N° 9 - Ottobre 2016
Storie dei lettori
  Appunti di un Pellegrino
di Gualtiero Sollazzi



Fuoco d’estate

Un titolo di canzone, preso a prestito, per dipingere un’estate rovente. Accompagnata da nomi inutili, visto che non c’è alcun senso chiamare con termini diversi una configurazione barica che è sempre la stessa.
Sopraffatti dal caldo, forse è sfuggito quanti Santi si sono incontrati questi mesi: Benedetto, Giacomo, Ignazio di Loyola, Domenico, Lorenzo, Chiara, Agostino. Un fuoco, il loro, caldo di esempi e intercessioni.
La “Donna vestita di sole” non oscurata dal ferragosto, ci ha ancora “rapiti dal fulgore della vostra celeste bellezza” (Pio XII).
E poi, il pane. Per diverse domeniche è stato centro della Parola. In un tempo di crisi, per gente che si sente affamata di tante cose, ecco il Cristo che dice all’uomo vicinanza, compassione, vita.
Un’estate in cui tutto sembra bruciare, è stata investita da una straordinaria fragranza di Pane e, anche, da un invito per i discepoli che lo consumano: essere pane con una vita di esemplarità.
Come don Mazzolari, un parroco che si è del tutto donato ai suoi parrocchiani. Da far esclamare a uno di loro al suo funerale: “Ci bastava guardarlo, vederlo passare. Per noi era pane!”.

 

 

Grazie, Francesca

Lacrime incontenibili. Di Francesca. C’è una fredda voce al telefono: sei licenziata.
La donna già tremava per contratto trimestrale che poteva o no essere rinnovato. Questa volta le hanno chiuso la porta definitivamente.
Aveva fatto un po’ di assenze a causa di un amore. L’amore del fratello, malato di grave insufficienza renale con l’urgenza di un rene nuovo e subito.
Lei si è messa a disposizione per donarlo, visto che gli esami ne dichiaravano la compatibilità. L’intervento è risultato pienamente riuscito. Con un “prezzo”.
Il chirurgo ha ordinato alla sorella almeno un mese e mezzo di riposo per non correre gravi rischi. Ma la “ditta” non ha sentito ragioni: licenziamento.
Un giorno arriverà per certa gente col portafoglio al posto del cuore, la sferzata di Gesù: “Via da Me…”.
Chi ha perso con disonore questa particolare “partita”?. A Francesca, licenziata per aver salvato il fratello, grazie. Hai fatto vincere l’amore!



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  Porta Romana
di Millene Lazzoni Puglia




Nel bastione di ‘Testaforte’ che vide gli attacchi degli eserciti di mezza Italia contro la città di Sarzana, fu riaperta l’antica porta nel 1783, ed è per questo che Porta Romana è stata chiamata anche Porta Nuova (inizio di Via Mazzini, lato est).
Come si può vedere è interamente rivestita di marmo bianco di Carrara; probabilmente nella nicchia che sovrasta l’arco c’era già all’origine una statua, però, a memoria d’uomo, era stata vista vuota da fine ottocento. Soltanto dopo la fine della seconda guerra mondiale (1946) l’antica porta è stata restaurata insieme alla nicchia dove è stata posta una statua di marmo bianco raffigurante una Madonna alta più di due metri.
I lavori di restauro furono eseguiti da Lazzoni Sante, insieme al figlio Senzio, assistiti anche da una donna che era l’autrice dell’opera in marmo, preoccupata che venisse danneggiata in qualche modo durante i lavori di sistemazione. Allora non esistevano le moderne gru e altri sofisticati mezzi di oggi, ma soltanto rudimentali paranchi e la forza e l’ingegno dell’uomo. Perciò non era semplice per quei muratori muovere la statua che era di peso notevole. Mi sembra interessante precisare che per collocarla era stata fatta un’apertura sul retro della nicchia che era parallela ad una strada, e da lì fatta passare per essere sistemata e fissata dove ancora oggi (2005) possiamo ammirarla.
Ci sono due fatti curiosi legati a questi lavori alla Porta Nuova di Sarzana.
A sinistra di chi entra in città, di fronte alla suddetta porta, due ragazze osservavano con molto interesse, dalla finestra del palazzo sull’angolo, le varie fasi del lavoro dei muratori per la sistemazione di quella bellissima statua della Madonna. L’amica, ospite della ragazza che abitava lì, si chiamava Diva Moriconi, e nove anni dopo avrebbe sposato Senzio, il giovane muratore che allora aveva soltanto 17 anni, mentre il muratore più anziano sarebbe diventato suo suocero, poiché era il padre del ragazzo, entrambi, allora, perfettamente sconosciuti.
L’altro fatto curioso è quello di un ragazzino di 11 anni che, sconfinando dal suo quartiere che era Piazza Calandrini (detta Razzuletta) e altre strade intorno, si aggirava con il naso all’insù per osservare le delicate manovre dei muratori con altri spettatori curiosi o interessati. Quel bambino di 11 anni era Silvano Puglia, che mai avrebbe potuto immaginare che anche lui, nove anni dopo, si sarebbe fidanzato con Millene, la figlia e la sorella dei due muratori che stavano lavorando sopra l’arco di Porta Nuova (o Romana), e avrebbe fatto parte di quella famiglia.
Oggi, nel 2005, sono trascorsi quasi sessant’anni da quei fatti che, ripensandoci, sono stati molto molto singolari e che, io penso, meritino di essere raccontati.



  Nonna raccontami una storia
di Giuliana Rossini


Qualche volta, alla sera, mi capita di fare la baby-sitter ai miei nipotini. È per me una grande gioia, un modo per instaurare con loro un clima di complicità e di intesa. Esaurito il rituale delle norme igieniche e indossato il pigiamino, i bambini si infilano nel loro lettone e: "Nonna raccontaci una storia" mi chiedono all'unisono. Prima, però, recitiamo la preghierina: ringraziamo Gesù per tutti i meravigliosi doni che ci ha concesso durante la giornata, Gli affidiamo tutte le persone care, Gli auguriamo la buona notte.......
Talvolta la loro giornata ha avuto qualche episodio negativo: è l'occasione buona per parlarne, comprendere il loro punto di vista, accompagnarli a capire lentamente che esiste anche quello degli altri.
Infine il momento tanto atteso. Non posso raccontare le favole della mia adolescenza: Cenerentola, Biancaneve .... nonostante le rivisitazioni di Walt Disney  sono state messe decisamente in soffitta.  E nemmeno quelle paurose della mia infanzia , quando la nonna paterna, che viveva con noi, affascinante narratrice di storie popolari, ci faceva rimanere aggrappati alla sedia della grande cucina per la paura, ma inevitabilmente attratti dalle sue parole. Allora non ci si facevano tanti problemi.
Più tardi ho ritrovato, con grande soddisfazione, la fiaba "Giovannin senza paura", che era il suo cavallo di battaglia, nella raccolta di "Fiabe italiane" a cura di Italo Calvino.
Nei miei racconti primeggiano principi audaci e coraggiosi che difendono i deboli contro draghi paurosi e principesse bellissime con abiti e giochi meravigliosi, ma spesso un po' tristi perché non hanno con chi condividere le loro cose. Non mancano, però, protagonisti più normali, bambini come loro, un po' vivaci, ma che riescano a superare i contrasti con l'amicizia, l'aiuto reciproco, l'attenzione ai compagni.
Loro ascoltano attentamente; Giacomo, più grande e meno interessato alle principesse, talvolta finge di non seguire, ma mi riprende immediatamente  se il tono, qualche volta, scade un pò, a causa della stanchezza.
Lentamente i loro occhi si appesantiscono. Alla fine mi chiedono: "Ancora una, nonna!" "È tardi bambini. Dormite!" Do loro il bacio della buona notte, spengo la luce ed essi si addormentano di colpo. Ogni tanto il loro sonno tarda a venire. Allora li rassicuro che non sono soli, che non devono temere nulla perché il loro Angelo Custode li protegge.
Poi la mamma tornerà presto, anzi le telefonerò per chiederle di anticipare il ritorno....
Allora si quietano e scivolano lentamente nel sonno.
Rimango  ad osservare, piena di riconoscenza e stupore, dinanzi al miracolo della vita, i loro visetti rilassati e sereni. Ricordo la gioia straordinaria provata al loro arrivo, quando anche il mio castello rischiava di rimanere vuoto. Il mio pensiero si rivolge grato a Dio: non poteva fare nulla di più bello e grande!

 

                                                                                  

  Una storia dolce
di Paola G. Vitale



 

C’era tutti i giorni della settimana, tutti meno uno, in una città chiamata Fiorbello, un pulmino color arancio. Lo vedevi passare al mattino e al pomeriggio, sempre carico di bambini un po’ arruffati, un po’ sorridenti e un poco distratti.
Al mattino i bambini salivano a gruppetti di due, di tre, di uno soltanto, e scendevano tutti alla scuola. Al pomeriggio risalivano vociando e spingendo, nonostante la presenza della signora Clara, che sorveglia; poi Mauro l’autista, metteva in moto. Prima fermata: “Scendono Marco e Simona!”. Seconda fermata… ottava fermata: “Scendono Silvia, Maria e Paolo!”. Silvia e Maria sparivano tra le braccia della nonna e si incamminavano saltellando, sul lato sinistro della strada. Paolo restava fermo sul marciapiede e poi alzava lo sguardo su, su, verso la facciata del palazzo: alla finestra appariva il viso sorridente della signora Elena, che gli faceva cenno di entrare subito nel portone.
Paolo cominciava a salire, trascinando lo zainetto e strofinandosi lungo tutta la ringhiera, sul bordo esterno dell’ampia scala. La signora Elena lo attendeva sulla scala e insieme salivano l’ultima rampa. “Allora, Paolo, hai fame? Andiamo subito a preparare una bella merenda, intanto che aspettiamo la mamma!”, e intanto apriva la porta.
Era sempre così, e Paolino lo sapeva. Raggiungeva l’ampia finestra oltre il divano, si accomodava ben bene sul cuscino più grande, poi guardava fuori: tra le manine, il piatto colmo di biscotti, imburrati ben bene dalla signora Elena.
Poi lei scendeva: “Mi raccomando, Paolino, la mamma tornerà a momenti!”. La porta si chiudeva, il bimbo guardava lontano. Il sole scivolava tra i tetti lasciando lunghe strisce leggere tra palazzo e palazzo; in basso cominciavano ad accendersi le prime luci. Il pulmino color arancio ormai era in fondo al viale.
Paolo fingeva di camminare sulle stradine di polvere disegnate dal sole; guardava e guardava, mentre un biscottino ormai dimenticato, si attaccava con tutto il burro al cuscino. Le stradine di luce sembravano tanti omini in movimento, tante persone che non sanno dove andare, e non tornano mai a casa…
E la mamma…?. La mamma invece era arrivata, finalmente, e guardava con finto broncio i biscotti sparsi sul divano e il suo Paolo, piccolo sognatore che non l’aveva neanche sentita rientrare.

                                                (Fiorbello = Luni Mare)



  Vittorio Emanuele II e l’oltraggio di Ortonovo
di Romano Parodi



Il ‘canicio’ era un locale nero e caliginoso con dei grossi buchi su pareti, porte e finestre per la fuoruscita del fumo. Al centro aveva un focolare senza camino, sovrastato da un pianale di canne sul quale venivano poste le castagne ad essiccare. Tutto intorno vi erano delle panche; nelle sere d’inverno la gente del paese vi andava a ‘veglia’.
Il ‘canicio’ di Lazzarin del Fosso era sempre il più frequentato; non mancava mai un buon bicchiere di vino dei Carisciari. Lazzarin aveva partecipato alla battaglia di San Martino e alla Breccia di Porta Pia con i piemontesi (Ortonovo faceva parte del Regno di Sardegna) e le sue storie di guerra erano motivo di ironiche battute: “Lazzarin i và a la guera con d’ sch’iopo e la cordeda; la codeda a s’è strapà e Lazzarin gh’è v’nù a cà!”.
Era un parlatore affascinante; alle donne davanti alle braci venivano le ‘vache’ (una specie di ustione) nelle gambe nell’immobilità dell’ascolto. Quella sera di fine secolo tutti pendevano dalle sue labbra.
“All’inizio del 1860, dopo le due Guerre d’Indipendenza, anche la Toscana anelava a congiungersi alla Madre Patria; le dimostrazioni e gli incidenti di piazza avevano costretto il Granduca di Lorena a dimettersi, ma non tutti sanno che il primo lembo di terra conquistato dall’Italia Sabauda fu il paese di Fontia*(un paio di chilometri da Ortonovo, verso Carrara). Con la Guardia Civica di Ortonovo lo occupammo in nome di Vittorio Emanuele II e questi, dopo l’avvenuta Unità d’Italia, trovatosi in visita ufficiale al sorgente Arsenale Militare di La Spezia, decise di venire al nostro paese per la posa di una lapide commemorativa a ricordo dell’avvenimento.
Immaginatevi le preoccupazioni ed i preparativi che ne seguirono; sedute  continue in Comune, e quando tutto sembrava a posto, un Consigliere avanzò una preoccupazione: se il baffuto Re, padre della Patria, avesse avuto impellenti bisogni corporali, non esisteva un gabinetto decente, alla sua portata. Dopo animata discussione si pensò di chiamare, seduta stante, il falegname Cent’fiorona che, lavorando tutta la notte, ne costruì uno in massello di noce, lucidissimo, smussato alla perfezione e con un maestoso foro centrale degno proprio di un Re. Ma sorse un altro dilemma: il Re avrà bisogno d’aiuto?
L’ignoranza in quei tempi era a volte abissale; impensabile che un Re compisse atti così innominabili. Altra accesa discussione, e infine si decise che se il Savoia si fosse appartato, lo spazzino Bad’eta, in strategica posizione sottostante e con discrezione, si sarebbe “adoperato alla bisogna”.
Cosa accadde di preciso quel giorno non si seppe mai; si dice però che il Re voleva comandare personalmente il plotone d’esecuzione e fucilare tutta la Giunta e Sindaco compreso. Solo l’intercessione della contessa di Castiglione e della gerarchia ecclesiastica impedì tale esecuzione.
Si malignò in seguito che il Re, entrato in quel manufatto e udendo dei rumori, si fosse chinato sul buco per vedere e che Bad’eta a questo punto avesse fatto un po’ di confusione fra la parte più nobile di Sua Maestà, ornata di pizzetto e lunghi mustacchi e quella meno nobile ma altrettanto ornata e si “adoperò per la bisogna”.
Ecco il motivo per cui non fu posta alcuna lapide a ricordo di quella storica visita del Re, e nessuna menzione ne fu fatta nei libri di storia. Si pensò di cancellare l’oltraggio di Ortonovo con l’oblio più assoluto”.

 

*Gli incidenti di Fontia e gli sconfinamenti nel carrarese sono citati nei libri di Storia.

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