N° 5 - Maggio 2017
Storie dei lettori
  Dal DIARIO di un PELLEGRINO
di Gualtiero Sollazzi


 

IL SICOMORO

E’ un albero del Medioriente, alto e dall’ampia chioma. Lo si conosce soprattutto a causa di Zaccheo, il pubblicano raccontato da Luca.  Quell’uomo sente di Gesù e vuol vederlo. Il Maestro è sempre assediato dalla folla e per uno piccolino come Zaccheo, poterlo scorgere è un problema. Un albero, il sicomoro appunto, può offrire la giusta soluzione.  Se ci si sale, Gesù potrà essere visto dall’alto. Cosa che Zaccheo fa. Sappiamo com’è andata a finire e quali orizzonti impensati si sono spalancati per quell’uomo. 

Tutto è cominciato perché è salito sull’albero. Questo diventa immagine di ciò che siamo chiamati a realizzare nella nostra vita spirituale. Il resto, come sempre, lo farà il Signore. Ma occorre salire. Un “salire” fatto di tante cose: belle e faticose, talvolta col sapore aspro della croce e col prezzo di lacrime amare accompagnate, però, dalla consolazione di Dio.

 Non facciamo nostra una notazione, che ha l’aria della resa, del poeta Eugenio Montale: “Si tratta di arrampicarsi sul sicomoro per vedere Gesù, sa mai passi. Ahimè, io non sono un rampicante, non sono salito, non l’ho visto.”

Se davvero quel Volto lo cerchiamo, Lui si farà trovare.

 

LA PAROLACCIA

Solidarietà: una parola col sapore del Vangelo. Il significato letterale rimanda al debitore, obbligato a saldare tutti i debiti contratti. Sottotraccia potremmo ricavarne domande provocatorie e non tanto peregrine, tipo: chi non è debitore verso il fratello nel bisogno?

La parola oggi rischia la cancellazione. Non dalla gente comune, ma dai potenti, dai cosidetti poteri forti. Afferma il Papa: “per molti solidarietà è una parolaccia.”



  I SENZA MEMORIA
di Stefania




“ Siamo senza memoria, senza Dio, non viviamo appieno la nostra vita.” Questa potrebbe essere la definizione dell’uomo moderno.

Perché stiamo vivendo in un mondo disidratato d’amore? Perché ci sono così tanti attentati che ci tolgono la quiete?

Perché c’è chi non adempie il suo lavoro in modo onesto, leale, retto e inquina l’aria, il cibo o sfrutta le competenze per i propri interessi a danno della collettività, utilizzando le proprie responsabilità solo per avere più potere sugli altri, più diritti, più agevolazioni e, non sentendosi persona uguale agli altri, ma superiore, arrivare a ritenersi un dio onnipotente? Perché c’è chi si sente furbo e non rispetta le regole, per esempio, non pagando le tasse? A danno ovviamente di chi le deve pagare maggiorate  per colpa degli evasori?

Viviamo in un mondo pieno di sofferenza e ingiustizie varie: come siamo arrivati a questo?  Ci siamo dimenticati chi siamo, da dove veniamo, perché siamo qui e dove ciascuno di noi, nessuno escluso, deve ritornare al termine della vita terrena. Perché non pensiamo a cosa succederà quando ci troveremo soli con la nostra anima di fronte al Creatore, Dio dell’amore e misericordioso poiché vuole salvarci tutti? Infatti un Dio misericordioso è anche giusto, quindi in cielo e in terra non può esserci amore vero e pace vera senza la giustizia vera come Lui ce la insegna.

Quanta ipocrisia, quanta falsità, quanta menzogna, quanta sofferenza, quanta ingiustizia incontriamo quotidianamente!  Una volta in ospedale, dove svolgevo il mio servizio di volontaria dell’AVO, ho ricevuto la confidenza di una paziente che il giorno dopo doveva essere operata: mi diceva che si sentiva molto serena perché, anche se l’intervento non fosse andato a buon fine e non si fosse risvegliata, aveva la certezza d’incontrare il Dio giusto e misericordioso che le avrebbe fatto pagare nel Purgatorio solo ciò che non era riuscita a rimediare, ritardando solo di poco la gioia del Paradiso. Se fossimo più attenti e riflessivi, eviteremmo di cadere nelle numerose trappole che il nemico storico di Dio mette sulla nostra strada. Solo il demonio può beneficiare della nostra perdita di memoria verso il bene. Mentre quanto sollievo avremmo sapere che il nostro Dio è Misericordia, che ama tutti senza distinzione e che non è interessato a ciò che conosciamo e possediamo, ma gli preme solo come ci comportiamo col nostro prossimo. Essendo vero padre, siamo troppo importanti per Lui e opera sempre per il nostro ritorno e ci aspetta a braccia aperte, dimenticando subito il nostro allontanamento e ridonandoci la sua grazia, se il nostro desiderio di riconciliazione è sincero e profondo.

Diversi anni fa a Massa, dove ero stata per fare shopping, mentre tornavo alla macchina scoppiò un improvviso e forte temporale, vicino alla chiesa di San Sebastiano un giovane senegalese vendeva ombrelli, ma non avevo più soldi. Mi ricordai che in macchina avevo il denaro sufficiente, così chiesi al ragazzo se poteva anticiparmi l’ombrello per andare a prendere i soldi in macchina senza inzupparmi. Ricordo ancora lo sguardo e la luce negli occhi quando in maniera garbata e sicura mi disse: “ Tieni, prendilo pure, io non mi preoccupo affatto, se tu non me li porti, non fai il male a me, ma a te stessa, perché Dio ti vede…” E’ vero, Dio ci vede ed è meraviglioso averne la certezza: per questo non dobbiamo avere paura. Dio sa chi siamo, come ci comportiamo con gli altri e sa come gli altri si comportano con noi; conosce il bene e il male che facciamo come il bene e il male che riceviamo.  Avere paura non ha senso; l’unica nostra preoccupazione deve essere quella di scegliere con chi intendiamo camminare nel sentiero della vita e con quale spirito desideriamo farlo. Questa scelta di fondo ci impedisce di vivere senza memoria verso il nostro Creatore e verso il nostro Signore Gesù. Mercoledì della settimana Santa la nostra guida terrena, papa Francesco ha detto: “Tutti siamo peccatori e possiamo cambiare solo se cerchiamo di vedere le nostre colpe: allora il nostro cuore diventerà più umano.” Buon cammino di conversione quotidiano per ciascuno di noi. La Mamma celeste, della quale il prossimo 13 maggio festeggeremo un secolo della sua apparizione a Fatima, ci invita alla conversione e alla preghiera, perché al più presto il mondo, dove noi e i nostri figli viviamo, possa scoprire finalmente la vera pace, che vuol dire anche armonia, concordia e giustizia.



  “VIVA MAGGIO CHE DA’ VACANZA”
di Romano


 

           

Nel passato sono custodite le nostre anime, la nostra storia, la nostra patria. Senza passato l’uomo è solo un punto sperduto negli eventi fortuiti del tempo e dello spazio. Massimo Marcesini ha scritto una pagina di storia del nostro paese che ogni ortonovese dovrebbe avere nella propria biblioteca. Vi troverete non solo i nomi dei vostri avi (io vi ho trovato i nomi di quattro bisnonni), ma anche una grande dimostrazione di vita sociale, vissuta nel periodo più fecondo d’ideali che l’Italia abbia mai avuto.

         Quello che si evince maggiormente da questo libro è la grande vitalità e il fermento ideologico dei nostri antenati.

         Negli anni che vanno dal 1860 al 1940 il nostro borgo, molto popoloso (e qui sta la spiegazione e la differenza), ha vissuto in un conflitto ideologico permanente.         

         Nella massima espansione delle loro idee, mazziniani, socialisti, monarchici, cattolici, anarchici, fascisti sono stati sempre in perenne conflitto fra di loro, anche violenti. Una sera del 1870 o giù di li, Ferrari Battista, socialista sfegatato, cadde in un’imboscata dei mazziniani e fu picchiato selvaggiamente. Da quel giorno usciva di casa sempre con un nodoso bastone e perciò fu chiamato “Batì dal baston, poi Batiston”. Quando Beniamino Raganti, sindaco, ortonovese, portò il comune a Casano fu assalito e costretto a fuggire in America. Lo scrive anche don Pesce. Ora che ci hanno umiliato con la dittatura della minoranza, niente.

         La novella di Ceccardo  che Massimo ci fa leggere sul primo maggio del 1893 da perfettamente l’idea di quello che stava bollendo in pentola a Ortonovo in quegli anni. Leggetela attentamente. Collefiorito = Abate Montefiori; Avvocato Senza Procura = Antonio Bianchi, ecc.

         Nel 1889 fu istituita, in tutto il mondo, la festa del Lavoro del Primo Maggio, simbolo della “Rivoluzione Socialista”. In quel giorno una rivolta popolare, in America, causò la morte di alcuni poliziotti, e fatalmente portò la repressione. Come a Ortonovo nel 1894, si cercarono dei capri espiatori. In America, vennero acciuffati otto malcapitati  e senza prove certe, così come a Ortonovo, vennero impiccati. Anche in America due morirono in carcere, a Ortonovo invece tre. Oggi la festa ha perduto la sua connotazione ideologica, tutti l’hanno eletta, a propria immagine, anche i capitalisti (festa dell’operosità umana), anche i cattolici (san Giuseppe artigiano). “Che ogni uomo sia stimato non per quello che possiede ma per l’apporto che offre alla comunità secondo il suo talento”, ma a quei tempi era considerata una festa proletaria anticlericale e anticapitalistica, ed era temuta dalle autorità, come si evince dalla novella di Ceccardo. A Ortonovo arrivarono i soldati guidati dal brigadiere Marocco, e le scuole furono chiuse. “Viva maggio, che da’ vacanza”, cantavano i ragazzi per le vie del borgo, ma la tensione per le strade era tanta, perché i lavoratori disertando il lavoro senza autorizzazione,  fatalmente si sarebbero riuniti in assemblee sediziose. “A Ortonovo anche le pietre sono anarchiche”, ha detto  Fasholin al tribunale di Massa.

Ma la cosa che più mi ha turbato in questa novella, che non avevo mai letto (complimenti a Massimo che l’ha rintracciata), è la morte di un lavoratore, schiacciato, sotto una trave nel “cantiere san Lorenzo”.

Gianoli Dante, padre di “Cambrata”, e della Maria d Baldin: novantenne, ancora vivente (abita a Isola dalla figlia Francesca), morì sotto una trave in piazza san Lorenzo, venti anni dopo (?) questa novella. I padroni però, questa volta, non ne avevano colpa. Il Gianoli era un gigante come suo figlio Cambrata, che tutti noi abbiamo conosciuto, e, per una scommessa, si fece mettere sulle spalle una grossa trave. Cadde, e morì schiacciato.

         Anche il motivo dell’assassinio, raccontato nella novella, mi porta alla mente, l’assassinio del sindaco Montefiori, fascista (“pagh’la té p’r i tu fradei”), che, come quello della novella, a differenza di quel che si è voluto far credere dal regime di quei tempi, oltre che per vendetta (i fascisti, poco prima, avevano ucciso suo fratello), e odio ideologico, fu assassinato anche per gelosia (1921) (“daila té; al toc’ a té”, dicevano gli amici a Sevé). Me lo hanno confermato diversi personaggio dell’epoca, una delle quali, proprio la figlia di Luigi Piola, uno dei protagonisti di questo libro: “La Gemma, moglie di Sevé, era una bella donna a cui il sindaco dava noia”.

Ceccardo Ceccardi Roccatagliata, “poeta, storico e patriota”, e veggente!?

 

P.s. Nel centenario di quei tragici giorni, nella sala consiliare, il comune ha ricordato quella pagina di storia repressa nel sangue dall’esercito di Crispi. In quella occasione ci fu la proposta di una lapide commemorativa: ma anche questa come quella dei dispersi in Russia, è finita nel dimenticatoio.

Ma salvare dall’oblio quei nomi è richiamare alla memoria un passato carico si di drammi, ma anche di speranze e di valori che in quegli anni, erano feconde premesse di un avvenire migliore.




  ALA SPEZZATA
di Marta



Era tempo di cova, le giornate infatti cominciavano a intiepidirsi e i merli si prodigavano a preparare il nido. Una giovane coppia, che aveva scelto un arbusto frondoso non molto alto, aveva cominciato l’andirivieni per costruire il nido: nel becco portavano piccoli sterpi e fango che a turno intrecciavano. Finita l’opera, la merla depose quattro uova e cominciò a covarle. Nacquero quattro merlotti, che crescevano a vista d’occhio. Giunto il tempo di provare a volare, saltellavano a piccoli voli tra i rami dell’albero, finché il più temerario spiccò il volo, ma, ahimè, sotto vi era un gatto che da giorni stava a caccia appostato nell’erba: con un balzo fulmineo lo catturò. Il merlotto si dimenava, gridava, i genitori rincorrevano il gatto, volandoci sopra la testa, con grida e sbattere d’ali nella speranza che mollasse la preda, ma tutto è stato inutile.
Il secondo, forse il più robusto, riusciva a volare più in alto e seguiva i genitori stando attento agl’insegnamenti che con le loro grida gl’impartivano. Il terzo, più debole o pauroso, nello spiegare le ali, cadde e fu preda anche lui del solito gatto predatore. L’ultimo rimasto, all’apparenza il meno robusto della nidiata, nel tentativo di volo, si era ferito ad un’ala rimanendo impigliato nella sottostante siepe, ma, per sua fortuna, ha resistito a terra per molto tempo nascosto proprio dal fogliame della siepe, fino al completo svezzamento, perché i genitori continuavano a nutrirlo come potevano. “Ala Spezzata” dalla frattura era guarito non perfettamente, infatti la parte legata al corpo aveva ripreso la sua piena funzionalità, mentre quella verso l’esterno era rimasta rigida, limitando i movimenti. Comunque imparò a muoversi in modo adeguato per sfuggire ai pericoli e a rendersi del tutto autosufficiente. La sera col calare del sole Ala Spezzata usciva per cibarsi a caccia di insetti e nel prato cercava dei vermetti di cui era ghiotto. Quante erano le probabilità che Ala Spezzata potesse sopravvivere?  Ho notato che con l’estate Ala Spezzata, nonostante i postumi dell’ala fratturata, aveva imparato a volare bene e con sicurezza.

Ecco l’autunno, cadono le foglie: Ala Spezzata non è più solo, ha una compagna.
Passato l’inverno, mi chiedevo se mai avrei rivisto ancora Ala Spezzata. Quanta gioia, nella nuova primavera, vederlo pieno di voglia di vivere, fischiettare con la sua compagna in cerca di sterpi e steli d’erba per il suo nido. E’ bellissimo il canto dei merli, mai la stessa nota, i gorgheggi sono prolungati, vari e gradevoli: hanno una loro speciale armonia. E’ noto che ai merli gli si può insegnare a fischiettare le canzonette, infatti una mia vicina ha insegnato al suo merlo a ripetere “Bella ciao.”

Per il nido Ala Spezzata ha fatto un’ottima scelta: il ramo non era troppo basso, né troppo alto di un acero canadese, che con le sue larghe foglie ripara il nido anche dalla pioggia. Così Ala Spezzata dopo un anno, da buon padre, era lui ad insegnare alla sua prole, che lo seguiva nei suoi movimenti, l’arte del volare e del sopravvivere in un mondo pieno d’insidie.
A saperlo vedere e cogliere, sarebbe molto educativo ciò che esseri inferiori all’uomo sanno insegnarci.

Madre natura e le sue creature sono una fonte inesauribile di insegnamenti per il presuntuoso Homo sapiens.


  Comunicato de "L'Isola Felice"
di L'Isola Felice



L'Isola Felice sta cercando persone che vogliano dilettarsi col teatro. È infatti in programma la recita di un pezzo scritto da Anna Maria VenturinVai al sito i e da due collaboratori. È ambientato negli anni 60 ed intitolato " gente delle nostre parti" (nel nostro dialetto "genta dn tor d chi"). Purtroppo non è stato ancora possibile metterlo in scena perché quei pochi che conoscono il dialetto non se la sentivano di recitare. A questo punto si è deciso di proporla in italiano.Si tratta di una commedia comica scritta da Anna Maria  sulla base di fatti direttamente vissuti o riferiti da parenti e conoscenti, abitanti in Ortonovo e Marinella.Le domande di partecipazione possono essere inoltrate tramite telefono (tel. 331 4959952 chiedendo di Anna Maria) oppure tramite Facebook (L'Isola Felice a Casano). Lo spettacolo andrebbe in scena  verso fine anno. Si cercano persone di età compresa tra 15 e 50 anni. Si ringrazia per l'attenzione.



  UNA TRAGEDIA FAMILIARE.
di Millene Lazzoni Puglia.


                                        

 

Le piccole – grandi storie locali riguardanti la seconda guerra mondiale 1940-45 non si contano, ma io vorrei aggiungerne un'altra che ritengo molto particolare e forse da pochi conosciuta.
Il luogo è quello del promontorio che sovrasta il mare a Bocca di Magra dove i Tedeschi avevano piazzato un cannone che dava molto filo da torcere agli alleati, perché non visibile all'esterno e, quindi, difficile da localizzare.

All’origine c’era stata l'idea geniale della costruzione di una galleria che da est andava verso l'interno del monte, con tanto di binario dove un carrello poteva scorrere avanti e indietro.

Lo scopo di quel “marchingegno” era quello dell'uso di un cannone piazzato sul carrello che, dopo aver sparato, poteva rapidamente rientrare dentro la galleria con l'ingresso mascherato dalla fitta vegetazione. Ancora oggi la galleria si trova sul mare sopra Punta Bianca senza lasciare alcuna traccia distinguibile della sua presenza.

Da quella postazione strategica i soldati tedeschi controllavano non solo il Golfo di La Spezia con le isole e il mare circostante, ma anche la Versilia e oltre.

Io ricordo, quando da bambina mi arrivavano i “suoni” della guerra, di aver sentito dire tante volte: “Questo è il cannone di Punta Bianca!”

Ma l'ingegno dell'intera opera non finiva qui: per i rifornimenti vari della postazione tedesca, avevano escogitato un sistema di ascensore in verticale, ancora una volta scavando il monte in corrispondenza della “tana del serpente”, una caverna naturale situata a livello del mare, molto antica e ben visibile ancora oggi dalle barche in transito.

Così, per mezzo di imbarcazioni varie, era possibile trasportare merci, persone e comunicare con altri comandi tedeschi.

C'è un detto famoso che dice “un bel gioco dura poco” e così è stato per quei soldati tedeschi che il destino aveva portato a combattere in Italia.

Forse era la bellezza del luogo, il mare, la posizione dominante che li aveva portati a pensare di essere imbattibili, invece non fu così, perché un bel giorno la postazione tedesca fu pesantemente bombardata e con essa ebbe fine l'incubo del cannone misterioso. Al contrario, era appena iniziato l’incubo del tecnico italiano che aveva lavorato all'allestimento ed al funzionamento del cannone: per lui che, avendo lavorato per i nazisti era definito “un traditore”, iniziava una vera “odissea” con il suo ferimento e il conseguente ricovero in ospedale dal quale non uscì vivo. Infatti il tetto dell'ospedale fu investito da alcune bombe incendiarie sganciate, forse per errore, da un aereo alleato ed il suo letto fu tra i primi ad andare a fuoco. Purtroppo anche gli altri familiari furono coinvolti dall'incendio e ben due persone persero la vita a seguito delle gravi ustioni.

Se vogliamo rendere completa questa storia, c'è ancora da aggiungere un particolare: il volontario della Pubblica Assistenza che aveva rischiato molto nel portare tutti i feriti giù dalle scale dell'ospedale, era un antifascista che collaborava con i partigiani.

Io sono a conoscenza di tutti questi particolari tramite la testimonianza di persone che a quel tempo erano state direttamente coinvolte nei fatti.

Questa rappresenta l'ennesima “storia di guerra” come tante altre scritte nel corso dei secoli, che non è riuscita ad insegnare né l'inutilità né la malvagità del tradimento e soprattutto della guerra. Solo il perdono divino potrà far espiare i peccati di quanti vi hanno partecipato.

 

  Caniparola, 2012 

                                                                                 

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