N° 8 - Ottobre 2011
Spiritualità
  Gesù e la Samaritana
di Carlo Lorenzini


 
 

 

Gesù e la Samaritana Gv 4, 4-42

L’episodio di Gesù che al pozzo di Giacobbe chiede da bere alla donna samaritana, è un episodio forte per la violenza con cui il nostro Redentore si propone protagonista della scena e vi campeggia.

Gesù viene dalla Giudèa. Si reca in Galilea. Deve dunque attraversare la Samarìa. In Samaria giunge al pozzo di Giacobbe. E’ sul mezzogiorno (hora erat quasi sexta). Lui se ne sta seduto sull’orlo del pozzo. E’ stanco e accaldato. Ha sete. Ma il pozzo è profondo e non ha strumento con cui attingere acqua. Quando, fortuna!, vede giungere una donna di Samaria. Non appena la vede, non si preoccupa che è una donna e che è samaritana e che può essere pericolosa (questo con cui convive ora è il sesto uomo che le fa da marito), ma le dice: ‘Dammi da bere (da mihi bibere)’, con accento così imperatorio, che verrebbe voglia di farlo morire di sete. E poi la polemica che si mette a fare sulla qualità delle due acque, quella del pozzo e quella sua, che lui darebbe a lei se lei gliela chiedesse: un’acqua viva. E dicendo così non si preoccupa neanche dell’assurdità della situazione, immediatamente rilevata dall’umana saggezza della donna: ‘Un’acqua viva tu a me? Ma se non puoi usufruire per te neanche di questa del pozzo, dato che il pozzo è profondo e tu non hai con che attingere” Ma Gesù non si dà per vinto di fronte al disarmante buon senso della donna; e, forte della sua verità,  continua nel suo linguaggio assurdo: ‘Chi beve dell’acqua di questo pozzo tornerà ad avere sete, ma chi berrà dell’acqua che gli darò io non avrà più sete in eterno’. La donna a questo punto teme di essere in presenza per lo meno ad un originale e rispondendo cerca di buttare tutta la faccenda sullo scherzo: ‘E allora dammela questa tua acqua, così la berrò e non avrò più sete, per cui non avrò più bisogno di venire qui ad attingere’. Ma Gesù non si smonta neanche di fronte all’ironia femminile. Tanto è vero che la polemica con la samaritana continua: lui le rivela di sapere chi è lei. E che insomma non è una donna di moralità così ineccepibile. Lei a questo punto si sente scoperta nelle cose sue più segrete. E incomincia a sospettare che colui che ha di fronte sia un uomo eccezionale: ‘Ma allora tu sei un profeta!’ Questa idea di avere davanti a sé un uomo straordinario si fa più certa, quando, parlando dei luoghi di adorazione: Questo monte o il tempio di Gerusalemme?: ‘Né l’uno né l’altro’, dice Gesù, sanzionando la pericolosità insita nell’uso del tempio, ‘Né a Gerusalemme né altrove: i veri adoratori adoreranno il Padre, che è spirito, in spirito e verità’. E allora la domanda: ‘Ma chi sei? Sarai mica il Messia’ ‘Sono io che ti parlo’ risponde Gesù. E qui Gesù non è più il viandante che ha sete e chiede da bere, ma è colui che deve venire, è il salvatore del mondo, colui a cui bisogna credere per ciò che dice e per ciò che fa. Qui la tensione si allenta, la donna crede, va in città, diffonde fra la gente la notizia del suo incontro con un giudeo straordinario, i samaritani accolgono Gesù, alcuni si convertono, lo ospitano fra loro; lui vi rimane due giorni. Gli unici che rimangono perplessi e increduli sono i discepoli, i quali al ritorno (erano andati in città per far rifornimento di cibo) lo vedono parlare con una donna e per di più samaritana. Ma non chiedono niente, non fanno domande. Gli chiedono solo perché non mangia: ‘Io ho un cibo da mangiare, che voi non conoscete’. Sempre umile e conversevole il nostro buon Gesù. Del resto lo abbiamo già conosciuto nel suo atteggiamento più dimesso e conciliante, mentre, ancora ragazzo (dodici anni),  è fra i dottori nel tempio, che risponde in quel modo garbato ai due genitori, che, angosciati, lo cercano dappertutto (Luc II, 41e seg); oppure alle nozze di Cana, nella risposta che dà a sua madre: ‘Non ti intromettere nei miei affari, o Donna!’(Joann II); oppure nella sua ira con cui caccia i mercanti dal tempio (sempre Giovanni II); o nelle risposte che dà al povero Nicodemo, il quale rivolgendosi direttamente a Lui, cerca di mettere un po’ di chiarezza nelle sue idee; e invece Gesù con le sue metafore queste idee gliele confonde ulteriormente (ancora Giovanni II). Ma Gesù è un capo, ha una missione da compiere, che non è facile, e non è facile perché l’uomo è quello che è, e perché non è facile salvare chi non vuole essere salvato. Quindi niente atteggiamenti umanitari, ma durezza, severità, piena consapevolezza di ciò che è e del valore del messaggio di verità che proclama. Quindi Gesù in ciò che dice, in ciò che fa, pone orgoglio e sicurezza; del resto lui è il figlio di Dio; a lui si deve tutto; e lui non deve chiedere niente. Perciò: ‘Dammi da bere’, chiede in tono di comando alla samaritana; perciò: ‘Il tuofiglio vive’, rassicura il funzionario regio; perciò ‘Calate pure le reti per la pésca’, dice a Simone, il quale oramai è sicuro di non prendere più nessun pesce; perciò ‘Lo voglio. Sii mondato’, dice al lebbroso desideroso di guarire. Perciò sempre, in ogni suo atto o parola, la perentorietà di chi ha piena coscienza di sé e delle proprie azioni. Per cui no all’idea di un Gesù tutto umiltà, misericordia e perdono; sì ad un eracle che affronta con coraggio, orgoglio e sicurezza le sue fatiche, compresa l’ultima, quella più espressamente che ogni altra voluta dal Padre che lo ha mandato.  

Perché Gesù non è colui che subisce, quale vittima, la passione e la morte; ma è l’eroe che viene sulla terra perché lo vuole questo sacrificio, perché vuole la passione e la morte; e le realizza, come atto rivoluzionario, che, in favore dell’uomo, cambierà il senso della storia.

 

 
 

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