N° 11 - Dicembre 2017
Storie dei lettori

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  Pellegrinaggio e non solo.
di Anna Maria, Elvira, Giuliana



Il 28 ottobre u.s. un gruppo di 39 pellegrini provenienti da diverse località della Val di Magra e non solo (Ortonovo, Sarzana, S. Stefano, Ceparana, S.Terenzo), guidati da Don Romano Rossi, è partito per un pellegrinaggio di tre giorni in Baviera.
Meta principale è stata la città di Augusta, dove nella chiesa di St. Peter AM Perlach è venerata l’effige della Madonna che scioglie i nodi, tanto cara a Papa Francesco.
Come il sacerdote Bergoglio fu colpito dal ruolo di Mediatrice della Madre di Gesù, anche noi l’abbiamo sentita presente nella nostra comune preghiera, affidandole i nostri affanni, le sofferenze e la nostra umana fragilità.      
Con l’occasione abbiamo avuto modo di visitare i castelli di Linderhof e di Neuschwastein, voluti dal re di Baviera, Ludwig II.    
Del primo, quello di Linderhof, in stile rococò con ricche decorazioni in oro, argento e porcellane raffinate è degno di segnalazione il parco abbellito da statue e fontane, che, però, abbiamo potuto vedere solo con gli occhi della fantasia perché erano coperte per la protezione invernale.   
Il secondo, quello di Neuschwastein, detto delle Fate, attraverso una scala a chiocciola di ben 360 gradini, si raggiunge la sala del trono dove manca proprio il seggio regale perché il re Ludwig morì a solo 41 anni nel 1886 in circostanze misteriose e quindi l’opera non ha potuto essere completata.   
Si ricordano la camera da letto, dove predomina il blu, suo colore preferito, con annessa cappella e la imponente sala dei cantori nella quale si segnalano, perché particolari, i maestosi lampadari che richiamano nella forma la corona dei sovrani bizantini.  
In tutto il castello non solo aleggia lo sfarzo che richiama lo stile del Re Sole, ma anche la potenza dell’opera wagneriana.      
Ad Augusta, la Augusta Vindelicorum fondata nel 15 A.C. da Augusto, abbiamo visitato la Fuggerei, una città nella città.   E’ il complesso di case popolari più antico al mondo, voluto dalla potente famiglia dei banchieri Fugger, per i cittadini di Augusta indigenti, purchè cattolici, ed ancora oggi finalizzata a tale scopo.       
Nella cattedrale, ricca di opere d’arte sacra, si segnala la presenza, alquanto inconsueta, di due altari maggiori, che si fronteggiano, ai lati opposti dell’edificio.  
E’ adornata da preziosissime vetrate, fra le più antiche della Germania.
A Wies abbiamo sostato in preghiera davanti all’effige del Cristo flagellato. 
L’edificio è patrimonio dell’Unesco, capolavoro assoluto del rococò bavarese.
In tutto il viaggio abbiamo potuto godere dello splendore del paesaggio: i monti già innevati e i prati con le mucche al pascolo.   
Della terra tedesca abbiamo sperimentato il freddo pungente e il cibo, così diverso dal nostro!     
Ringraziamo Don Romano Rossi e la signora Nuccia per la loro costante presenza.
Questo pellegrinaggio è stato una esperienza positiva: ha arricchito con la bellezza del paesaggio tutt’uno con la preghiera, non solo ciascuno di noi, ma ha aiutato ad accrescere la condivisione dei propri sentimenti e delle proprie esigenze.   Tra i partecipanti si è creata una tale armonia che terminiamo con un “Arrivederci alla prossima avventura”.                   

  LA CACCIA DI IERI E DI OGGI
di Millene Lazzoni Puglia



Questo clima più fresco di fine estate e inizio autunno risveglia in me tanti ricordi di tempi ormai lontani. Non ultimo quello dell’apertura della caccia che caratterizza questa stagione. Specialmente nel passato il “fermento” dei cacciatori si avvertiva nell’aria con i frenetici preparativi che non finivano mai; infine si dava il “via” ad alzatacce all’alba, agli spari spesso frenetici e ripetuti che rompevano la quiete dei boschi e che incutevano terrore nei piccoli animali che li si trovavano. Io non sono stata testimone della preparazione dei cani che accompagnavano nelle battute molti cacciatori, ma so che non erano meno entusiasti dei loro padroni!  Ho più volte assistito ad un momento essenziale, anche se meno visibile; l’allestimento di una battuta di caccia; la preparazione delle cartucce, con tanto di pallini di piombo e polvere da sparo, acquistati dall’armaiolo e sapientemente dosati con tanto di “bilancina.” Questo era un rito che anticipava di un po’ l’apertura della caccia e si svolgeva prevalentemente di sera, con spesso presente qualche familiare da spettatore, se non da collaboratore. Silvano aveva la caccia nel suo D.N.A.
Era diventato cacciatore quando comprò il suo primo fucile, una “doppietta”, negli anni sessanta, ma non fu l’unico. Quella passione era cresciuta in lui fino a farlo diventare un vero “maestro”, non soltanto nel saper caricare le cartucce, ma anche nel muoversi nei boschi, da vero conoscitore della fauna e della flora. Quest’ultima non era meno importante per lui ad iniziare dai fiori come i ciclamini selvatici, tipici del bosco in autunno. Me li portava con il loro bulbo unito ai piccoli fiorellini rosa che ancora oggi sono presenti nel giardino intorno alla casa e mi ricordano quel tempo irripetibile. Era per lui motivo di orgoglio la profonda conoscenza di ogni futura o probabile preda, riconoscendone il canto, il volo e le abitudini dei volatili sia stanziali che migratori…. e li amava tutti, sebbene ciò sia una  pura contraddizione. Così amava le piante e tutto ciò che fa parte del bosco e della natura in generale: la raccolta delle castagne e la ricerca dei funghi erano per lui motivo di grande soddisfazione. I cacciatori degli ultimi decenni del novecento sono stati condizionati dalla realtà culturale del passato, quando per un uomo era scontato avere in casa un fucile da caccia, poiché, di solito, lo aveva anche il padre, il nonno ed era utilizzato per l’approvvigionamento di carne alla famiglia. La donna si occupava della “trasformazione,” cucinando, oltre alla selvaggina, anche i prodotti dei campi e del bosco: il che fa la differenza con lo stile alimentare del nostro tempo. Tutto ciò era possibile per l’abbondanza di selvaggina e nessuno si poneva il problema se era giusto o meno togliere la vita ad un animale libero. Per fortuna da un bel po’ di tempo (per Silvano dagli anni ’90) abbiamo capito, dico “capito,” come anche noi compagne dei cacciatori fossimo un po’ “complici”, non solo perché cucinavamo la selvaggina, ma anche per il fatto che, quando “la fortuna non assisteva la povera preda” e finiva nel carniere, anche noi esultavamo, condividendo la loro “esaltazione.”  Col tempo la caccia è cambiata, ce lo dicono gli spari al mattino presto che in questa fase di apertura sono rarissimi, quasi inesistenti.
Oggi i cacciatori sono rimasti in pochi, così come la selvaggina fuori dalle riserve.

Che ci sia stata una presa di coscienza da parte dell’uomo, “animale pensante,” sul fatto che ogni giorno si estingue più di una specie vivente sul nostro pianeta terra? E che dovremo tutti impegnarci per invertire l’attuale tendenza in modo che l’estinzione non arrivi anche per noi esseri umani?


  Alcuni ricordi di quando ero bambino
di Maurizio Aramini



Ogni tanto la memoria mi fa rivivere alcuni episodi della mia infanzia che sono rimasti scolpiti nel mio cuore e che spesso rivivo con una certa nostalgia e malinconia.
Come non ricordare quella volta che ero al lavatoio, dove gli Spagnoli avevano piantato la sequoia? Ebbene il lavatoio era pieno d'acqua ed ho intravisto, riconoscendo il grembiule, mio fratello che sguazzava nell’acqua. Mi sono quindi rivolto ad una signora che era presente, per avere conferma e poi mi sono messo a correre per andare a recuperarlo. Una volta afferrato, io e
quella signora abbiamo provveduto a riaccompagnarlo a casa e sapete qual è stata la ricompensa?  Mi sono preso una buona dose di botte, perché avrei dovuto accudire meglio mio fratello. I miei genitori erano fenomenali!
Un'altra volta, era domenica ed ero in piazza. Lì era parcheggiato un autobus di Lorenzini, mentre l'autista ed il bigliettaio erano al bar in attesa delle ore quattordici per partire.

Siccome le portiere dell'autobus erano aperte, alcuni ragazzi si divertivano a salire e scendere di corsa con il rischio di farsi male. Io allora dissi loro di non farlo, poiché era pericoloso e mio padre, presente alla scena, come ricompensa mi colpì con delle pedate.

A quel punto intervenne il bigliettaio in mia difesa. Dopo un certo tempo rividi il bigliettaio, che nel frattempo aveva cambiato attività e mi consolò, affermando che allora i padri, più che padri, volevano essere autoritari e un pò padroni.

Come non ricordare quest'altro fatto che ho presente come se fosse capitato ieri. Ero a pascolare le pecore in compagnia di un signore che aveva sempre in testa un cappello. Ebbi la brillante ispirazione di  prendergli il cappello e di metterlo sulla testa di una pecora che aveva delle lunghe corna. Le altre pecore, allora, si presero paura e incominciarono a fuggire, mentre quella con il cappello le rincorreva finché, meno male, il cappello volò via. Tutto sommato andò bene così, altrimenti chissà dove sarebbero finite le altre pecore!

Un altro ricordo: una mattina ero ad assistere le pecore che pascolavano in "Picione". Ero tutto solo e bisognava che facessi anche un fascio di legna, magari piccolo, perché ero ancora un bimbo. Si presentò una signora che conoscevo bene la quale, con tono severo, mi apostrofò: "Ti ci ho trovato è? Questo è  un mio terreno.
Adesso la legna che hai tagliato portala a casa, ma qui non ci venire più”. Sapete come è finita? La legna me l'ha fatta portare a casa e poi lei è venuta a riprendersela. Vi lascio immaginare come ci sono rimasto! Meno male che oggi queste cose non succedono più! Fra l'altro quella signora era proprietaria di molti terreni della zona e quindi mi sono sempre chiesto: "Che bisogno aveva di un fascio di legna che un povero ragazzino si era procurato con tanta fatica?"


  In ricordo di Don Cappellini
di C. M.



 

10 novembre 2010

Come si dice e sicuramente è così, il tempo cura tutte le ferite, però non fa svanire i ricordi.
In quella data il caro don Capellini ci ha lasciato per raggiungere la casa del Padre.
Non entro nel nostro cuore per dire quello che lui ha rappresentato per ognuno di noi. Ma quando, in quegli ultimi mesi andavo a trovarlo era sempre circondato da alcuni suoi parrocchiani che lo sorreggevano sia sul piano fisico che quello spirituale.
Quelle testimonianze mi hanno trasmesso il suo dono: “di amarci l’un l’altro come Lui ha amato noi”.
“Caro Don, è stato un parroco con la “P” maiuscola, sempre presente nella sua chiesa e nei giardini che lei ha sempre curato.
Sua sorella ringrazia quei parrocchiani che continuano a starle vicino portando i fiori che lei tanto amava sulla sua tomba.
Con queste poche righe voglio farle sapere (ma lei lo saprà sicuramente) che lei è sempre presente nella nostra vita.”

                                                                                     Ciao don Cappellini

                                                                                             

  Un ricordo sempre vivo
di G.F.



Non so perché dopo trentotto anni dalla sua improvvisa scomparsa, avvenuta l’8/11/1989 nel Cottolengo di Genova dove svolgeva l’attività di economo dei loro dieci istituti, ho pensato di dover scrivere qualcosa di lui.
Parlo di un sacerdote Orionino, sconosciuto a tanti perché ha svolto la sua missione lontano e silenziosamente. Chi lo conosceva sa che lui non amava essere elogiato, non amava fare celebrazioni solenni, desiderava solamente vivere il Vangelo; scriveva nei suoi ultimi appunti del 22/08/79:
“Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi e per molti. Momento tremendo. Il mio sacerdozio si deve realizzare in queste parole, altrimenti c’è il fallimento. Il posto, la riuscita, il successo non contano.
O Signore fa che la mia vita sia offerta, consacrata a Te nel servizio dei fratelli specialmente più poveri e bisognosi nei quali sei presente Tu; fa che il mio servizio per gli altri sia l’altare dove continua a svolgersi la liturgia eucaristica; fa che anch’io sia mangiato da chi si trova nel bisogno; fa che anch’io sia sacramento della Tua presenza in mezzo agli uomini”.
Non mancava mai l’otto settembre; lo ricordo quei pochi giorni attraversare il paese con il suo breviario in mano, si recava al Santuario per recitare lodi fermandosi a conversare con i vecchi che incontrava.
Ecco chi era don Pietro Andreani, da tutti chiamati don Piero, un parroco che silenziosamente nella sua vita ha svolto un inno alla carità.


  Una lettera da Gesù Bambino!
di Romano Parodi



Cari umani… Ho ascoltato milioni di vostre richieste, ho letto milioni di vostre lettere. Sono deluso! Solo i bambini custodiscono nel loro cuore il sogno di Dio. Per una volta, voglio essere io a dirvi qualcosa, a esprimere desideri, a formulare precise richieste, a ricordarvi qual è il sogno di Dio.
Dio sogna un’economia di eguaglianza dove i beni di questo mondo sono per tutti. Dio non è il Dio del sistema ma il Dio delle vittime di ogni sistema.
Pochi di voi, a quanto mi risulta, e credo di essere ben informato, si sono preoccupati di sapere quali sono i miei progetti; pochi si sono preoccupati di sapere quale speranza ho nutrito e nutro facendomi uomo, venendo ad abitare in mezzo a voi; pochi si sono preoccupati di sapere se il mio "sogno" è realizzabile; sì confessatelo; piuttosto avete pensato che sono sogni, che sono "cose" campate in aria... lo sono nato per portare la salvezza, sono nato per portare la speranza, sono nato in povertà. E voi la salvezza, la speranza, la povertà le avete "trasformate" in una faccenda dove io sono stato messo da parte; sono stato messo in opulenze dove io non c'entro niente, non è lì che sono nato. Io voglio realizzare il sogno di Dio, portare la speranza, la salvezza, e lottare contro la povertà. Non è attraverso l'uso del mio nome che si realizza il "sogno" del Padre mio, io non centro niente con i bei regali. Io sono nato e nasco nelle favelas, non nelle case di coloro che hanno un solo dio: il conto in banca e i privilegi acquisiti. Non sono venuto sulla terra come occasione per la vostra vanità, superficialità, gusto del chiasso; o, soprattutto, visto che si avvicina il Natale, perché vi possiate "abbuffare", oppure perché vi sentite, almeno una volta l'anno, buoni e generosi: non era proprio il caso che mi scomodassi per così poco, non vi pare?...Sia ben chiaro: o mi accettate come Protagonista e quindi subordinate tutto il resto al mio "sogno", che è una società al servizio degli ultimi, vi rammento che di questi è il regno dei cieli, oppure vi diffido formalmente dall'usare ancora il mio nome.
Sulla terra ci sono venuto e ci vengo; voglio camminare con voi, condividere pene e gioie, portare pesi, successi e fallimenti. Ieri sono stato in una baraccopoli, sono stato al capezzale di una ragazzina morente di AIDS e ho visto il volto del padre mio. Quindi d'ora innanzi sapete a quali condizioni potete contare su di me. Comunque statene certi: per il "sogno di Dio", vero e autentico, per un "sogno" di porte e cuori spalancati, per un "sogno" di pace, per un "sogno" che frantumi le barriere, per un "sogno" di gioia desiderato e costruito da tutti gli uomini di buona volontà, per un "sogno" di perdono, per un "sogno" di salvezza, per un "sogno" di speranza, il Vostro Gesù Bambino è sempre disponibile. .

  LA SOLITUDINE
di Marta


 

Mi ha molto colpito il suo volto triste e la voce fievole: se ne stava in disparte, come se avesse il timore di disturbare. Nel negozio la stavano servendo, quando fu pronta il gestore si offrì di accompagnarla a casa e lei, mentre aspettava la gentilezza dell’uomo, che nel frattempo serviva un’altra persona, si rivolse a me in attesa del mio turno. In poco tempo mi racconta come aveva vissuto il Natale scorso. “Lo sa…signora? Quest’anno sarà anche peggio: mi trovo ancora più vecchia e sola. La mia vita non è stata sempre così!  Ai bei tempi, quando ancora le forze non avevano abbandonato il mio corpo, con il mio caro marito avevamo tante persone a tavola. Noi, purtroppo, non abbiamo avuto la felicità di avere figli nostri, ma abbiamo una nutrita schiera di nipoti e pronipoti. Come erano belle quelle feste!  Incominciavo una settimana prima di Natale e tutte le feste a seguire a preparare i pranzi: tordelli, da sugo e da brodo, il pane al forno quello casareccio, gli arrosti di tacchino, di maiale e di altri carni, i sedani ripieni, come vuole la nostra tradizione ortonovese. Non mancavano tutte le verdure con il classico pinzimonio e, poi, la frutta fresca e secca e, dulcis in fundo, un bel ponce al mandarino.
Tutti a casa mia, il camino acceso, il presepe bello grande con le lucine intermittenti ad illuminare le casette, la strada e i pastorelli. Ci mettevo amore a farlo, perché per me il Santo Natale è festa più bella dell’anno.
Sotto l’albero mettevo un piccolo pensiero per ognuno dei miei ospiti, piccoli pensieri, ma molto indovinati. C’era tanta armonia e felicità. Purtroppo le cose non durano per sempre come si vorrebbe.”  Mentre parlava, il suo aspetto proteso ad immaginare quello che sarebbe avvenuto, era palese: nel suo cuore vi era una grande pena. “Anche le cose belle finiscono.  Mio marito mi lasciò per raggiungere la casa del Signore, lasciandomi sola nella desolazione, perché anche il mio vigore venne meno, e piano piano, se ne andarono tutti, nessuno è più venuto a trovarmi e, se lo facevano, era sempre di fretta e con tante scuse. Quest’anno farò come sempre, accendo il camino e con la mia gattina, la sola compagnia che mi è rimasta, aspetteremo il Natale. L’anno scorso ricordo che nella veglia della Notte Santa, piangevo, le lacrime solcavano il volto, quando d’improvviso la gattina che stava accovacciata nel suo angoletto, mi saltò sulle ginocchia e con le zampette mi toccava con delicatezza il viso, mentre con il suo musetto si strofinava al mio petto. Piansi ancora di più, ma questa volta di gioia, perché l’affetto si manifesta sotto molte forme e gli animali capiscono e non tradiscono mai.”  Un Santo e sereno Buon Natale.


  NATALE SI AVVICINA
di Mila


 

Tra poche settimane sarà Natale, ancora una volta festeggeremo la nascita di Nostro Signore. Attorno alla mangiatoia sulla quale è adagiato il Divin Bambino quante richieste ci saranno? E speranze, illusioni, forse anche recriminazioni e magari dei ringraziamenti per qualcosa che si è avverato durante l’anno o per qualcosa che già si aveva, qualcosa che ci stava tanto a cuore e per questo Lo ringraziamo.
Ci saranno le preghiere di noi anziani, perché il Dio dell’Amore ci dia la forza di affrontare quella che è la stagione più difficile della vita. Quelle dei bambini, che non sempre chiedono soltanto giochi più o meno costosi, ma chiedono, e ormai sono sempre di più quelli che fanno questa preghiera, che i loro papà e le loro mamme non si separino mai, perché loro vogliono ugualmente bene a tutti e due e tutte le sere prima di andare a nanna vogliono un bacio da entrambi: “Buona notte mamma, buona notte papà.”
La famiglia, la tanto esecrata famiglia. Adesso non mi si fraintenda, non sto pensando a nessuno in particolare, sono soltanto riflessioni.
Ero partita con un’idea e poi è venuto fuori questo, comunque: la famiglia, la tanto esecrata famiglia è tutto il mondo per i nostri figli e loro ci soffrono se questo mondo non è unito. È vero che a volte ci sono situazioni talmente gravi dentro alle quali c’è ben poco da fare, anzi diciamo che è doveroso intervenire, ma spesso…ma non voglio inoltrarmi in questo discorso, vorrei soltanto dire: rivolgiamoci a Gesù, alla sua dolcissima Mamma e non stanchiamoci di pregare, pregare e pregare, soprattutto per le nostre famiglie, i nostri bambini e per le nostre parrocchie.
Le nostre parrocchie. Ero partita con l’idea di raccontare della mia parrocchia qui a Luni Mare ma poi mi son persa per strada, agli anziani a volte succede.
La nostra parrocchia è dedicata a San Pietro ma forse San Pietro non era un buon nocchiero perché sono anni che la nostra barca va a sghimbescio, sballottata tra i flutti, beccheggiando e rollando, cambiando continuamente timoniere. Ora abbiamo don Alessandro. Speriamo che rimanga con noi per un lungo periodo, ne sarei molto contenta anche se: Io, che ho un carattere non certo facile, e lui, che è un sacerdote abbastanza particolare, abbiamo avuto subito uno scontro verbale piuttosto acceso, tant’è che volevo chiuderla con la mia parrocchia ma poi ho riflettuto: tanto per incominciare, diciamo che la colpa dello scontro non è stata proprio soltanto mia o sua, quindi, magari, ne riparleremo e poi mi sono fatta conquistare dalle sue omelie che lui chiama “catechesi”.
Ad ascoltarlo con attenzione c’è molto da imparare quando spiega il vangelo o commenta il santo del giorno raccontando della personalità dello stesso o del periodo nel quale è vissuto, come quando ci parlò di San Venanzio, un Santo del nostro territorio. Quel giorno appresi delle cose veramente interessanti sulla nostra terra. Comunque, adesso apprestiamoci a festeggiare il Santo Natale, chiediamo i nostri doni, credo che il più gettonato sarà la Pace e speriamo che le nostre preghiere vengano accolte.
Un Santo Natale a tutti.


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