N° 5 - Maggio 2011
Spiritualità
  14 SEGNI E SIMBOLI CRISTIANI
di Ratti Antonio


 
 

14    SEGNI  E  SIMBOLI  CRISTIANI       

 

IN  PIEDI .   

Durante la celebrazione eucaristica ( S.Messa ) si sta in piedi  “ dall’inizio del canto d’ingresso o mentre il sacerdote si reca all’altare, fino alla conclusione  dell’orazione d’inizio ( o colletta ); durante il canto dell’Alleluia prima del Vangelo; durante la proclamazione del Vangelo; durante la professione di fede e la preghiera universale ( o preghiera dei fedeli ); e ancora dall’invito “Pregate, fratelli” prima dell’orazione sulle offerte fino al termine della Messa.” ( OGMR 43 )* Lo stare in piedi ha diversi significati spirituali e liturgici che si rifanno alla tradizione biblica. L’uomo si distingue dalle altre creature viventi per la sua posizione eretta (homo erectus), quindi lo stare in piedi è riconoscere questo status quale dono di Dio Creatore. Quando Salomone prega e benedice il popolo, gli Israeliti stanno in piedi: “ Il re si voltò e benedisse tutta l’assemblea di Israele, mentre tutti i presenti stavano in piedi.” ( I Re 14 ) Nel Vangelo il fariseo e il publicano vengono presentati a pregare nel tempio stando in piedi. ( Lc 18,11 )  Nelle catacombe, luogo di culto dei primi cristiani, l’orante è rappresentato nelle raffigurazioni sempre in piedi. Si può concludere che lo stare in piedi è l’atteggiamento della preghiera. Ma lo stare in piedi è anche segno di presenza vigile e di attenzione, poiché è l’atteggiamento di chi è in attesa. “Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese” ( Lc 12, 35 ) ricorda Gesù per indicare che il cristiano, non conoscendo il momento dell’evento, deve attendere pronto il compimento del regno di Dio con il ritorno di Cristo a giudicare. L’apostolo Pietro riprende il concetto invitando la comunità cristiana alla vigilanza: “ Siate vigilanti, fissate ogni speranza in quella grazia che vi sarà data quando Gesù Cristo si rivelerà.” ( 1 Pt 1,13 ) Lo stare in piedi è la posizione dei vivi, dei risorti e di chi è nella gloria come immagina l’Apocalisse : chi ha vinto il male è in piedi e canta il cantico di Mosè e il cantico dell’Agnello. ( Ap 15, 2-3 ) Nella Chiesa dei primi secoli era proibito inginocchiarsi la domenica, giorno del Signore, e durante il periodo di Pasqua. Il motivo lo spiega con chiarezza sant’Ireneo, vescovo di Lione del III secolo: “ L’uso di non piegare le ginocchia nel giorno del Signore è un simbolo della risurrezione attraverso la quale, grazie a Cristo, noi siamo stati liberati dai peccati e dalla morte, che da lui è stata messa a morte.  Lo stare in piedi è segno di rispetto verso chi parla; per questo, durante la Messa, ascoltiamo la lettura più importante della liturgia della Parola, il Vangelo, stando in piedi, così come se ascoltassimo, rivolto a noi, l’invito che Dio ha indirizzato a Ezechiele: “Figlio dell’uomo, alzati, ti voglio parlare.” ( Ez 2,1 ) Solo la Domenica della Palme e il Venerdi Santo, durante la lettura del Vangello della Passione, a causa della sua lunghezza, è concesso di restare seduti per una parte.

*OGMR : Ordinamento generale del Messale Romano

 

SEDUTI .  

Lo stare seduti all’interno della celebrazione non è il momento della pausa per distrarsi, ma il segno dell’ascolto e della meditazione. L’essere seduti, cioè più comodi, ma composti, deve favorire l’ascolto della Parola. Il Vangelo descrive l’atteggiamento di Maria, sorella di Lazzaro: “ Maria, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola.” ( Mc 10,39 ) Le parole di Gesù hanno tanta forza e importanza da meritare un ascolto attento e composto, perché riguardano il nostro futuro eterno; per questo una posizione non stancante del corpo (seduti ), deve favorire l’attenzione e la concentrazione. Durante la Messa si rimane seduti nei seguenti momenti: “durante la proclamazione delle letture prima del Vangelo e durante il salmo responsoriale; all’omelia e durante la preparazione dei doni all’offertorio; se lo si ritiene opportuno, durante il sacro silenzio dopo la comunione.” ( OGMR 43 )*

 

IN  GINOCCHIO .

Venite, prostrati adoriamo, in ginocchio davanti al Signore che ci ha creati.” (Salmo 95,6 ) Rappresenta il gesto di umiltà e di sottomissione da parte di chi, consapevole dei propri limiti e colpe, supplica e invoca clemenza a Dio Creatore. E’ il gesto che chiede aiuto, perdono e riconciliazione. “Appena ritornati presso la folla, si avvicinò a Gesù un uomo che, gettatosi in ginocchio, gli disse: Signore, abbi pietà di mio figlio.” ( Mt 17,14-15) Anche gli schiavi e i prigionieri, fin dall’antichità, assumevano questa posizione per implorare la clemenza del padrone o del vincitore. E’ anche il segno di ricerca di racccoglimento e di intimità con Dio; difatti viene spontaneo inginocchiarsi nella preghiera, specie, quando, soli e raccolti, si cerca di stare a tu per tu con Lui. Sul monte degli Ulivi Gesù si allontana dai discepoli e “inginocchiatosi pregava: Padre, se vuoi, allontana da me questo calice. Tuttavia, non la mia sia fatta, ma la tua volontà.”     ( Lc 22, 41-42 ) Durante la Messa i fedeli s’inginocchiano alla consacrazione. Il sacerdote compie, invece, tre genuflessioni: due durante la preghiera consacratoria ( dopo l’ostensione dell’ostia e dopo l’ostensione del calice ), la terza prima di comunicarsi.

 

 
 

  DOMENICA IN FESTA
di Francesca


 
 

DOMENICA  IN FESTA


            Domenica, 10 aprile, a La Spezia eravamo veramente tanti; anzi tante le famiglie che hanno aderito a questa festa: “Festa della Famiglia” che il nostro vescovo Francesco ha indetto per la diocesi. Tanti i bambini che giocavano coinvolti dagli animatori, mentre genitori ed accompagnatori partecipavano ai vari incontri organizzati per questa giornata. In questi incontri abbiamo ascoltato le testimonianze di quattro famiglie diverse ma con un unico obiettivo: “L’Amore di Dio è unità”.

            Una frase che mi ha colpito particolarmente è stata: “Non dobbiamo cercare di fare cose straordinarie, ma fare straordinariamente bene l’ordinario”.

            Tutte testimonianze speciali ai nostri occhi, ma che loro fanno con infinita semplicità e ordinarietà; come la famiglia Montano che fa parte dell’Associazione “Giovanni XXIII”. Hanno quattro figli naturali, una adozione e, da un mese, una bambina cinese in affido. Inoltre ospitano nella loro famiglia due ragazze madri con i loro bambini. Il beato Giovanni Paolo II diceva: “a famiglia è piena di energia…”  ed è proprio ascoltando questa testimonianza che ne sono ancora più certa.

            Il tempo messo da  Dio a nostra disposizione è l’attimo presente e noi dobbiamo cercare di viverlo quotidianamente come meglio possiamo ma con Gesù in mezzo.

                                                                                                                             

 

 
 

  PAROLA DI VITA
di Chiara Lubich


 


“Amerai il Signore Dio tuo, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la tua mente” (Mt 22,37).

            Il dibattito su quale fosse il primo tra i tanti comandamenti delle Scritture era un tema classico che le scuole rabbiniche si ponevano al tempo di Gesù. Gesù, considerato un maestro, non elude la domanda che gli viene posta in proposito: “Qual è il più grande comandamento della legge?”. Egli risponde in maniera originale unendo amore di Dio e amore del prossimo. I suoi discepoli non possono mai disgiungere questi due amori, come in un albero non si possono separare le radici dalla chioma: più amano Dio, più intensificano l’amore ai fratelli e alle sorelle; più amano i fratelli e le sorelle, più approfondiscono l’amore per Dio.

            Gesù sa, come nessun altro, chi è veramente il Dio che dobbiamo amare e sa come debba essere amato: è il Padre Suo, e Padre nostro, Dio Suo e Dio nostro (cf Gv 20,17). E’ un Dio che ama ciascuno personalmente; ama me, ama te: è il mio Dio, il tuo Dio (“Amerai il Signore Dio tuo”). E noi possiamo amarlo perché ci ha amato per primo: l’amore che ci è comandato è, dunque, una risposta all’Amore. Possiamo rivolgerci a Lui con la stessa confidenza e fiducia che aveva Gesù quando lo chiamava “Abbà”, Padre. Anche noi, come Gesù, possiamo parlare spesso con Lui, esponendogli tutte le nostre necessità, i propositi, i progetti, ridicendogli il nostro amore esclusivo. Anche noi vogliamo attendere con impazienza che arrivi il momento per metterci in contatto profondo con Lui mediante la preghiera, che è dialogo, comunione, intenso rapporto d’amicizia. In quei momenti possiamo dare sfogo al nostro amore: adorarlo al di là del creato, glorificarlo presente ovunque nell’universo intero, lodarlo nel fondo del nostro cuore o vivo nei tabernacoli,  pensarlo lì dove siamo, nella stanza, al lavoro, nell’ufficio mentre ci troviamo con gli altri…

“Amerai il Signore Dio tuo, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la tua mente” (Mt 22,37).

            Gesù ci insegna anche un altro modo d’amare il Signore Dio. Per Gesù amare ha significato compiere la volontà del Padre, mettendo a disposizione la mente, il cuore, le energie, la vita stessa: si è dato tutto al progetto che il Padre aveva su di Lui. Il Vangelo ce lo mostra sempre e totalmente rivolto verso il Padre (cf Gv 1,18), sempre nel Padre, sempre intento a dire solo quello che aveva udito dal Padre, a compiere solo quanto il Padre gli aveva detto di fare. Anche a noi chiede lo stesso: amare significa fare la volontà dell’Amato, senza mezze misure, con tutto il nostro essere: “Con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”.

            Perché l’amore non è un sentimento soltanto. “Perché mi chiamate Signore, Signore, e poi non fate ciò che vi dico?” (Lc 4,46), domanda Gesù a chi ama soltanto a parole.

“Amerai il Signore Dio tuo, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la tua mente” (Mt 22,37).

            Come vivere allora questo comando di Gesù? Intrattenendo senz’altro con Dio un rapporto filiale e di amicizia, ma soprattutto facendo quello che Lui vuole. Il nostro atteggiamento verso Dio, come quello di Gesù, sarà essere sempre rivolti verso il Padre, in ascolto di Lui, in obbedienza, per compiere la Sua opera, solo quella e non altro.

            Ci è chiesta , in questo, la più grande radicalità, perché a Dio non si può dare meno di tutto: tutto il cuore, tutta l’anima, tutta la mente. E ciò significa fare bene, per intero, quell’azione che lui ci chiede. Per vivere la Sua volontà ed uniformarsi ad essa, spesso occorrerà bruciare la nostra, sacrificando tutto ciò che abbiamo in cuore o nella mente, che non riguarda il presente. Può essere un’idea, un sentimento, un pensiero, un desiderio, un ricordo, una cosa, una persona… E così eccoci tutti lì in quanto ci viene domandato nell’attimo presente. Parlare, telefonare, ascoltare, aiutare, studiare, pregare, mangiare, dormire, vivere la Sua volontà senza divagare; fare azioni intere, pulite, perfette, con tutto il cuore, l’anima, la mente; avere come unico movente di ogni nostra azione l’amore, così da poter dire, in ogni momento della giornata: “Sì, mio Dio, in quest’attimo, in quest’azione t’ho amato con tutto il cuore, con tutta me stesa”. Solo così potremo dire che amiamo Dio, che contraccambiamo il Suo essere Amore nei nostri confronti.

“Amerai il Signore Dio tuo, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la tua mente” (Mt 22,37).

            Per vivere questa Parola di vita sarà utile, di tempo in tempo, analizzare noi stessi per vedere se Dio è veramente al primo posto nella nostra anima. E allora, per concludere, cosa dobbiamo fare in questo mese? Scegliere nuovamente Dio come unico ideale, come il tutto della nostra vita, rimettendolo al primo posto, vivendo con perfezione la Sua volontà nell’attimo presente. Dobbiamo potergli dire con sincerità: “Mio Dio e mio tutto”, “Ti amo”, Sono tutta Tua”, “Sei Dio, sei il mio Dio, il nostro Dio d’amore infinito!”.

 

 
 

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