N° 8 - Ottobre 2010
Spiritualità

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  8 SIMBOLI E SEGNI CRISTIANI
di a cura di Ratti Antonio


      

 L I T U R G I A

 

   

Definizione: L’insieme delle azioni di culto della Chiesa, soprattutto, di quelle aventi un carattere comunitario e pubblico. In altri termini, sta ad indicare la celebrazione di una serie di riti sacri, cioè un servizio pubblico di lode a Dio.

Il vocabolo Leiturghia  (= servizio pubblico ) è stato impiegato nella versione greca della Bibbia dei 70 per tradurre l’ebraico ovodà nel significato del culto prestato a Dio dai sacerdoti e dai leviti del Tempio (ovviamente di Gerusalemme).

 Il termine, dunque, non indicava una qualsiasi forma di culto, bensì, in modo specifico, la forma levitica, cioè sacerdotale e templare ( = del tempio ).

Nel Nuovo Testamento il vocabolo “liturgia” è citato poche volte  ( 15 ) e solo in un caso per indicare un atto di culto della comunità cristiana: “..mentre essi stavano celebrando il culto  al Signore [facevano liturgia] e digiunando, lo Spirito Santo disse…” ( At 13,2 ) Un’ipotesi plausibile dello scarso impiego di questo sostantivo è da ricercarsi in possibili richiami non voluti e non desiderati, quindi poco adatto ad esprimere il modo assolutamente nuovo e diverso d’intendere il culto a Dio.

Solo a partire dal ‘900 il termine “liturgia” entra nei documenti ecclesiastici per definire il culto della Chiesa. E’ stata la Costituzione del Concilio Vaticano II  Sacrosanctum concilium” sulla “sacra liturgia” a, per così dire, “canonizzare” il significato.

Nella Chiesa orientale la celebrazione eucaristica è indicata come “divina liturgia”, evidenziando la sintonia con il magistero della Chiesa di Roma.

Sebbene il Nuovo Testamento non dia molto spazio al termine “liturgia”, è ovvio che la comunità cristiana fin dai suoi primi passi abbia addottato pratiche che rientrano nell’ambito delle azioni cultuali.

Un esempio tipico è il radunarsi della comunità la domenica (giorno del Signore) per celebrare la “frazione del pane”, ovvero l’eucarestia, da intendersi come il reale “farsi presente” del Risorto, accompagnandola con formule di “professione di fede” e con l’insegnamento operato dagli Apostoli e, poi, dai loro successori (liturgia della parola). Nel corso del tempo si verifica un ampio sviluppo  e codificazione delle forme, dei testi, dei luoghi di culto, ma sempre incentrando l’attenzione sugli eventi salvifici operati da Cristo nella sua Pasqua di morte e di risurrezione.

 L’anno liturgico si viene formando intorno al nucleo della domenica e della Pasqua. Nel corso dei secoli si sono delineati e strutturati i vari riti liturgici che hanno al centro, sempre e comunque, la “mensa eucaristica”. Il Concilio Vaticano II ha posto mano all’ultima e significativa riforma del complesso liturgico, riproponendo l’intendimento teologico della liturgia e restituendo alla comunità l’opportunità di partecipare attivamente, cioè in modo sostanziale e non formale (= spettatrice), alle celebrazioni liturgiche. La sintesi dottrinale sulla liturgia formulata dal Concilio Vaticano II può essere così riassunta: “ l’opera della salvezza, realizzatasi nella storia con eventi e parole, ha raggiunto la sua pienezza nell’evento decisivo e irripetibile costituito dalla passione, morte e risurrezione di Cristo, pertanto la celebrazione liturgica rappresenta il momento in cui l’evento è reso presente, ne viene documentata l’energia salvifica e la comunità, che vi partecipa, ne ha realmente parte.”  Il soggetto totalizzante della celebrazione è l’assemblea nella sua unità, pur nella diversità dei compiti e dei servizi. Nell’ottica del recupero di questa partecipazione attiva, il Concilio Vaticano II ha formulato una radicale riforma della liturgia. L’elemento visivamente più palese è il ritorno all’altare che ricorda la semplice tavola dell’ultima cena con il celebrante rivolto verso l’assemblea, quasi a volerla coinvolgere in modo pieno, mentre ciò che ha avuto maggior impatto è stata l’introduzione delle lingue nazionali; il che non esclude il latino come lingua ufficiale e unificante della Chiesa. Il valore di questa rivoluzione sta nel rendere la liturgia più aderente alla vita, alla cultura e ai tempi, quindi più capace di “prendere in sé tutto l’uomo” nel suo percorso di salvezza.

Conclusione: attraverso simboli, segni e gesti specifici che hanno il compito di aiutare i cristiani a volgere lo sguardo verso Dio e a cogliere appieno il significato dell’opera di salvezza posta in essere da Gesù, la liturgia è la preghiera della Chiesa intesa come comunità orante.

 

 

 

  Una lettera al Sentiero
di Padre Paolo della Trinità


 

 

Carissimi amici,

da parecchi mesi stiamo camminando insieme, uniti nel sostenere con la preghiera e i piccoli sacrifici di ogni giorno il Santo Padre Benedetto XVI, Pastore che il Signore ha scelto come guida della Santa Chiesa.
Vengo a voi anzitutto per confermarvi il mio impegno
Ci può essere sempre il rischio di accogliere con entusiasmo una proposta, una bella iniziativa come questa, diffonderla tra amici, essere fedeli e generosi all’impegno preso, e poi, col passare del tempo affievolirsi, sedersi un po’, venire un po’ meno con la grinta e l’entusiasmo iniziali. Se tutto questo può avvenire, il Signore ci dà comunque la grazia di rinnovarci, di riprendere il cammino, di irrobustirci.. Ecco il motivo di questa lettera: invitarvi a riprendere il cammino. Rinnoviamo l’entusiasmo. Rinvigoriamo il nostro impegno perché sempre di nuovo possa portare i suoi abbondanti frutti. E quanto ai frutti vi assicuro che li ha portati e li continua a portare. 
Il motivo infatti che mi ha spinto a scrivervi non è la constatazione di poco entusiasmo, di meno fervore.. tutt’altro! Con grande gioia e riconoscenza al Signore ho potuto vedere come questa iniziativa è opera di Dio: sia per la continua richiesta da parte di anime generose di inserirsi nella catena di preghiera, sia per l’impegno serio e costante di queste anime.
Sicuramente tutte le preghiere e i piccoli sacrifici – se si dovesse scrivere un libro per elencarli tutti – da quando questa iniziativa per il Papa è nata sono tante e tanti. Non è importante il numero, è vero. Ma proprio perché sono stati offerti col cuore, col cuore cioè appassionato verso il Papa e la Chiesa, ecco allora che questo libro ha un grande valore.
Vi elenco alcuni pro-memoria che è bene ricordarci perché l’impegno non venga meno e la nostra unione – che è quella che fa la forza – sia sempre più consistente, così da ottenere da Dio sostegno per il nostro amato Papa Benedetto.

       Ogni giorno dedicate il vostro momento di preghiera per il Papa (la S. Messa o il S. Rosario o anche solo un’Ave Maria per lui) e offrite un piccolo gesto concreto, un sacrificio (saltare un caffè o un dolce o andare a trovare una persona che ci costa incontrare o perdonare un’offesa oppure offrire semplicemente il nostro lavoro)

 

       Leggete i discorsi, le omelie, gli interventi del S. Padre (si trovano facilissimamente!)

 

       Coinvolgete amici, parenti.. a partecipare a questa importante missione

 

A proposito di questo ultimo punto vorrei farvi una proposta che desidererei fosse l’impegno che tutti manteniamo: invitare UNA PERSONA alla nostra iniziativa. Se infatti OGNUNO di noi coinvolgesse solo un amico/a saremmo ben in 200!!! Ora infatti contiamo 100 partecipanti!!! Questo non lo dico per manie di grandezza, per diventare una potenza.. ma unicamente perché dobbiamo conquistare tanti e tanti cuori e invogliarli a pregare e a offrire per il Papa: qui sta il segreto di questo nostro tempo! Stiamo assistendo ad  attacchi, a volte a vero odio nei confronti del “Dolce Cristo in terra” e noi rimaniamo indifferenti?
Se il diavolo getta zizzania anche all’interno della Chiesa verso il Santo Padre, il diavolo stesso deve ottenere l’effetto contrario: tanti cuori che si attacchino e leghino al Papa. Questo effetto contrario sta avvenendo ed è opera di Dio. Ringraziamolo e lavoriamo!!!
Vi manifesto un ultimo desiderio, che se è opera di Dio si realizzerà sicuramente. Se si aggiungeranno altre anime a noi, se ad esempio ognuno riuscirà a coinvolgerne una per essere il doppio, si potrebbe organizzare un momento di incontro a Roma per partecipare alla preghiera dell’Angelus in Piazza S. Pietro nella primavera del 2011. Non mi sembra una cosa irrealizzabile. Già alcuni mi hanno espresso la loro adesione.
Vi lascio assicurandovi – come vi ho promesso – di portarvi ogni giorno sull’Altare del Signore nel momento della S. Messa. I vostri nomi sono tutti scritti e portati lì. Ogni tanto li rileggo, li bisbiglio al Signore, affinchè non vi perda d’occhi, ascolti le vostre richieste, vi ricolmi della sua Grazia e vi ricordi la missione che state svolgendo. Da parte Sua vi ringrazio e vi dono la Sua abbondante, feconda e potente Benedizione insieme a quella della Vergine Maria, sotto la cui protezione tutti siamo.

Con affetto e riconoscenza.

 

 

  Movimenti ecclesiali
di Liborio


 
 

movimenti ecclesiali

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La Spezia,10 agosto 2010

Carissimo Padre Carlos

Con la chiusura del triduo di San Lorenzo nel quale hai dato modo di

presentare i movimenti che nell’ordine sono stati il movimento dei Focolari,

Comunione e liberazione e I Catecumeni. Desidero esprimerti il mio personale

ringraziamento e riconoscenza per questo evento da te voluto ma decisamente

nuovo, illuminato e ispirato dallo Spirito Santo.

L’unico evento che ricordo è avvenuto a Roma il 30 maggio 1998 - vigilia di

Pentecoste – quando il Papa Giovanni Paolo II per la prima volta ha convocato i

Movimenti ecclesiali e le nuove Comunità, in piazza San Pietro. E' stato un

avvenimento definito da molti "storico".

Anche se il camminino di queste diverse realtà ecclesiali è ancora lungo,

perché possano sentirsi una cosa sola in cristo Gesù, il cammino è iniziato e lo

Spirito Santo lo porterà avanti secondo il Suo disegno.

Abbiamo dato tutti la nostra testimonianza con modalità e forme diverse ma

in tutti è stato chiaro volersi identificare in Cristo Gesù e nella Sua presenza nella

chiesa.

Ti allego alcune note sugli eventi di cui ti ho fatto cenno.

Un carissimo GRAZIE e a presto

movimenti ecclesiali

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Il 30 maggio 1998 - vigilia di Pentecoste - il Papa Giovanni Paolo II per la prima

volta convoca i Movimenti ecclesiali e le nuove Comunità, in piazza San Pietro.

E' un avvenimento definito da molti "storico".

L'afflusso supera le aspettative: oltre 280.000 persone di più di 50 movimenti e

nuove comunità da tutto il mondo. Molti i giovani.

Di grande rilievo l’intervento dell'allora Card. J. Ratzinger, che aveva

presentato un importante studio teologico sui Movimenti nella Chiesa: "La

collocazione teologica dei Movimenti ecclesiali e nuove comunità". Vi aveva

riconosciuto l’azione dello Spirito Santo che incessantemente suscita la novità del

cristianesimo, ed aveva evidenziato il loro particolare legame con il ministero

universale del Papa, essendo i movimenti e nuove comunità chiamati "a portare il

Vangelo sino ai confini della terra".

Tra i Fondatori e i responsabili presenti, Chiara Lubich, Kiko Arguello, Jean

Vanier e Mons. Luigi Giussani, sono stati invitati ad intervenire per presentare i

loro carismi.

"Il Santo Padre Giovanni Paolo II nel suo discorso ha indicato che il posto

delle nuove realtà ecclesiali è nella chiesa" definendo i Movimenti e Comunità

come 'significative espressioni del suo aspetto carismatico, anche se non le uniche'.

Ha menzionato inoltre le nuove consacrazioni a Dio presenti nei Movimenti,

vocazioni che, prima, non erano venute in evidenza. E non solo: quante altre

vocazioni, per così dire tradizionali, fioriscono ancora dai Movimenti!

Il Papa ha iniziato la giornata con la preghiera allo Spirito Santo:

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"Oggi, da questo cenacolo di

piazza SanPietro, s'innalza una

grande preghiera:

Vieni Spirito Santo, vieni e rinnova la

faccia della terra. Vieni con i tuoi sette

doni! Vieni Spirito di vita, Spirito di

verità, Spirito di comunione e di amore!

La Chiesa e il mondo hanno bisogno di

Te. Vieni Spirito Santo e rendi sempre

più fecondi i carismi che hai elargito".

Chiara disse: "Dopo questa invocazione noi non eravamo più quelli di prima: ogni

indifferenza reciproca era sparita, ogni prevenzione svanita, ogni resistenza sciolta.

Era nato fra noi tutti l'amore, l'abbraccio reciproco in Gesù".

Le testimonianze di Chiara Lubich, e Jesús Carrascosa

E’ attraverso lo Spirito Santo che la storia degli uomini viene plasmata, ed è esso

ad alimentare l’eroismo fino al sacrificio dei cristiani e il programma di vita della

Chiesa.

Monsignor Luigi Giussani nel 1998. scrisse

“Gli uomini del nostro tempo aspettano di incontrare persone per le quali Cristo è

un fatto presente che le cambia, così che tutta la realtà nemica si scopre amica, ed

ogni circostanza è buona ….”

“Come duemila anni fa, anche oggi, lo Spirito del Signore si comunica nel mondo

attraverso persone, le sceglie e le afferra per dilatare la presenza di Cristo nel

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tempo e nello spazio. Sono persone la cui testimonianza risulta più pervasiva, più

pedagogica, più convincente, così l’attuarsi del battesimo si incarna nel

temperamento e nella storia di chi è raggiunto dallo Spirito Santo”, Secondo

Carrascosa “queste poche righe affermano la certezza di essere stati afferrati

personalmente e singolarmente da Cristo e di essere convocati in una compagine

unitaria, in una compagnia costituita dallo Spirito e portatrice di salvezza per

l’umanità intera”.

Intervento di Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari.

La Lubich ha spiegato che “quando Dio prende in mano una creatura, per far

sorgere nella Chiesa qualche sua opera, la persona non sa quello che dovrà fare. E'

uno strumento. E questo, penso, può essere il caso mio”.

Fin dall’inizio e durante i 60 anni del Movimento dei Focolari, ha raccontato la

Lubich “non avevo un programma, non sapevo nulla. L'idea dell'Opera era in Dio,

il progetto in Cielo”.

La Lubich ha quindi raccontato di essere stata a volte tormentata da una domanda

durante la Seconda Guerra Mondiale: "Ma ci sarà un ideale che non muore, che

nessuna bomba può far crollare, a cui dare tutte noi stesse?", affermando di aver

trovato in seguito una risposta: "Sì, Dio”.

Da allora il Movimento dei Focolari si sviluppò “sotto l’impulso dello Spirito

Santo”, ha sostenuto la Lubich, e secondo “un preciso disegno di Dio da noi

sempre ignorato, ma che si svela di tempo in tempo”.

“Ma chi ha provocato l'espansione mondiale del Movimento?”, ha chiesto infine la

fondatrice dei Focolari. “Cristo presente nei suoi membri, per l'unità fra loro e per

l’Eucaristia. E con Lui, Maria, considerata da sempre madre, maestra, modello,

condottiera nostra”.

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Piazza San Pietro, 30 maggio 1998 - Vigilia di Pentecoste

Intervento di Chiara Lubich all'incontro del Santo Padre Giovanni Paolo II

con i Movimenti ecclesiali

Intervento di Chiara Lubich

Dovrei esporle, Beatissimo Padre, una mia testimonianza sul Movimento dei

Focolari o Opera di Maria.

Ma giacché lei conosce molto bene, da decenni, questa realtà ecclesiale, permetta

che la consideri dal suo cuore, che la veda con i suoi occhi.

Lei ha individuato nell'amore la "scintilla ispiratrice" di tutto quello che si fa

sotto il nome del Focolare. Ed è proprio così, Santo Padre. E' quella la forza del

nostro Movimento. Essere amore e diffonderlo è lo scopo generale dell'Opera di

Maria. Un'invasione d'amore, infatti, essa è chiamata a portare nel mondo.

Anzi lei, Santità, ha affermato di individuare qui, ricordando altri Movimenti

spirituali della storia, un "radicalismo dell'amore".

E come non può essere così se lo sguardo di tutti coloro che fanno parte del

Movimento è sempre puntato, come a modello, su Gesù crocifisso nel suo grido

d'abbandono? L'amore più radicale è proprio lì, dove è il culmine del suo patire.

E' in Lui - che abbandonato dal Padre si riabbandona al Padre, che sentendosi

disunito dal Padre con Lui si riunisce - il nostro segreto per ricomporre in unità

ogni divisione, ogni separazione, dovunque.

In un'altra circostanza mi sono permessa di chiederle, Santo Padre, come vede il

nostro Movimento, quale la sua finalità. E lei mi ha risposto senza esitazione

(sottolineando il nostro scopo specifico "ut omnes unum sint"): "Ecumenico",

dando a questo aggettivo il senso più vasto.

Ed è così. Per poter raggiungere il nostro scopo: "Che tutti siano uno", tipici per

noi sono i 4 dialoghi: quello all'interno della nostra Chiesa fra singoli, fra gruppi,

Movimenti, ecc., dialogo questo che rafforza pure l'unità dei fedeli con i Pastori e

fra di loro.

Poi il dialogo con cristiani non cattolici, che vuol concorrere alla piena

comunione fra le varie Chiese.

Il dialogo interreligioso, che intreccia rapporti con i fedeli delle varie religioni.

E, infine, quello con uomini senza un preciso riferimento religioso, ma di buona

volontà.

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Nessuno poi, Santo Padre, potrà toglierci dal cuore la sua visione del nostro

Movimento espressaci in quella memorabile visita al nostro Centro di Rocca di

Papa dell'agosto 1984.

Dopo che i membri del Consiglio dell'Opera avevano presentato il loro servizio

specifico alle sue 17 diramazioni, che raccolgono ogni specie di vocazione laica e

religiosa; dopo aver descritto i vari aspetti di quest'Opera (spirituale, apostolico,

culturale e altri) ed aver parlato delle quattro segreterie per i dialoghi, lei ha

affermato che in questo Movimento scorgeva la fisionomia della Chiesa postconciliare:

"Voi - ha detto - intendete seguire autenticamente quella visione della

Chiesa, quella autodefinizione che la Chiesa ha dato di se stessa nel Concilio

Vaticano II".

E la nostra gioia è stata immensa.

Più volte ancora, venendo a conoscenza della consistenza e della diffusione

mondiale di questo Movimento, lei ha esclamato: "Siete un popolo!"

Sì, Santo Padre, siamo un popolo, un piccolo popolo, parte del grande popolo di

Dio.

E quando, specie i nostri giovani, hanno comunicato a lei il loro desiderio di

concorrere a far dell'umanità una sola famiglia, anzi di sognare e lavorare per un

mondo unito, lei li ha sempre compresi e sostenuti in questo ideale, che a molti

sembrava utopico.

Più volte, ancora, ci ha parlato di Maria.

Una, indimenticabile, è stata quando volle spiegare a me il "principio mariano"

della Chiesa, in rapporto a quello petrino. "Principio mariano" di cui anche il

nostro Movimento poteva essere un'espressione. Lei certamente non sapeva, quel

giorno, che nei nostri Statuti è scritto che l'Opera di Maria "desidera essere una

presenza di Maria sulla terra e quasi una sua continuazione."

Grazie, Santo Padre, di tutte le conferme che ci ha dato nel tempo.

E, per concludere, una promessa.

Sappiamo che la Chiesa desidera la comunione piena fra i Movimenti, la loro unità

che, del resto, è già iniziata.

Ma noi vogliamo assicurarle, Santità, che, essendo il nostro specifico carisma

l'unità, ci impegneremo con tutte le nostre forze a contribuire a realizzarla

pienamente.

Che Maria, da lei tanto amata, la ricompensi adeguatamente di tutto quello che

ha fatto per i Movimenti: è uno dei capolavori del suo Pontificato.

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STOCCARDA,

domenica 9 maggio 2004

Intervento di Chiara Lubich

Nonostante le guerre e il terrorismo, l’unità “è un segno dei tempi”, ha affermato

Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, durante l’inaugurazione del

primo congresso di movimenti cristiani della storia.

In questo contesto, i discepoli di Cristo sono chiamati a dare insieme una

“testimonianza cristiana al mondo”, ha affermato all’apertura dell’incontro

“Insieme per condividere le ricchezze spirituali”, che ha riunito tra il 6 e il 7

maggio nella città tedesca di Stoccarda duemila responsabili di movimenti e

comunità cristiani.

Il congresso è servito per preparare la Giornata “Insieme per l’Europa”, che sabato

8 maggio ha riunito a Stoccarda diecimila persone, in rappresentanza di almeno

175 movimenti, comunità e gruppi cristiani – cattolici, ortodossi, evangelici e

anglicani.

All’appuntamento di sabato hanno partecipato anche 25 vescovi cattolici, 14

vescovi evangelici, 8 ortodossi, 2 anglicani e 30 parlamentari di 10 Paesi europei.

Altre centomila persone si sono collegate via satellite da almeno 151 città europee.

“Anche se nel nostro pianeta continuano ad esistere la guerra, la violenza, le

tensioni e il terrorismo, non possiamo non affermare che si va verso l’unità. E’ un

segno dei tempi”, ha affermato Chiara Lubich nel suo intervento.

“Nel mondo spirituale e religioso ciò è manifestato dallo slancio delle Chiese verso

la piena e visibile unità, dopo secoli di indifferenza e di lotte”, ha aggiunto.

Nel mondo politico, lo manifestano i movimenti di integrazione in Europa, Africa

e America Latina, così come vanno sottolineati i tentativi di configurazione di una

comunità di Nazioni intorno all’ONU.

Accade lo stesso tra i movimenti”, ha sottolineato Chiara Lubich. “Anche questi

sono chiamati alla comunione”, ha affermato ricordando l’incontro convocato da

Giovanni Paolo II in occasione della Pentecoste del 1998, che ha portato ad una più

intensa collaborazione e apertura tra loro.

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Chiara Lubich ha spiegato che questo slancio verso l’unità sperimentato da ogni

essere umano trova pieno senso quando si basa sull’amore per Cristo.

“Sono sicura del fatto che, se Cristo è tra noi perché ci amiamo, la nostra

testimonianza cristiana comune al mondo, e soprattutto all’Europa, risplenderà con

una bellezza particolare, con un grande fascino, con una nuova forza e potenza”, ha

affermato.

“In questo modo, si collaborerà anche per formare un mondo civile migliore: una

città terrena che sia in una maggior armonia con la città celeste”, ha concluso la

fondatrice dei Focolarini.

Il Presidente della Comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo, ha spiegato nel

suo intervento che i Cristiani “non sono condannati alla rassegnazione nei

confronti del male, della violenza, della guerra: non devono limitarsi a lamentarsi

per i conflitti e a lanciare appelli”.

“Possono costruire la pace della carità, che tutto comprende, che tutto perdona e

tutto spera. Bisogna essere più coraggiosi nella carità, sapendo che ciò che si vive

in carità non viene mai perduto”, ha affermato, lanciando in particolare un appello

all’autentica solidarietà con l’Africa.

Il congresso preparatorio della Giornata dell’8 maggio si è concluso venerdì sera

con una preghiera ecumenica alla quale hanno partecipato 53 vescovi di 6 chiese e

comunità cristiane.
 

  Parola di vita
di Chiara Lubich


 
 

“Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette” (Mt 18, 22).

         Gesù con queste sue parole risponde a Pietro che, dopo aver ascoltato cose meravigliose dalla sua bocca, gli ha posto questa domanda: “Signore, quante volte dovrò perdonare a mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?”. E Gesù: “Non ti dico fino a sette, ma a settanta volte sette”.

         Pietro, probabilmente, sotto l’influenza della predicazione del Maestro, aveva pensato di lanciarsi, buono e generoso com’era, nella sua nuova linea, facendo qualcosa di eccezionale: arrivando a perdonare fino a sette volte… Ma Gesù rispondendo “…fino a settanta volte sette”, dice che per lui il perdono deve essere illimitato: occorre perdonare sempre.

“Non dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette” (Mt 18, 22).

         Questa Parola fa ricordare il canto biblico di Lamech, un discendente di Adamo: “Sette volta sarà vendicato Caino, ma Lamech settantasette”. Così inizia il dilagare dell’odio nei rapporti fra gli uomini del mondo: ingrossa come un fiume in piena. A questo dilagare del male, Gesù oppone il perdono senza limite, incondizionato, capace di rompere il cerchio della violenza. Il perdono è l’unica soluzione per arginare il disordine e aprire all’umanità un futuro che non sia l’autodistruzione.

“Non dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette” (Mt 18, 22).

         Perdonare. Perdonare sempre. Il perdono non è dimenticanza che spesso significa non voler guardare in faccia la realtà. Il perdono non è debolezza, e cioè non tener conto di un torto per paura del più forte che è grave, o bene ciò che è male. Il perdono non è indifferenza. Il perdono è un atto di volontà e di lucidità, quindi di libertà, che consiste nell’accogliere il fratello e la sorella così com’è, nonostante il male che ci ha fatto, come Dio accoglie noi peccatori, nonostante i nostri difetti. Il perdono consiste nel non rispondere all’offesa con l’offesa, ma nel fare quanto Paolo dice: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male”. Il perdono consiste nell’aprire a chi ti fa del torto la possibilità d’un nuovo rapporto con te, la possibilità quindi per lui e per te di ricominciare la vita, d’avere un avvenire in cui il male non abbia l’ultima parola.

“Non dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette” (Mt 18, 22).

         Come si farà allora a vivere questa Parola? Pietro aveva chiesto a Gesù: “Quante volte dovrò perdonare a mio fratello?”. E Gesù, rispondendo, aveva di mira, dunque, soprattutto i rapporti fra cristiani, fra membri della stessa comunità. E’ dunque prima di tutto con gli altri fratelli e sorelle nella fede che bisogna comportarsi così: in famiglia, sul lavoro, a scuola o nella comunità di cui si fa parte.

         Sappiamo quanto spesso si vuole compensare con un atto, con una parola corrispondente, l’offesa subita. Si sa come per diversità di carattere, o per nervosismo, o per altre cause, le mancanze di amore sonoi frequenti fra persone che vivono insieme. Ebbene, occorre ricordare che solo un atteggiamento di perdono, sempre rinnovato, può mantenere la pace e l’unità tra fratelli.  Ci sarà sempre la tendenza a pensare ai difetti delle sorelle e dei fratelli, a ricordarsi del loro passato, a volerli diversi da come sono… Occorre far l’abitudine a vederli con occhio nuovo e nuovi loro stessi, accettandoli sempre, subito e fino in fondo, anche se non si pentono.

         Si dirà: “Ma ciò è difficile”. Si capisce. Ma qui è il bello del cristianesimo. Non per nulla siamo alla sequela di Cristo che, sulla croce, ha chiesto perdono al Padre per coloro che gli avevano dato la morte, ed è risorto. Coraggio. Iniziamo una vita così, che ci assicura una pace mai provata e tanta gioia sconosciuta.
 
 
 

  I Vangeli del mese
di Claudia Pugnana


 
 
 

                   I Vangeli del mese

Domenica 3 Ottobre 2010 ( 27° Dom. T.O.) – Lc 17, 5-10

Gli Apostoli si rendono conto della loro fragilità di fronte all’ideale di vita che Gesù propone loro quando consiglia il distacco totale dalla ricchezza e la condivisione dei beni con i poveri e pertanto chiedono con enfasi: “Aumenta la nostra fede! ”.
Ma la fede , consapevole ed incondizionata fiducia in Dio, non si può misurare: o c’è o non c’è!
Gesù lo spiega con la similitudine del seme di senapa,uno dei più piccoli semi esistenti in natura, dal diametro di 1-2 millimetri che,sviluppando, diventa uno degli alberi più grandi che, come ci dice Marco nel suo Vangelo, offre rifugio agli uccelli tra le sue fronde. Ebbene, anche una fede quasi invisibile, come il seme di senapa appunto, ha al suo interno una forza incredibile che permette di compiere, a chi la possiede, opere strabilianti con il minimo sforzo.
Chi ha fede deve comportarsi come il servo della parabola con cui si conclude il Vangelo di oggi: siamo chiamati a non stancarci mai nello svolgere il nostro servizio (quello che Dio ci ha assegnato nel momento del nostro esistere, “tagliato su misura” per noi, adeguato alle nostre capacità) fuori dalla logica dell’interesse e del tornaconto personale.
“Essere servi inutili” si può tradurre in “essere uomini senza guadagni, senza tornaconto”, poiché il “ guadagno” è fuori dalla persona che opera, è nell’incontro con gli altri quando è accoglienza e dono di sé.
Il mese di ottobre è il “mese missionario”, un tempo che ci invita a riflettere sul nostro compito principale in quanto Cristiani: lavorare al servizio di Dio e dei fratelli….. e i servi fedeli Dio li fa sedere a mensa e li serve.( Lc 12,37 )

Domenica 10 Ottobre 2010 (28° dom. T.O.) – Lc 17, 11-19   

Oggi il Vangelo ci fa riflettere sulla riconoscenza, un atto fondamentale nella manifestazione del possesso di una fede matura.
L’episodio narrato è la guarigione dei dieci lebbrosi.
Una malattia spaventosa la lebbra, così  deturpante e ripugnante  da considerarla generata dal peccato, così distruttiva del corpo e della fisionomia del malato da spingere ad emarginare dalla società, per legge, il lebbroso: distruzione del corpo e della relazione sociale.
I lebbrosi, protagonisti del Vangelo di Luca, vedendo Gesù, da lontano, poiché per legge non si possono avvicinare, Gli chiedono un intervento d’amore: “Gesù, Maestro, abbi pietà di noi!”.
Nel Cristianesimo la pietà ( in latino “pietas” ) non è semplicemente compassione, ma è l’insieme di tutti quei sentimenti ( rispetto, dedizione, amore,..) che si provano nei confronti di chi consideriamo “superiore” a noi ( p.es genitori, maestri… e, soprattutto, Dio). Quando dunque si chiede la pietà di Dio, Gli chiediamo di considerarci  “superiori a Lui”!... Questo non Gli “costa fatica”, non lo ” snatura” come Dio, anzi  Egli si vede “riconosciuto” poiché  è “mite ed umile di cuore”.
Dunque appena lo sguardo di Gesù vede la loro sofferenza li invita ad andare dai sacerdoti del tempio. Non è che li manda da altri poiché non può o non vuole far nulla per loro ( come talvolta veniamo trattati da taluni medici oggi…) ma perché spettava ai sacerdoti del tempio, secondo la legge mosaica, certificare la guarigione dalla lebbra: in questo invito è contenuta la promessa che prima di giungere al tempio saranno sanati. E così accade: durante il tragitto guariscono tutti. Uno soltanto di loro però, un samaritano, che gli Ebrei ritenevano appartenere ad una stirpe eretica e pagana,torna da Gesù per ringraziarlo , lodando Dio a gran voce (come a gran voce Gli ha chiesto pietà).
E  dopo aver chiesto  dove fossero andati gli altri nove,Gesù  dice al samaritano:” Alzati e va, la tua fede ti ha salvato!”. Egli non è guarito solo nel corpo , ma anche nello spirito poiché ha dato più importanza al Donatore che al dono ricevuto. Non è corso al tempio per avere la certificazione della sua guarigione, con la fretta di chi ha bisogno di tornare a vivere tra gli altri, di chi vuole riprendere possesso della propria vita :è tornato indietro per glorificare chi gli ha fatto quel dono, non per educazione o sensibilità personale ma come  atto di fede.
Soltanto la fede che ha come “contenuto” la persona di Gesù Messia ela Sua resurrezione  può salvare l’uomo.

Domenica 17 Ottobre 2010 ( 29° Dom. T.O.) – Lc 18,1-8  

Un altro componente veramente essenziale della fede è la preghiera perseverante e Gesù, per rendere più comprensibile questa affermazione presenta nel Vangelo di oggi il caso di una povera vedova. Essa è sola e senza mezzi per difendersi dalle angherie a cui è sottoposta. Convinta di essere vittima di ingiustizia si rivolge ad un giudice. Ma non trova una persona che svolge bene il suo compito: il giudice che ha in mano la sua causa è un uomo senza cuore, che non ha rispetto né di Dio né delle persone per le quali dovrebbe svolgere il suo servizio. La donna però insiste nel
perorare la sua causa con tale tenacia da costringere il giudice ad accogliere la sua richiesta, non tanto per senso del dovere, che non ha, quanto per togliersi di torno quella seccatrice. Usando questa parabola Gesù esorta  i suoi discepoli a pregare Dio con perseveranza e fede incrollabile. Egli non è un giudice ingiusto o disonesto ma Padre. Riconoscendolo come Padre dobbiamo non dobbiamo considerarlo indifferente alla nostra preghiera: dobbiamo soltanto porci in atteggiamento di figli, senza pretendere il “come” e il “quando deve aiutarci, certi però che non permetterà la nostra distruzione ma che ci salverà.
Gesù pone poi una domanda inquietante:” Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà fede sulla terra?”
E guardandoci attorno, ma anche dentro di noi, ci vediamo circondati da un pessimismo soffocante, poiché siamo ormai abituati a “schiacciare un bottone” ed ottenere tutto ciò che vogliamo. Non esercitiamo più la virtù della pazienza, spinti da quel ”tutto e subito”  che la cultura dominante ci ilude di ottenere,mascherandone o non ritenendo indispensabile la qualità, materiale e spirituale, di ciò che vogliamo ottenere.
Chi oggi conserva ancora la perseveranza è la Chiesa che incessantemente prega Dio, impetrando il trionfo della Giustizia per tutti .  

Domenica 24 Ottobre 2010 ( 30° Dom. T.O.) – Lc 18, 9-14

Questa parabola, narrata soltanto dall’evangelista Luca, ci illustra due possibili modi di vivere la religiosità, svelati nel momento della preghiera.
Abbiamo due uomini, saliti al tempio per pregare appartenenti a due gruppi sociali differenti: uno è fariseo, l’altro è pubblicano.
I farisei al tempo di Gesù erano considerati (e si consideravano) “santi”. Studiavano ed applicavano alla lettera i precetti religiosi sanciti nelle Sacre Scritture ( come dice il fariseo che sta pregando nel tempio ), badavano molto di più all’apparenza del loro agire rispetto alla sostanza, spesso si ponevano in modo altezzoso rispetto agli altri Ebrei, considerati meno graditi a Dio.
Per loro Gesù non manifesta grande simpatia, arrivando a definirli “razza di vipere “ e “sepolcri imbiancati”, ovvero velenosi (pericolosi per la vita) e ingannevoli ( poiché mascheravano con l’ipocrisia il vero senso delle cose).
I pubblicani erano “bollati” come peccatori per il fatto che maneggiavano denaro aiutando i dominatori romani nella riscossione delle tasse.
Il pubblicano che sta pregando nel tempio non segue la liturgia prescritta per la preghiera, sia nella sua postura ( sta a capo chino e si batte il petto!) sia
nelle parole che rivolge a Dio, tanto da meritarsi il disprezzo del “perfetto cerimoniere” fariseo.
La preghiera del fariseo però non riconosce Dio come interlocutore: il fariseo si auto-incensa, elencando  la lista dei suoi meriti, e non chiede nulla a Dio,ritenendosi autosufficiente. Dall’altra parte il pubblicano, sapendo di essere nel peccato, prova vergogna nei confronti di Dio e degli altri fedeli  presenti nel tempio e se ne sta in un punto poco in vista, chiedendo la pietà di Dio.
Gesù sconvolge gli astanti quando afferma che il pubblicano, e lui soltanto,tornò a casa giustificato, cioè ottiene il perdono e la compiacenza di Dio( Sal. 51” Un cuore affranto ed umiliato tu  o Dio non disprezzi”)
La frase finale ribadisce che il prototipo del vero credente è colui che non confida, in sé e nelle proprie opere, anche se buone opere, ma confida in Dio, il quale esalta chi si umilia e umilia chi si esalta.

Domenica 31 Ottobre 2010 ( Dom. 31° T.O.) – Lc 19, 1-10 

Gesù sta per concludere il suo viaggio verso Gerusalemme e arriva a Gerico, cittadina distante circa 20 Km dalla capitale della Giudea.
Il Vangelo  narra la conversione di Zaccheo. Il nome del protagonista, arricchitosi molto probabilmente in modo fraudolento (..”se ho frodato qualcuno…”), in ebraico “Zakkai”, significa “giusto”,”puro”: per lui sembra non valere il detto “in nomen omen” (= nel nome il destino)!
Oggi Zaccheo vuole vedere chi è Gesù: nella sua agiata vita gli manca qualcosa, non è pienamente soddisfatto.
Questo suo desiderio non è il capriccio di una ricca persona annoiata: egli, sicuramente abituato, considerata la sua posizione sociale,ad essere servito e riverito, si ingegna e si affatica per raggiungere il suo scopo (“corse avanti”,”salì su un sicomoro” perché era piccolo di statura).
E i suoi sforzi vengono premiati da Gesù che gli dà l’onore di essere ospite a casa sua.
Tra le righe ci viene detto che il Signore ci vede, anche tra le tante altre persone, anche tra le fronde dei sicomori, vede le nostre fatiche per poterlo “vedere” e alla fine,chiamandoci per nome, ci dà ciò di cui abbiamo bisogno.
Zaccheo non onorava il nome che suo padre aveva scelto per lui ma Gesù,conoscendo il suo animo, gli dà l’occasione per mettere a posto la sua vita.
Il ricco Zaccheo riesce a fare ciò che non è riuscito a fare il giovane ricco (Lc 18,23)  e ottiene la salvezza rinunciando alla metà dei suoi beni e restituendo alle persone che aveva frodato il maltolto con generosi interessi.
In risposta al mormorare della folla, sempre pronta a scandalizzarsi per la considerazione che Gesù riservava ai peccatori, Egli afferma:” Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”.  

 
 

  INCONTRI DI FORMAZIONE PERMANENTE DEI CATECHISTI
di Maria Vittoria


 
 
 

INCONTRI DI FORMAZIONE PERMANENTE DEI CATECHISTI



         Nei giorni 20-21-22 settembre si è svolta, nel Salone Fanelli, a La Spezia, la “tre giorni” per l’aggiornamento dei catechisti di tutte le parrocchie della Diocesi. Numerosissimi i convenuti dal ponente al levante. Titolo del convegno: So a chi ho creduto” (1^ Tim. 1,12).

         La riflessione è partita dal convegno Diocesano celebrato lo scorso anno e si è incentrata sulla scelta di fede e sulla necessità di una vera formazione dell’educatore. Ospite e relatore per la prima giornata, S.E. Mons. Simone Giusti, vescovo di Livorno, noto catecheta ed autore di varie pubblicazioni.

         I lavori della seconda giornata, condotti da S.E. Mons. Francesco Moraglia, vescovo diocesano, sono stati introdotti da don Franco Pagano, direttore dell’Ufficio Catechistico della diocesi spezzina, che, oltre ad essere stato il relatore del terzo incontro, è stato l’animatore di tutte le tre giornate.

         Le catechesi, pur essendo diverse per gli stili ed i modi di rapportarsi con l’assemblea dei presenti, hanno avuto come denominatore comune alcuni concetti di base, utili per coloro che si apprestano a svolgere il non facile compito di catechisti, in un mondo sempre più secolarizzato, nel quale si assiste ad un progressivo allontanamento dei fedeli dalla Chiesa e dalle pratiche religiose.

         Le indicazioni comuni sono state chiare: è necessario rivolgersi “in primis” alle giovani famiglie, che hanno il non facile compito dell’educazione dei figli.

Molti genitori devono prendere coscienza che l’atto generativo che ha permesso loro di diventare padri e madri non si esaurisce con la nascita del figlio, ma continua con l’educazione; essi sono i primi catechisti dei loro figli. Il padre e la madre hanno la possibilità ed il dovere di trasmettere la fede ai bambini, ogni giorno, non solo in occasione dell’avvicinarsi dei Sacramenti; essi potranno dare vita, in questo modo, ad una “piccola Chiesa domestica”, a immagine della Chiesa di Cristo.

         E’ necessario, quindi, aiutare la famiglia a recuperare la sua funzione educativa, riscoprendo la propria identità. La catechesi rivolta ai genitori li aiuterà, mediante il messaggio del Vangelo, a stabilire con i figli rapporti che non siano finalizzati solamente al godimento della vita materiale, pur necessario ed importante, ma anche ad essere promotori della loro crescita intellettuale, spirituale e religiosa.

       I catechisti e le Parrocchie sono stati invitati a compiere ogni sforzo possibile per realizzare le finalità suggerite. Ma per essere credibili nel portare avanti il compito non facile che viene loro affidato, i catechisti saranno “specchio” per le giovani generazioni; essi devono dimostrare con la loro vita e con l’insegnamento che la Parola di Dio è il fondamento che anima l’esistenza di tutti. Il loro “innamoramento” per Gesù trasparirà da tutto ciò che trasmettono agli altri, compresa la “vocazione alla santità”, che il Signore, mediante lo Spirito Santo, ispira nel cuore di ogni persona.

         Nell’opera del catechista e nell’impegno che dimostra nella sua “missione”, malgrado le difficoltà dei tempi odierni, verranno percepite le motivazioni di una scelta ispirata dalla ragione, portatrice di Speranza, dalla Fede, ma soprattutto dalla Carità, che emerge da ogni atto rivolto al prossimo e da ogni messaggio trasmesso agli altri.

                                                                                             
 

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