N° 2 - Febbraio 2012
Spiritualità
  Analisi per capire il valore dell’educare alla fede.
di Antonio Ratti


                                          

 

 

In ambito ecclesiale si fa un gran parlare di pastorali (es, della famiglia, della comunicazione, dei migranti, ecc.ecc.) e  di catechesi; è tutto un fiorire di iniziative che, per me, danno per scontato ciò che scontato non è: l’interesse da parte di coloro cui tutto questo lavorio è destinato.

Perché una qualsiasi iniziativa abbia una qualche probabilità di successo sono insostituibili, per la loro essenzialità, la disponibilità degli interlocutori a riconoscersi e la capacità di ascoltarsi. In aggiunta a questi due elementi è condizione “sine qua non”, che colui, che è il destinatario, si ponga il problema esistenziale, più volte ribadito da Benedetto XVI: chi sono e a cosa sono destinato?

Per coloro che si sentono soddisfatti del loro non cercare la verità della vita, non c’è pastorale o catechesi che tengano: l’indifferenza e la risposta negativa alla sollecitazione sono l’atteggiamento che non si può non aspettare.

In questi giorni di gennaio i negozi e le attività commerciali sono in manifesta agitazione per i saldi.  Che cosa sono? Un palese tentativo di far nascere nel cliente indifferente (ovvero, che finora non ha sentito alcuna necessità) il forte bisogno di un acquisto: tra i possibili, il vantaggio economico, come insegna l’esperienza, può rivelarsi l’elemento determinante. Questa incursione nel marketing mi serve a sottolineare che occorre, prima di tutto, cercare e trovare metodi di lavoro atti a richiamare l’attenzione dei lontani sull’essenza della vita e del suo intrinseco valore, che non è stato mai così basso come in questi tempi.

Gli evidenti segni di secolarizzazione devono porci di fronte alla realtà per analizzarne le origini e studiare possibili medicine: agli europei, italiani inclusi, non interessa rimarcare le evidenti origini cristiane della società, della cultura, della democrazia, dei valori etici. La ragione è chiara: la fede nel trascendente e le regole che ne discendono non sono più ritenute prioritarie per dare una giustificazione, un filo logico e un significato all’esistenza. Quindi è un predicare nel deserto con le metodiche e il tran tran tradizionali, anzi, spesso, sono controproducenti. Se queste considerazioni hanno un succo, la conclusione mi appare scontata. Il venditore, a qualunque livello appartenga, sa che la vendita comincia quando il cliente ha detto no. Questo è il punto di riferimento da cui partire per tentare di instaurare un dialogo coerente e rigoroso che potrà convertire il no in un sì convinto, così ogni cristiano, a qualunque livello, davanti al rifiuto dell’indifferenza, deve provare a scovare la chiave per aprire un dialogo che miri a far trovare vivo interesse là dove c’è disinteresse da non conoscenza, o, peggio, da parziale e distorta conoscenza.  

Gesù ai suoi miracolati non chiede mai “ sei contento?”, ma afferma cose che mettono i presenti nel pensatoio: “va, ti sono rimessi i tuoi peccati” oppure “la tua fede ti ha salvato”. Chi è costui che può asserire e fare simili cose?

Si interrogavano in tanti, spianandosi la strada alla conversione.

Nella speranza di essermi fatto capire senza distorsioni, ritengo che prima di catechesi, pastorali e catechismi, occorra suscitare il bisogno di avere una fede, cioè è necessario porre il ragazzo, il giovane e l’adulto nelle condizioni razionali (la ragione e la conoscenza aiutano la fede, dice il Papa) e psicologiche di accedere alla fede come insostituibile bisogno (anche egoistico, purchè sia sano egoismo = amor proprio) di dare una levatura alla vita che trascenda l’umano quotidiano. Altrimenti corriamo, e il più delle volte è così, il rischio di fare nozionismo appiccicaticcio e senza futuro.

La chiave di tutto sta nell’individuare la capacità di far conseguire agli indifferenti la giusta evidenza di un principio che è un valore non negoziabile: vivere senza un progetto di futuro eterno è solo un vegetare che svilisce la dignità che il Progettista-Creatore ci ha messo a disposizione. Occorrono idee e strumenti di comunicazione e dialogo che sappiano scuotere l’apatia, la disinformazione, l’ostilità preconcetta di chi, spesso, non vuole sentire parlare di fede o del valore trascendente della vita nel timore, se coinvolto, di dover ammettere che, forse, è in errore. Quando queste, per me, ovvie fondamenta avranno trovato la loro solidità, allora il gioco è fatto: catechesi e catechismi troveranno accoglienza convinta e la voglia della ricerca non si arresterà più.

E’ ancora fresco il ricordo dei Magi, misteriosi personaggi di altissimo lignaggio, che sentono l’irrefrenabile bisogno di dare compiutezza alla loro sapienza elevandola a saggezza; così partono da terre lontane alla ricerca, che non è al buio, di quel “qualcosa” che sentono mancare alla loro pur importante esistenza. E il bisogno trova il suo premio davanti alla grotta di Betlemme. L’esigenza di dare un senso compiuto al proprio esistere è la molla del cercare, quindi il primo contributo da fornire è aiutare a uscire dall’indifferenza stagnante, se non ostile. Il compito è arduo, ma è il solo possibile nell’azione missionaria, dovere primario di ogni credente.

Qualcosa che mi aveva fatto ben sperare è stata la “sfida educativa”, ma temo che siano ben pochi a ricordarsela e, peggio, ad avere capito il significato del progetto: difatti è entrata rapidamente nella sfera dell’oblio; tutt’al più se ne festeggerà qualche  compleanno ad aprile per poi continuare come prima.   

                                                                                      

 

 

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