguardi l’ha fatto in buona fede perciò non ho risentimenti, né escludo nessuno dalla mia carità fraterna”. Così scriveva suor Benigna l’8 novembre 1974, pochi giorni dopo la morte di Damarco. A questo pensiero mi attengo anch’io e continuo a portare nel mio cuore la riconoscenza verso di lui>.

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