N° 10 - Dicembre 2019
Spiritualità
  L'ABBRACCIO DEL PADRE
di Roberto


L'ABBRACCIO DEL PADRE

“Rimetti a noi i nostri debiti”

Dopo la domanda del pane, del pane di ogni giorno, del pane materiale, ma anche spirituale, di che cosa ha bisogno l'uomo?

L'invocazione che segue, nella preghiera, è una domanda di perdono: dopo il pane, il perdono. L'invocazione di perdono è espressa da Matteo e Luca con qualche diversità di linguaggio.

Dobbiamo essere convinti che il perdono è fondamentale per la vita dell'uomo e dell'umanità; senza perdono non c'è crescita né personale, né sociale, né comunitaria. E non perdoneremo mai gli altri, se prima non avremo noi sentito il bisogno del perdono per noi:

- chi si ritiene senza debiti, che sono i nostri limiti;

- senza peccati, che sono le nostre fragilità e debolezze;

- inganna se stesso, non è nella verità, e non conosce la verità dell'altro;

- è un illuso, quando addirittura non è un orgoglioso, un presuntuoso;

- chi pensa di non avere bisogno di perdono, chi non è disposto a perdonare.

Gesù ci ricorda cosa deve essere il perdono: la Misericordia.

Il perdono è un bene essenziale, intrinseco al cristianesimo; anzi è un bene senza il quale la vita umana non è pensabile. Potremmo infatti avere tutte le ricchezze del mondo, ma se mancano la pace, l'armonia in famiglia, la fiducia tra gli amici, se ci sono offesi ed offensori che si guardano con diffidenza e odio, allora la ricchezza non produce altro che aridità e solitudine.

Allora dicevamo che ci sono un paio di sfumature diverse in Matteo rispetto a Luca.

- Matteo parla di “debiti”, usando un linguaggio più semitico e metaforico, che però ci ricorda come l'uomo è per essenza debitore davanti a Dio e davanti agli altri. Noi riteniamo che tutto ci sia dovuto, mentre tutto è ricevuto, è inizialmente dono.

- Luca sostituisce la parola debito con “peccato” e ci fa dire invece di “rimetti a noi i nostri debiti”, “perdona i nostri peccati”.

Peccato di per se significa errore, sbaglio, che completa la visione di Matteo.

Luca ci vuol dire che il nostro debito nasce da un'offesa.

      Il peccato è il rifiuto del dono, non semplicemente l'insolvenza di un debito.

      Vuol dire non solo riconoscere semplicemente i propri limiti o i propri sbagli, ma avere la percezione chiara che le nostre colpe sono azioni che offendono Dio, non soltanto gli altri o noi stessi.

      Vuol dire andare alla radice della propria vita e prendere coscienza che dietro le proprie trasgressioni c'è un'errata concezione di Dio; la concezione di un Dio padrone, la cui presenza limita la libertà dell'uomo e la paura che, obbedendo al Signore, l'uomo perda la propria consistenza.

Chi recita il Padre Nostro e chiede “rimetti a noi i nostri debiti”, è consapevole di essere impotente di fronte alla forza del peccato.

Non basta che Dio condoni i debiti: l'uomo ne rifarebbe subito di nuovi. Occorre che la potenza di Dio rinnovi radicalmente l'uomo. Non basta il condono, occorre una traformazione, secondo la preghiera: “Crea in me, o Dio, un cuore nuovo, rinnova in me uno spirito fermo” (Salmo 50,12).

Pregando “rimetti a noi i nostri debiti”, il cristiano si appella alla potenza di Dio, non soltanto alla sua bontà. Chiedere il perdono dei peccati significa allora:

      riconoscere la propria impotenza,

      proclamare la propria fiducia nella Misericordia del Padre,

       affidarsi alla sua potenza che rinnova.

Un'ultima riflessione sul fatto che c'è un rapporto stretto e decisivo tra il nostro perdono e quello che noi dobbiamo dare al prossimo.

“Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori”, dice la versione di Matteo e quella di Luca: “Perché noi possiamo perdonare a ogni nostro debitore”.

Non ci sono dubbi: il perdono ai fratelli è la verifica del perdono di Dio, è la realizzazione della sua Misericordia.

Attenzione: il perdono al fratello non è la condizione perché Dio, a sua volta, ci perdoni. Dio ci ha già perdonato. E', però, la prova che il perdono di Dio lo abbiamo veramente ricevuto, accolto, e che veramente ci ha traformati.

E per concludere voglio ricordare che il perdono non è mai debolezza, ma forza. E' l'unica forza che spezza il cerchio perverso della violenza. Portiamo la nostra umanità ferita al Padre di ogni bontà, per sperimentare nella fede che la grazia è più forte del peccato, l'amore è più grande del nostro egoismo, e che il perdono è possibile per quanti lo sanno accogliere e donare.

 


Prossimamente mediteremo il passo: “ e non lasciarci soccombere nella tentazione”

  "I passi del mio vagare tu li hai contati. Le mie lacrime nell'otre tuo raccogli; non sono forse scritte nel tuo libro?"
di Don Carlo



"I passi del mio vagare tu li hai contati. Le mie lacrime nell'otre tuo raccogli; non sono forse scritte nel tuo libro?"
La nostra esistenza è legata profondamente alla Rivelazione di Dio, operata da Gesù di Nazareth. Il senso del nostro esistere è ricercare sempre la verità e desiderare il dono inestimabile della Sapienza. La vita stessa ci chiama ad ascoltare il grido di speranza che sale dalle profondità del nostro essere, la vita che cerca di emergere, di farsi strada anche attraverso gli ostacoli costruiti con il procedere degli anni e le nostre esperienze negative, che ancora vorremmo soffocare e dimenticare. Riflettiamo e mettiamoci in dialogo e se occorre anche in discussione per essere liberi di ricostruire il meglio di noi stessi. Il mistero della Rivelazione è la scoperta che quel Dio misterioso e invisibile, ha voluto essere Padre in Cristo Gesù, Padre di tutti noi.
Ha assunto la nostra natura umana per liberarci da quelle schiavitù che tengono ancorate le nostre vite all'indifferenza e all'appiattimento. Noi siamo creature libere, trasformate dall'amore di Cristo, chiamate a testimoniare con le parole e con le opere la bellezza e il fascino del nostro vivere. Anche la sua Parola ci invita a percorrere il sentiero del silenzio: " attività profonda dell'amore che ascolta" (Paolo VI) in questo vivere così frettoloso e misterioso che ci ripaga con mille paure e incertezze." Fermatevi", ci dice il Profeta uomo di Dio, "nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri del passato, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le vostre anime". È la stessa vita che ci chiede chiarimenti sul nostro essere, di ripercorrere le tracce del nostro cammino, confidando nell'annuncio di speranza che si irradia dall'unico e irripetibile sacrificio del Cristo Crocifisso.
Con la consapevolezza che Dio è fedele alla parola data, e la certezza che renderà giustizia ad ogni uomo calpestato, abbandonato e crocifisso.
Invitandoci a cantare con il cuore e la mente la preghiera del Salmo 56 (55) che infonde in noi la gioia di essere considerati almeno per una volta Figli: "
I passi del mio vagare tu li hai contati, le mie lacrime nell'otre tuo raccogli; non sono forse scritte nel tuo libro?". Mentre rileggevo queste riflessioni, lo sguardo si è rivolto ad un articolo di Gianfranco Ravasi che riportava uno scritto di Paul Valéry " Se un angelo o un ipotetico extraterrestre si mettesse ad osservare il nostro comportamento, rimarrebbe per lo meno stupito e sconcertato. Ci sono tra di noi Santi e criminali, guerre che uccidono e ospedali che curano i feriti, si odia e si ama, queste contraddizioni spesso albergano nella stessa persona. La nostra storia sembra da un lato, un filo d'oro di splendori e di eroismi e dall'altro lato, un filo rosso di sangue e di vergogna. Goethe nel Faust definiva l’uomo, un microcosmo di pazzia.
Eppure tutti potremmo brillare in noi quell' " immagine di Dio " che è sepolta sotto strati di crudeltà, stupidità e follia. È questo l'appello che ogni domenica ci viene rivolto dal Vangelo che ascoltiamo che sta a noi far diventare guida per l'esistenza.

       don Carlo

 

  Dal Santuario
di P. Domingo Daniel Patix Gomez, fmm.


 Cominciamo un nuovo tempo liturgico e un nuovo anno. Avvento parola deriva dal latino e significa “Venuta”. Il tempo dell’Avvento ha duplice carattere: è tempo di preparazione alla solennità del Natale, che commemora la prima venuta del Figlio di Dio tra gli uomini; ed è anche tempo in cui, mediante questo ricordo, l'animo deve orientarsi verso l'attesa della seconda venuta di Cristo, alla fine di tempi.
Per questi due motivi, il tempo di Avvento è tempo di fedele e gioiosa ripresa spirituale, “nell'attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro Salvatore Gesù Cristo. Esso però non è solo “preparazione”: è anche celebrazione delle due “Venute”.
L'Avvento è un periodo di quattro settimane dedicate a preparare una degna accoglienza interiore alla “prima venuta di Gesù che si celebra nel Natale, quando Gesù è nato come noi nella povertà del presepio; e alla “seconda venuta” alla fine dei tempi, quando Gesù si manifesterà come giudice glorioso della storia e dell'umanità.
Questo tempo ci aiuta a preparaci per vivere un Natale diverso, dove possiamo ringraziare Dio Padre che ci ha dato Gesù il nostro salvatore che ci ha mostrato il cammino, anzi lui è il cammino, la verità e la vita. In questa preparazione ricordiamo l’importanza della famiglia: Dio sceglie una coppia per farla  diventare la sua sacra famiglia.
Chiediamo alla nostra Madre Maria santissima di aiutarci ad avere l'atteggiamento migliore per accogliere suo Figlio.
Vi auguro un buon cammino di Avvento in preparazione del Natale di Gesù, un buon fine anno civile e tante cose belle per le vostre famiglie e buone feste.

Vi saluto nel nome di Gesù.


  MIGRANTI
di Don Domenico Lavaggi(prete e vostro conterraneo)


  

Quando Giuseppe tornò con l’acqua nella grotta, Maria con un pannolino inumidito pulì il bambino, lo asciugò e lo avvolse in un sottile panno di lana.
Nel frattempo Giuseppe stese qualche manciata di paglia nella mangiatoia per renderla calda e morbida. Subito dopo giunsero alcuni pastori che stavano sulla collina di guardia al gregge : si inchinarono al Bambino dimostrando gratitudine e devozione, poi dissero a Maria e Giuseppe : “ stavamo di guardia al gregge quando siamo rimasti colpiti da un raggio luminoso e da una voce che diceva – “ vi annuncio una gioia grande, oggi, nella città di Davide (Betlemme), è nato per voi e per tutte le genti della terra il Messia, Signore e Salvatore, promesso da Dio e predetto dai profeti” -  siamo dunque venuti per vedere e ringraziare”. Poi, mentre alcuni tornavano sulla collina, uno di loro si rivolse a Maria e Giuseppe dicendo: “la mia casa è disponibile”, offrendogli così ospitalità comoda e dignitosa. Maria e Giuseppe accettarono l’invito e si trasferirono tutti e tre nella casa del pastore, dove Maria diede la prima poppata al bambino. Appena il bambino finì di succhiare il latte, entrarono nella casa tre personaggi venuti da terre lontane; erano scienziati che studiavano la natura ed il movimento delle stelle e quando videro una stella muoversi e brillare più delle altre, la seguirono. Prima la videro sostare sul cielo di Gerusalemme e si fermarono entrando nella reggia di Erode chiedendo: “abbiamo seguito una stella che annunciava la nascita di un giovane re, dov’è?” Erode chiese al rabbino presente: “cosa dicono i testi sacri?” E il rabbino rispose: “…e tu Betlemme non sei la più piccola tra le città di Giuda (dal libro del profeta Michea), perché da te nascerà un re che guiderà tutte le genti della terra”. Noi siamo stati educati a chiamare questi personaggi “magi”, ma il termine esatto è “maghi”, in quanto anticamente lo scienziato era considerato mago. Questo significa perciò che la scienza umana ed il mondo pagano si inchinano a Gesù. Si prostrarono quindi al bambino, deponendo ai suoi piedi tre cofanetti con oro, incenso e mirra.
Oro perché riconobbero nel bambino la sovranità regale, incenso perché riconobbero in Lui la maestà divina e mirra perché riconobbero in Lui l’umanità mortale. Gli scienziati non tornarono da Erode, ma ritornarono alle loro terre, ognuno per una via diversa. Quando venne il tempo prescritto dalla Legge, Maria e Giuseppe presentarono Gesù al Tempio poi, una voce misteriosa parlò a Giuseppe dicendogli: “prendi con te il bambino e la madre e va in Egitto perché Erode ha deciso di uccidere il bimbo!” Così Gesù, com’era accaduto alla discendenza di Abramo, migrò in Egitto. Tutta la natura è voce misteriosa di Dio: bisogna ascoltarla! Quindi, quando ti affacci alla finestra e vedi una pianta di fico, ricorda che anch’essa è la voce di Dio. Caro Lettore, ti devo una precisazione: Gesù è stato concepito dallo Spirito Santo, che è l’amore di Dio, nel grembo di una donna (Maria) e la natura divina di Gesù è opera di Dio, ma possiede pure la natura umana datagli da Maria che ne ha plasmato la carne nel suo grembo. Quando guardi il crocifisso devi pensare che sulla croce è morta la natura umana di Gesù e quando ricordi la Pasqua devi pensare che Gesù è risorto in virtù della sua natura divina e, dopo essere risorto, si è presentato a Maria di Magdala ed agli Apostoli come lo avevano visto prima di morire: UOMO.


  FEDE, DESIDERIO E FIDUCIA
di Don Domenico Lavaggi(prete e vostro conterraneo)


Nei suoi viaggi apostolici Gesù un giorno arrivò a Gerico, città di confine e centro per gli scambi commerciali tra Israele ed i popoli vicini. A Gerico viveva un uomo di nome Zacheo, capo di tutti i pubblicani della Galilea.
I pubblicani erano gli incaricati di raccogliere le tasse da versare, all’erario di Roma, dagli artigiani, commercianti, contadini, pastori e pescatori. Roma aveva concesso loro di chiedere una tangente che regolarmente intascavano.
Di questa tangente ognuno ne dava una parte a Zacheo, il capo, che quindi si arricchiva. Zacheo aveva sentito parlare di Gesù e desiderava conoscerlo; egli era piccolo di statura e così, quando Gesù arrivò in città, circondato da una gran folla, gli fu impossibile vederlo. Salì quindi su di un albero per poterlo vedere almeno dall’alto, scatenando l’ilarità dei presenti; ma Gesù, giunto ai piedi dell’albero, alzò gli occhi, lo vide e gli disse: “Zacheo, scendi presto dall’albero perché voglio sedermi alla tua tavola e mangiare con te”. Queste parole scatenarono l’ira della folla in quanto Zacheo era considerato un nemico di Israele al servizio dei romani. Ma Zacheo, commosso per l’attenzione ricevuta da Gesù, gli disse: “mi sono appropriato del denaro di molta gente, ma da questo momento restituisco il quadruplo di quanto ho preso loro”. Gesù lo lodò. Uscì quindi dalla casa e la folla, rimasta fuori, lo accompagnò all’uscita della città, dove sedeva un cieco che, sentendo rumoreggiare la folla, ebbe paura di essere travolto, così, quando un uomo si avvicinò a lui per dargli un obolo, chiese che cosa stesse accadendo e l’uomo rispose: “È Gesù che passa”. Il cieco, sentendo il nome di Gesù, cominciò a dire a voce alta “abbi pietà di me, Signore”, ma l’uomo gli disse di tacere che Gesù non poteva ascoltarlo; il cieco, però, continuò a gridare: “pietà di me, Gesù”, il quale udì, si avvicinò e gli chiese: “che cosa vuoi da me?” Rispose il cieco: “Fa che io veda”.

Caro Lettore, quando sei in difficoltà, perché la vita ne è ricca, fa come quel cieco e chiedi a Gesù “che io possa vedere”.                                                            


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