N° 5 - Maggio 2011
Storie dei lettori

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  Il Rosso e il suo padrone
di Marisa Lisia


 
 

             Il padrone era, modestia a parte, il mio nonno ed io, sua indegna nipote, conservo ben vivo il suo ricordo nella mente, benché non abbia avuto il privilegio di conoscerlo personalmente, essendo morto piuttosto giovane.

            Tutto quello che so di lui mi è stato raccontato da un testimone oculare: mio zio. Devo riconoscerlo, il nonno è ancora oggi il mio idolo, non tanto perché fosse un uomo fortunato (possedeva un grande albergo in una città marittima), ma perché era un uomo di grande cuore e umanità.

            Per la cronaca, fra le altre cose, era un gran “gattarolo”, cioè amava moltissimo i gatti. Il suo preferito era il Rosso, un bellissimo gatto soriano dal pelo fulvo, da cui derivava il nome. Questo gatto era un vero campione, un leader. Aveva il compito di tenere a bada gli altri gatti, cioè di tenere dentro un recinto di sedie, escogitato dai bambini di allora per divertirsi, i gatti ribelli e pare che il Rosso eseguisse il proprio lavoro egregiamente.

            Ma un brutto giorno il nonno chiama il Rosso, cerca il Rosso, guarda in ogni dove, tutto inutile: il Rosso era sparito. Dopo due lunghi anni, in un mattino d’estate, avvenne l’imprevisto. Il nonno camminava in città, rasentando un caseggiato, quando improvvisamente si è sentito arrivare sulle spalle un gran peso: era il Rosso che si era lanciato dal balcone di una finestra fulmineo e sicuro di non sbagliare persona fra le tante che passavano di lì. Era visibilmente contento di aver ritrovato il suo amato e indimenticabile padrone e penso che anche il nonno abbia imparato, in quel momento, a fare le fusa come il suo gatto.

             Il nonno, però, non amava solo gli animali, ma, come ho detto all’inizio, aveva un cuore sensibile e attento alle necessità degli ultimi tra i suoi simili. Non vi era povero che non ricevesse da lui soccorso: periodicamente imbandiva tavole calde per coloro che non avevano da mangiare, servendoli lui stesso con i suoi camerieri con estremo rispetto.

            Quando morì prematuramente, questo fu il commento unanime della gente: “Quanto bene ha fatto quest’uomo per i bisognosi!”. Signore, accoglilo nel tuo regno, insieme a coloro che ha tanto amato. W il mio caro nonno!

                                                                                                                    

 
 

  VOLASTRA: LA MADONNA DELLA SALUTE
di Paola G. Vitale


 
 

            Il cimitero dove riposa l’amato don Lodovico Capellini è nascosto oltre una salita, a destra del paese, adagiato nel bosco, a cospetto del cielo (a cospetto del Cielo nostra vera patria). Il paese si raggiunge, ammirando il mare, i  folti boschi marittimi, il tenace lavoro di terrazzamento, vanto del forte popolo ligure, per l’ardua strada in salita che si inerpica tra le strette curve a gomito, ancora più ardue per le recenti frane di pietre e terra calate dalla ripida altezza dei boschi.

            La chiesa è bella, da poco restaurata e arricchita, come ci ha detto il vescovo emerito, Bassano, che ci ha accolti in questo pellegrinaggio quaresimale. Il vasto terrazzamento prospiciente la chiesa-santuario ha ospitato il rinfresco molto affollato.

            Nostra Signora della Salute, in questo giorno che ricorda la dipartita dell’amato Giovanni Paolo II ci doni salute vera alle nostre anime che sorreggeranno così i nostri corpi su questa terra.

            Buona Pasqua a tutti.

 

              Luni Mare, 2 aprile 2011                                                                            

 

 
 

  LA FESTA DELLA FAMIGLIA
di Ottavia


 

  RIFLESSIONE


            Ormai anche la Pasqua è passata e, colmi di nuova vita e di rinnovata speranza, affrontiamo la “Festa della Famiglia” in programma per il prossimo 8 maggio, al Santuario del Mirteto.

            Quando queste righe saranno lette, davvero mancheranno pochi giorni all’evento e per questo sento la necessità di “preparare un po’ il terreno” facendo una breve e forse banale riflessione sul tema: quello delle moderne tecnologie usate dalle giovanissime generazioni per comunicare tra loro e col mondo che ci circonda. Occupandomi, per ragioni di studio, di educazione-formazione ho imparato che l’uomo è un animale sociale e culturale. Cioè, come gli altri esseri viventi si sviluppa psicologicamente solo se vive in un ambiente condiviso dai suoi simili; in più l’aggettivo culturale sta ad indicare il bisogno dell’uomo di trasmettere quello che pensa, che sente, che prova, che impara.

            Vero è poi che quando noi comunichiamo non lo facciamo solo verbalmente. Anzi gli animali ci insegnano come ci siano dei canali comunicativi alternativi molto funzionali (pensiamo, ad es. all’olfatto per i cani). E anche se ormai gli uomini hanno trascurato le vie di comunicazione diverse dalla voce, ancora quando parliamo includiamo quattro livelli:

esplicito – la comunicazione verbale, appunto

implicito – che allude al coinvolgimento affettivo

subliminale – che sono gli atteggiamenti involontari: come muoviamo gli occhi, la gestualità…

motivazionale – che si riferisce al nostro bisogno di comunicare.

            Sicuramente comunicare attraverso mail, SMS, è comodo e veloce, ma quanta parte perdiamo di quello che riceviamo o di quello che vorremmo dire? Facciamo un esempio paragonando la freddezza di un “Buon compleanno” scritto con una tastiera e la gioia, l’allegria che trasmettiamo portando i nostri auguri di persona, magari accompagnandoli con un caloroso abbraccio. Forse è il caso di ammettere che anche noi adulti, sebbene meno esperti di comunicazione “virtuale”, dovremmo riscoprire il gusto di comunicare: un piacere che richiede tempo, ma che arricchisce noi e gli altri.

            Come diceva don Milani, l’uomo vive di Parola/parola, Parola di Dio e parole fra gli uomini. Per questo egli spese tutta la sua vita ad insegnare agli ultimi a parlare, a comunicare, perché solo questa capacità (di ascoltare e di farsi capire) ci fa diventare veri uomini.

            Il nostro secolo che è stato definito anche il secolo della comunicazione forse dovrebbe ripartire proprio da lì.

 

 

 GLI INCONTRI

 

            I due incontri che si svolgeranno durante la giornata dell’otto maggio saranno tenuti da due giovani professionisti dei quali riportiamo una sintetica biografia.

            La dott.ssa Alessandra Agnelli è docente di Laboratorio presso l’Università Cattolica di Piacenza. Svolge attività di formazione sui temi dell’affettività e dell’educazione familiare con particolare attenzione all’età preadolescenziale e giovanile. Ha scritto:"Essenze.attraversare la preadolescenza" (F.Angeli 2011).           

 Il dott. Fabio Gianotto è dottorando in pedagogia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza con una tesi sulla ricerca esistenziale nel lavoro educativo con adolescenti- Svolge attività di formazione sui temi dell’affettività, delle dipendenze e dell’educazione familiare. Come educatore si occupa di percorsi per adolescenti presso il Centro di prevenzione sociale di Reggio Emilia.

            Penso che queste poche informazioni bastino per capire che valga davvero la pena partecipare. Non capita tutti i giorni di poter sfruttare una consulenza così!

 

                                                                                                                     

 

 

  RIFLESSIONI SUL “MIO” PERIODO DI QUARESIMA (15.04.2001)
di Una affezionata lettrice


 
 


            Domenica prossima sarà la “Domenica delle Palme”: finisce così anche quest’anno il periodo di Quaresima. Non dobbiamo pensare di portare a casa nostra solo un rametto d’olivo benedetto, ma molto, molto di più; se no anche quest’anno questa Quaresima sarà stata inutile.

            Per me, quest’anno, è stato un po’ diverso: è stato un cammino bellissimo: non ho fatto digiuni o rinunce particolari, ma ho soprattutto meditato e riflettuto intensamente sui Vangeli di ogni domenica e su altre parti del Vangelo (per me ora non c’è più solo un sopramobile ma un tesoro gratuito dal quale posso apprendere sempre). Grazie a “Il Sentiero” so sempre  in anticipo i Vangeli delle domeniche del mese. Quindi, prima, l’azione di “ meditazione”, poi l’”ascolto” dell’omelia del parroco che, come dice Madre Teresa, sono le “persone più necessarie”, sono diventate per me, da un po’ di tempo, indispensabili, perché mi hanno fatto capire, ” finalmente”, che per credere veramente bisogna conoscere e mettere in pratica quello in cui si crede. Così facendo diventa per me tutto più facile, più chiaro, o meglio, più semplice; semplice com’è  il “nostro” Gesù che è nato in una mangiatoia ed è entrato la Domenica delle Palme in Gerusalemme su un umile asinello.

            Sto finalmente facendo quello che ci ha detto dall’inizio del suo meraviglioso pontificato il beato Giovanni Paolo II: “Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!”.

            Ogni Vangelo di queste domeniche di Quaresima, dove ciascuno di noi è protagonista di quello che succede, ci indica il “sasso” che dobbiamo togliere dalla strada che stiamo percorrendo (i nostri peccati) per poter veramente spalancare quella porta verso di Lui attraverso la nostra conversione, il nostro cambiamento, per arrivare (come dice Madre Teresa) a percorrere la rotta migliore, la via giusta.

            Il Vangelo della prima domenica ci ha proposto che alla “sfiducia in Dio” dobbiamo contrapporre la “scelta di Dio”. Nella seconda domenica, nel momento in cui Gesù viene trasfigurato, i tre discepoli sentono la voce di Dio: “Ascoltatelo”.  Quindi alla mancanza di dialogo con Dio dobbiamo contrapporre la preghiera, dobbiamo ascoltarLo, parlare con Lui col nostro cuore e così i nostri gesti verso noi e gli altri (verso noi perché per amare gli altri dobbiamo, prima, amare noi stessi) diventeranno naturali e rivolti al bene, attraverso un comportamento consono alla situazione. Nella terza domenica, invece, al “rifiuto degli altri” dobbiamo contrapporre l’”accoglienza” (siamo tutti sotto un cielo, il Suo). Gesù va come straniero tra i samaritani e, col suo dialogo umile e delicato con la donna, vuole aprire le nostre menti, il nostro cuore e ripulirci dai pregiudizi che ci limitano. Dice infatti Gesù alla samaritana di bere un’altra acqua: quella che sazia per sempre, la Sua. Nella quarta domenica diventiamo il cieco miracolato. Lui vuole aprirci gli occhi, vuole che vediamo veramente, perché chi vede non dipende da nessuno: cammina da solo, gli interessano solo i fatti concreti e si sente meravigliosamente libero e sicuro (anche se ha, come tutti, delle tribolazioni), e per libero non intende fare tutto ciò che ci pare, ma fare le cose belle, buone e giuste nel rispetto dell’altro con dignità e umiltà. Al cieco che vede per la prima volta tutto diventa gioioso e quindi assapora tutto con tanta forza e desiderio.

            Se noi ci togliamo gli orizzonti, non ci poniamo più la domanda indispensabile alla nostra esistenza, ossia, “Dove andiamo?”; ognuno di noi penserà solo a se stesso ed espanderà così solo egoismo e questo porta smarrimento, paura, insicurezza, perdiamo così la nostra meta, Dio, e la via giusta che ci conduce a Lui. Quindi alla “superficialità” dobbiamo sostituire la “fede vera” (‘sasso’ di questa quarta domenica). Nella quinta domenica di Quaresima Gesù ci dice che dobbiamo fare come Marta che ha creduto in Lui e ha così rivisto suo fratello, Lazzaro, vivo. Allo scoraggiamento (Madre Teresa dice che è la sconfitta peggiore) dobbiamo contrapporre la speranza (Gesù ci vuole fare rinascere e ci vuole ottimisti).

            Alla fine di queste mie riflessioni, con l’aiuto enorme delle omelie domenicali, mi sono posta di nuovo la domanda: “Ma io credo in quello che scrivo?”. La risposta è quella che ha dato Marta a Gesù: “Si, Signore: io credo…”. Ma non devo perdere la rotta e farTi quello che Ti hanno fatto dopo pochi giorni dalla Domenica delle Palme, ossia, prima Ti hanno accolto come un re e poi Ti hanno fatto mettere in croce.

            Quindi la Quaresima è conversione vera e questo porta dritti alla sensazione più piacevole: la “Pace Interiore”, e questa è una cosa sublime che dà il vero senso alla nostra Santa Pasqua e alla nostra vita. Avremo realizzato la nostra più grande soddisfazione: avere compiuto il nostro dovere di cristiani con la forza più grande, la nostra fede.

            Approfitto di questo spazio per fare gli auguri a tutte le mamme del mondo, ma soprattutto a Lei, la nostra Mamma celeste: Maria.

                                                                                                                     

 

 
 

  Auguri
di Sac. Giovanni Dalla Mora


 
 

Carissimi della Redazione,

la grande gioia pasquale ci sproni a continuare a vivere cristianamente con la speranza di goderla con Cristo Risorto. Per questo Dio ci ha creati e amati.

         Con i più cordiali auguri nel Signore a voi e ai vostri familiari, in unione di preghiere.

                 Trebaseleghe,  Pasqua 2011                           Sac. Giovanni Dalla Mora

 

P.S.) Fate sempre più bello il “Sentiero”, grazie, coraggio!

 

 
 

  IL SOLDATO E IL POETA
di Racconto di Paolo Coelho segnalatoci da Doretto Cervia


 
 
 

Nell’antica Roma, all’epoca dell’imperatore Tiberio, viveva un uomo di grande bontà che aveva due figli: uno era militare e, dopo essere entrato nell’esercito, era stato inviato nelle regioni più lontane dell’impero. L’altro figlio era poeta e incantava tutta Roma con i suoi magnifici versi.

            Una notte il vecchio fece un sogno: gli apparve un angelo annunciandogli che le parole di uno dei suoi figli sarebbero state conosciute e ripetute nel mondo intero per tutte le generazioni a venire. Quella notte il vecchio si svegliò piangendo, pieno di gratitudine perché la vita era generosa e gli aveva rivelato una cosa che ogni padre sarebbe stato orgoglioso di conoscere.

            Poco tempo dopo il vecchio morì nel tentativo di salvare un bambino che stava per essere schiacciato dalle ruote di un carro. Poiché si era comportato in maniera corretta e giusta per tutta la vita, salì direttamente in cielo, dove incontrò l’angelo che aveva sognato. “Sei stato un uomo buono, gli disse l’angelo; hai vissuto la tua vita con amore e sei morto con dignità. Adesso posso realizzare qualunque desiderio che tu abbia”. “Anche la vita è stata buona con me, rispose il vecchio; quando mi sei apparso in sogno ho avvertito che tutti i miei sforzi erano giustificati. Perché i versi di mio figlio rimarranno fra gli uomini per i secoli futuri. Non ho nulla da chiedere per me: ogni padre, tuttavia, sarebbe orgoglioso di vedere la fama di qualcuno di cui si è preso cura quando quello era bambino e che ha educato da giovane. Mi piacerebbe conoscere, nel lontano futuro, le parole di mio figlio”.

            L’angelo sfiorò la spalla del vecchio e tutti e due furono proiettati in un futuro lontano. Comparve intorno a loro un luogo immenso, gremito di migliaia di persone che parlavano una strana lingua. Il vecchio pianse di gioia. “Sapevo che i versi di mio figlio poeta erano belli e immortali, disse rivolto all’angelo fra le lacrime; vorrei che mi dicessi quale delle sue poesie queste persone stanno recitando”. L’angelo allora si avvicinò al vecchio con affetto; si sedettero entrambi su una panchina che si trovava in quel luogo immenso." I versi del tuo figliolo sono stati molto popolari a Roma, disse l’angelo, piacevano a tutti e tutti si divertivano. Ma quando il regno di Tiberio ebbe fine anche i suoi versi furono dimenticati. Queste parole sono quelle di tuo figlio che era entrato nell’esercito”. Il vecchio guardò l’angelo con sorpresa. “Tuo figlio è andato militare in un luogo distante ed è diventato centurione. Era anche un uomo giusto e buono. Un pomeriggio uno dei suoi servi cadde ammalato e stava morendo. Tuo figlio, allora, avendo sentito parlare di un Maestro che guariva i malati, camminò per giorni e giorni in cerca di quell’uomo. Strada facendo scoprì che l’uomo di cui andava in cerca era Figlio di Dio. Incontrò altre persone che erano state guarite da lui; apprese i suoi insegnamenti e, pur essendo un centurione romano, si convertì alla sua fede. Finché una mattina giunse al cospetto del Maestro. Gli raccontò del servo malato e il Maestro si offrì di accompagnarlo fino a casa. Ma il centurione era un uomo di fede e, guardandolo nel profondo degli occhi, capì di trovarsi al cospetto del Figlio di Dio.

            Queste sono le parole di tuo figlio. Sono le parole che lui pronunciò al Maestro in quel momento e che non furono mai  più dimenticate: Signore, io non sono degno che entri nella mia casa, ma dì soltanto una parola e il mio servo sarà salvo!”.

 

 
 

  LA FESTA PATRONALE ALL’ANNUNZIATA
di Enzo Mazzini


 
 

            Una bellissima Santa Messa è stata celebrata nella chiesa della Santissima Annunziata, in occasione della festa patronale, venerdì 25 marzo . Per solennizzare l’avvenimento era presente il nostro vescovo, mons. Francesco Moraglia, che ancora una volta ha voluto testimoniare il suo legame affettivo con la piccola ma impegnata comunità dell’Annunziata. C’erano, inoltre, il Sindaco, il Maresciallo dei Carabinieri, il comandante dei Vigili Urbani, ed alcuni Assessori.

            Visibilmente felice per la partecipazione di numerosi fedeli e della piena riuscita della festa, era il diacono Agostino che si dedica con tanto amore e totale impegno alla custodia e valorizzazione di questa chiesa che è stata recentemente abbellita con il rifacimento e la tinteggiatura di buona parte della navata unica e delle pareti.

            La cerimonia si è aperta con una processione di fedeli che hanno accolto il Vescovo all’ingresso del centro storico e lo hanno  accompagnato fino alla chiesa, mentre il coro intonava un bellissimo inno dedicato a Maria Santissima. Il Vescovo ha quindi dato inizio alla Santa Messa, animata da un coro improvvisato, ma non per questo di minor qualità, composto da fedeli arrivati anche dalle vicine parrocchie di San Giuseppe e di S. Maria Ausiliatrice e che ha eseguito la Messa “De Angelis”. Debbo dire che erano anni che non accompagnavo queste bellissime melodie gregoriane e non nascondo di aver provato una certa commozione, perché la mia memoria mi ha riportato agli anni della mia giovinezza quando accompagnavo questi canti gregoriani nella storica chiesa di San Martino. Con questo stato d’animo ho partecipato ad una Santa Messa veramente suggestiva.

            Il vescovo Francesco con la sua omelia, che ha saputo rapire gli animi per gli slanci d’amore verso la nostra Madre Celeste, ha creato ancora una volta momenti di intensa commozione. Siamo abituati a provare queste sensazioni durante le omelie del nostro Vescovo, ma in quella cerimonia traspariva un velo di tenerezza e di paterno trasporto. Forse inconsciamente c’era anche un sentimento di riconoscenza per l’opera svolta dal diacono Agostino. Anche il canto “Dolce sentire”, eseguito all’Offertorio e che si richiama alla devozione francescana, era molto intonato a quello stato d’animo.

            Tutta la Messa è stata molto partecipata ed è stata conclusa dal diacono Agostino che ha voluto ringraziare mons. Vescovo per l’attenzione che ha riservato a questa piccola ma viva Comunità.

            Quindi molti parrocchiani hanno accompagnato il Vescovo e le altre autorità nel salone “don Pesce” del Santuario della Madonna del Mirteto dove è stato consumato un simpatico pranzetto, preparato dai volontari dell’ANSPI, a conclusione di una giornata indimenticabile.

 

 
 

  L’ULTIMO SALUTO
di Rosanna Parodi


 
 


Cari amici,

 vi ringrazio di cuore del bene che sempre mi avete voluto. Oggi la mia identità è frantumata in mille patimenti. Ciò che resta di me più non mi appartiene. Lascio un libro bianco; a riempirlo sarà la nostra Madonna del Mirteto. Lei offrirà al Suo Signore la trama della mia vita. In grembo al Suo mistero, depongo il mio fardello. Ho paura dell’ignoto e ciò che viene da lì, che non conosciamo, non può che essere ignoto. Ma stendo ugualmente verso i monti le mie mani aperte. Verso Oriente. A Romano il compito di riempire l’ultima pagina.

Cari amici. Oscuro fratello dell’uomo, strazio d’innumerevoli esistenze, il dolore sembra ergersi a protagonista incontrastato nel teatro del mondo. In quel luogo che solo è umano, cioè nello spazio inafferrabile della coscienza, un desiderio illimitato e un male implacabile s’incrociano e generano quel dolore che esprimendosi nella parola insegna all’uomo il suo limite. E’ la parola allora che diventa il luogo in cui il dolore si fa umano. Nessuno, a cui sia impedito di portare a parole il dolore che lo affligge può reggere a lungo. Nessuno, a cui sia impedito manifestare dolore, può conservare la propria umanità. Staccarsi dagli altri, dal proprio desiderio, significa consegnarsi al male che tende a fare del dolore una gabbia, una cella d’isolamento.

Fra coscienza e desiderio, la domanda emerge forte: “Perché proprio a me?”. Da sempre le religioni hanno cercato una spiegazione; ma nessuno può trovare nel proprio dolore un principio di senso se non riconoscendo il proprio limite. “La rosa fiorisce perché fiorisce; essa è senza perché” - scrive il poeta. La rosa è l’ultima speranza dei nostri giorni: essa fiorisce dove l’uomo accetterà d’essere quello che è, e vuole essere quello che è.

Meno di un soffio è l’uomo. L’empio e il giusto allo stesso modo. Sono venuta al mondo come tutti. Quando sono nata ho detto si alla morte; è da allora che ho accettato di morire. Per tutti questi anni, la morte, l’ho solo esorcizzata.  Non occorre forse custodirla dentro di noi come fosse un segreto? Non è la morte il segreto della vita? Ho lottato strenuamente per otto lunghi anni. Avrei voluto che la morte restasse mia, il mio segreto più profondo, la parte più delicata di me stessa. Ho domandato inutilmente ai medici che mi restituissero il mio segreto. La voce che mi ordina di morire è inarrestabile e viene da lontano.

Abramo prese per mano Isacco e questi lo seguì per un lungo tratto senza ribellarsi, senza parlare. Poi domandò dove fosse l’agnello del sacrificio. Abramo rispose che quella era la strada che Dio gli aveva indicato.

Conta e racconta. Dice un vecchio adagio ortonovese: “quand’-i nash’n g’ièn tuti bei, kuand-i spos’n g’ièn tuti riki, quand’i mor’n g’ièn tuti braui”; ma forse non ci sono bravi a questo mondo. Non ci sono veri innocenti, neanche nei miti animali erbivori ed erranti: sfruttati e divorati dagli umani, succhiati e torturati dagli insetti, incalzati e sbranati dalle belve.

Ecco, questo ho compreso nel lungo calvario al seguito di Abramo: non ci sono innocenti a questo mondo. Siamo solo attori che recitano la parte che il sommo regista ci ha assegnato nel potente spettacolo della vita. Anche tu, come me, potrai contribuire con un verso. A Deus! Nè fiori nè canti: alla morte s’addice il silenzio.
 

  UN MONDO AL TRAMONTO
di Carlo Lorenzini


 

Tu mi chiedi memorie, mio caro Aldo. E, vedi, i ricordi, pur venendo essi da lontano, subito mi si affollano, qui, nitidi. Ed è dolce accoglierli; e mi fa piacere parlarne, specialmente con un nipote che oramai è grande e in grado di capire. Ma è anche doloroso. La dolcezza consiste nel fatto che la memoria ti riporta in un mondo che, lontano dalle noie, dalle passioni e dalle brutture del presente (tu ancora il telegiornale non lo guardi; ma, ti assicuro, c’è da inorridire), ti appare bello, sereno, pieno di naturale benessere, come un limpido cielo senza nuvole. Ma è anche doloroso, perché ricordi così lontani vivono sempre della presenza di persone, di luoghi e di atmosfere, che oramai non esistono più, oppure sono diversi da quello che erano. Per cui una memoria che rievoca, per uno che ama imparare, è sempre maestra di umiltà: con la memoria è sempre presente al nostro orgoglio, alla nostra superbia, la consapevolezza che le persone, le cose e anche i modi di vivere, si trasformano, invecchiano, o addirittura muoiono.

            Molti di quei volti, che con te hanno sorriso e pianto, che hanno guardato la luce, che ti hanno parlato, che tu hai guardato, a cui hai detto cose, ora non ci sono più o sono diversi.    Quei luoghi, cari alle tue consuetudini per la bellezza e l'amenità della natura, si sono trasformati, non sono più quelli di un tempo: non più ombre protettive, non più silenzioso raccoglimento, non più armonie di profumi e di colori, non più festa di voli e di cinguettii; ma assordante frastuono, ma frenetico e pericoloso andirivieni, ma fumo e puzzo malsani: perché questi, che erano campi ubertosi ed erano ombrose foreste, ora sono diventati agglomerati urbani, strade asfaltate, ferrovie, fabbriche, vita pazza e inutile di un uomo che non riconosce più e non ama più se stesso.

            La memoria, dunque, nel ricordare, nel rievocare le ‘usate forme’, ha ‘gli occhi incerti tra ’l sorriso e il pianto’. Ma spesso nel grembo della memoria c'è una creatura bella e sublime, che vive eterna. Ed è la Poesia.

Ma io sto divagando. E tu, invece, hai il compito di intervistarmi, perché vuoi sapere degli antichi mestieri, vuoi sapere cosa facevano gli uomini, come lavoravano, quali erano le attività più importanti, all’epoca in cui io ero un ragazzo (mettiamo il tempo delle mie scuole elementari). E quest’epoca noi la collochiamo nei primi anni dell’ultimo dopoguerra. Intanto la tua insegnante, formulandovi il tema della ricerca, non ha pensato ad una cosa. Che non lavoravano solo gli uomini, allora; ma anche gli animali: cavalli, asini, muli, mucche, buoi... Anche questi animali avevano un loro ‘mestiere’. E anche più di uno... Erano attivi nelle vendemmie, nella raccolta delle olive, nella mietitura del grano, nell’aratura dei campi, nei disboscamenti; e in tutte quelle attività in cui l’uomo aveva bisogno di trasportare o di spostare cose.

            Oh, la poesia, per noi ragazzi, dei carri, che andavano e venivano dal paese, un po’ in tutte le stagioni, ma specialmente durante le vendemmie! La musica dolce dello stridìo delle loro ruote sul ghiaino delle strade, che ancora non erano asfaltate: anche il Leopardi parla dello stridìo del carri, te lo ricordi?, nella ‘Quiete dopo la tempesta’ (l’avrai letta, spero! oramai sei alla fine del tuo ginnasio), quando dice: il carro stride/ del passeggier che il suo cammin ripiglia.

            Ma presto i carri smisero di stridere, perché smisero di viaggiare; e smisero di viaggiare, perché smisero di esistere, e smisero di esistere, perché gli animali che li trainavano andarono in pensione, sostituiti dalla forza e dalla velocità delle macchine...Scomparve, infatti,  il mestiere del carrettiere...

E io li ricordo i carrettieri sul loro carro; avevano il compito di girare di paese in paese, trasportando di tutto. E in quel nostro piccolo mondo antico essi, con il loro cavallo e il loro barroccio, avevano la funzione che hanno i camionisti oggi, in questo grande mondo moderno, con i loro mastodontici ‘tir’.

E con gli animali scomparvero anche altre attività connesse all’esistenza e al lavoro di questi nostri compagni e collaboratori. Mestieri che allora c’erano e oggi non ci sono più.

                                                                                               

 
 

  Ricordo di una persona amata
di I suoi cari


 
 

UN  GRAZIE ED UN ARRIVERVEDERCI  AD UN GRANDE PAPA’ E NONNO

 

GRAZIE PAPA'  GRAZIE NONNO

 

PER AVERCI  AMATO COME CI HAI AMATO

 

PER LA STUPENDA FAMIGLIA CHE HAI SAPUTO CREARE

 

PER LA COERENZA DIMOSTRATA TRA IL TUO DIRE ED IL TUO FARE

 

PER IL TUO MUOVERTI SILENZIOSO SENZA MAI VOLER APPARIRE

 

PER IL TUO SENSO DI ONESTA' E DI LEALTA' VERSO TUTTI

 

PER LA TUA MITEZZA E CORDIALITA'

 

PER IL TUO OSTINATO BISOGNO DI CONOSCENZA E DI  SAPERE 

 

PER I  TUOI SORRISI E LE TUE CAREZZE

 

PER IL MODO GALANTE E GENTILE DI RAPPORTARTI CON IL TUO PROSSIMO

 

GRAZIE PAPA', GRAZIE NONNO,

 

LA TUA FINE E' IL TUO INIZIO, TI PORTEREMO SEMPRE

 

NEI NOSTRI CUORI.

 

 

 

 

15 APRILE 2011
 
 
 

  Diario di un parrocchiano di Casano S.Giuseppe
di Giuseppe Franciosi


 
 

Venerdì 1.4.2011.

Oggi, venerdì di Quaresima sono in chiesa per partecipare alla Via Crucis; sono un po’ in ritardo perché in casa mia c’erano degli operai a lavorare e ho dovuto aspettare che finisse il loro turno di lavoro. Quando sono entrato in chiesa la processione aveva già percorso tutte le stazioni del lato tabernacolo e ho dovuto farmi strada per entrare. Sono rimasto sorpreso per la situazione che ho trovato in chiesa. Nulla da dire per le donne: sono sempre tante, ma qualcosa devo dire invece per i fedeli di sesso maschile: ci sono due uomini maturi e un ragazzino. Il “ragazzino” credo che sia un fatto sorprendente. Non ricordo da quanti anni partecipo alla Via Crucis nella nostra chiesa, ma credo che la presenza di un ragazzino sia una novità assoluta verificatasi quest’anno per la prima volta.


17.4.2011: Domenica delle Palme.

Negli anni passati la domenica delle Palme si svolgeva davanti alla chiesa; si pregava, si ascoltava il parroco che al termine impartiva la benedizione, poi si entrava in chiesa; l’anno scorso si è fatto il raduno in piazza XXIX novembre; di lì, in processione, ci siamo mossi verso la nostra chiesa e siamo entrati. Quest’anno invece c’è stata una grossa novità: alle ore 10, raduno a San Martino e benedizione di palme e ulivi. Credevamo che tutto si facesse all’aperto, invece ci è stato comunicato che dovevamo entrare in chiesa per la benedizione; subito dopo siamo partiti, in processione, per la chiesa di San Giuseppe. Arrivati, sarebbe iniziata la Santa Messa. E’ andato tutto bene anche grazie alla splendida giornata di sole che la Provvidenza ci ha regalato. Per la prima volta ho potuto vedere ed apprezzare il personale che presta servizio nella caserma dei Carabinieri e che ci ha accompagnati e protetti durante tutta la processione. Tanta gente a San Martino, tanta gente alla processione e poi alla Santa Messa, a San Giuseppe. La novità di quest’anno è andata benissimo e quindi le novità introdotte da padre Onildo hanno avuto un ottimo riscontro.


Mercoledì, 20.4.2011.

            Questa è la Settimana Santa , la settimana più importante, la settimana del Venerdì Santo, la settimana del dolore, ma è anche la settimana della Resurrezione, della gioia; per me però è stata anche una settimana particolare, una settimana di funerali. Oggi ho accompagnato al cimitero la moglie di Romano, uno dei più importanti collaboratori del “Sentiero”; Romano, lo storico: uno che ama rovistare nelle biblioteche e riesce a trovare notizie che io leggo sempre con grande interesse.

            Lunedì scorso, a Caffaggiola, ho partecipato ad un altro funerale, al funerale di un amico col quale ho vissuto tante giornate indimenticabili. Quando domenica con Enzo sono andato a fare una visita nella sua abitazione, le figlie hanno detto: “Ecco gli amiconi di papà”, ed è la verità. Quante giornate trascorse insieme! Quando facevamo le “Feste dell’Amicizia”, i muscoli che offrivamo andava lui a prenderli a La Spezia; conosceva i posti; portava sempre muscoli speciali che le nostre donne preparavano magnificamente.


Giovedì, 21.4.2011.

            Oggi è il giovedì santo, il giorno dell’Eucaristia, il giorno della Messa “In coena Domini”. Come sempre, anche quest’anno c’è tanta gente: le panche sono tutte occupate. Davanti, nelle prime file ci sono chierichetti e chierichette in attesa dell’ormai tradizionale “lavanda dei piedi”. Enzo è presso l’altare, si dà molto da fare perché tutto proceda nel migliore dei modi; gestisce lui il turibolo dell’incenso. Anche quest’anno, terminata la Santa Messa tutti, processionalmente, ci trasferiamo nel salone che, per oggi e domani, accoglie il Santissimo Sacramento.


Venerdì, 22.4.2011.

            Oggi è la giornata della Via Crucis. Io mi sono dato da fare per preparare l’illuminazione; già ieri ho sistemato le luci del terrazzo di sopra; questa sera preparerò i lumini. Ho apprezzato molto la nostra processione: tanta gente, tanti flambeaux; tanta protezione da parte della forza pubblica; io ho seguito anche la processione del Papa al colosseo.


Domenica, 24.4.2011.

            Oggi è Pasqua ed oggi la nostra chiesa è veramente piena, strapiena; i “pasqualini” ci sono tutti, ma io, previdente, sono entrato in chiesa con notevole anticipo e quindi una sedia me la sono trovata. Ho visto tante facce che conosco poco. Magnifica la Lucia: col suo coro ormai non è più una (sia pur gradita) sorpresa: complimenti e buon proseguimento.

 

                                     

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