N° 6 - Giugno 2022
7 I Padri della Chiesa
di Ratti Antonio

 

 

 

                                                          SANT’AMBROGIO

 

 

Abbandoniamo le dispute filosofico-teologiche sulla Trinità, le nature di Cristo e su Maria, madre di Dio o di Cristo, che rendevano tesi i rapporti tra i vari patriarcati del medioriente e spostiamoci nella occidentalissima e latina Milano, una delle nuove capitali imperiali, per incontrare un personaggio di così grande statura da essere quasi un insulto contenerlo in due pagine del bollettino.

Ci troviamo di fronte al tipico uomo latino, concreto, pragmatico, con idee e obiettivi chiari e, soprattutto, con le capacità intellettuali e operative per realizzarli. Fedele osservante dell’ortodossia e delle decisioni conciliari, pone la sua attenzione su due aspetti: consolidamento della Chiesa nella società civile imponendola come la sola degna di essere accolta e sostenuta anche dal potere politico e, secondo, dare alla sua vastissima diocesi un’organizzazione funzionale nella liturgia (rito ambrosiano), nella preparazione adeguata dei religiosi e dei fedeli, nella moralità sacra e profana.

 Ambrogio è stato un eccezionale uomo di Chiesa che, per la poliedricità e iperoperatività, di fatto, nel suo tempo, spesse volte è risultato essere più determinante del Vescovo di Roma, città in crisi inarrestabile che ormai viveva dei ricordi dei fasti imperiali.

Aurelius Ambrogius nasce nel 339-40 da un’importante famiglia senatoriale romana a Treviri dove il padre era Prefetto del Pretorio delle Gallie. La famiglia era cristiana da tempo, tanto che annoverava una santa, Soteris, martirizzata durante le persecuzioni di Diocleziano. Era il terzogenito dopo Marcellina (consacratasi a Dio durante il pontificato di Liberio e divenuta abbadessa di un monastero) e Satiro, suo collaboratore, venerati anch’essi come santi.

Dopo la prematura morte del padre, la famiglia torna a Roma dove Ambrogio compie gli studi tradizionali del trivio e del quadrivio per intraprendere la carriera amministrativa analogamente al padre. Nel 370 è nominato governatore della provincia romana Aemilia et Liguria con residenza a Milano, dove raggiunge una posizione di rilievo nella corte dell’imperatore Valentiniano I. La sua abilità diplomatica ha avuto modo di esprimersi nel dirimere i forti contrasti tra ariani e cattolici con apprezzamento da parte di entrambe le fazioni. Nel 374 con la morte del vescovo di Milano, Assenzio, ariano, il delicato equilibrio che era riuscito a instaurare si spezza a causa della successione; difatti i due contendenti, ariani e ortodossi, non riuscivano a trovare un accordo.

Per sedare le opposte pretese e riuscire a riportare l’ordine e la pace, Ambrogio va di persona in chiesa e prende la parola davanti al popolo. All’improvviso un bambino grida ”Ambrogio vescovo!”, un invito che tutto il popolo, non più diviso, ripete all’unisono.

Colto di sorpresa, Ambrogio rifiuta, sentendosi del tutto impreparato e nemmeno battezzato, ma solo catecumeno. La scelta è giudicata eccellente e ratificata dai vescovi italiani e dall’imperatore. In sette giorni è battezzato e consacrato vescovo ( 7 dic.374 ). Nonostante si sentisse “rapito a forza dai tribunali e dalle insegne dell’amministrazione al sacerdozio” prende molto sul serio il suo nuovo incarico e si dedica allo studio delle Sacre Scritture e dei grandi teologi della Chiesa orientale, perché riteneva indecoroso “dover insegnare prima di poter imparare.”

Ambrogio possiede una stupefacente capacità di assimilazione e diviene ben presto, se non un pensatore originale, certamente un teologo ed esegeta (= commentatore delle Scritture) eccellente.

La trasformazione da uomo di corte a uomo di Chiesa è totale: dona i suoi notevoli beni personali ai poveri. Non esita a vendere preziosi Vasi Sacri per pagare il riscatto dei prigionieri. Alle critiche mossegli dagli ariani risponde: “E’ molto meglio per il Signore salvare anime che dell’oro. Egli infatti mandò gli apostoli  senza oro e senza oro fondò le Chiese [….] I sacramenti non richiedono oro, né acquisisce valore per via dell’oro ciò che non si compra con l’oro.”(De officiis)  Le sue doti di predicatore e la sua interpretazione della Scrittura in senso allegorico per coglierne il significato spirituale, come avevano fatto gli alessandrini Filone e Origene, suscitano ammirazione e portano alla conversione il retore ufficiale di Milano, il giovane Agostino, allora irretito dal pensiero manicheo.

Una delle maggiori glorie di Ambrogio è certo l’aver intellettualmente sedotto, battezzato e consegnato alla Chiesa Agostino. Oltre che predicatore, Ambrogio è stato un notevole scrittore, perché i suoi sermoni, attentamente preparati e scritti, venivano successivamente rielaborati ed ampliati dall’autore e pubblicati. Ambrogio, poeta e musico, compone una serie di inni che i fedeli di Milano cantano, per tenersi svegli, durante l’occupazione ad oltranza della basilica Porziana, minacciata di essere requisita dall’imperatrice Giustina per darla in uso agli ariani (385-386).

Sono i celebri Inni ambrosiani, concisi, poetici, teologici che ancora oggi sono un valore vivo della liturgia. Per la sua formazione e precedente esperienza amministrativa e per essere il vescovo della sede imperiale godeva di una posizione preminente su tutti i vescovi dell’Occidente, anche su papa Damaso, vescovo di una ex-capitale caduta a un livello d’importanza molto basso. Ambrogio, se fosse stato un ambizioso carrierista ne avrebbe potuto approfittare, invece mantiene sempre un atteggiamento rispettoso e di amicizia verso il papa. La prudenza, la dignità e la fermezza con cui gestisce il magistero episcopale gli valgono il rispetto e l’amicizia dei molti imperatori.  Il rigore della sua coscienza cristiana e la ferma convinzione con cui agiva gli conferiscono grande autorevolezza, rendendolo celebre esempio nella storia delle relazioni tra Stato e Chiesa. Conscio della sua forza morale, non esita a imporre la pubblica penitenza all’imperatore Teodosio, reo, a suo dire, di aver umiliato i cristiani con le condanne disposte a seguito di tumulti scoppiati a Callinico in Mesopotamia e a Tessalonica in Grecia.

Seguendo l’esempio di san Martino di Tours, Ambrogio esprime il suo dissenso e biasimo verso i vescovi che perseguitano gli eretici e li accusano presso le autorità per farli condannare  e impossessarsi dei beni. Ambrogio combatte le dottrine eretiche, ma si mostra tollerante con le persone; infatti, non esita ad aiutare i pagani onesti, né, pur avendone la possibilità, li fa allontanare dai loro incarichi pubblici e amministrativi.

Il popolo milanese impara a vedere nel suo vescovo il protettore e il mediatore contro gli abusi e la violenza del potere politico. Per Ambrogio il potere e l’autorità vanno intesi come servizio e non dispotismo e capacità di arricchirsi a dismisura.

Notando l’allarmante divario tra ricchi e poveri, alla sperequazione economica Ambrogio contrappone la morale evangelica e scrive nel Naboth: “La terra è stata creata come un bene comune per tutti, per i ricchi e per i poveri: perché, o ricchi, vi arrogate un diritto esclusivo sul suolo? ……… Tu (ricco) non dai del tuo al povero [quando fai la carità], ma gli rendi il suo; infatti la proprietà comune, che è stata data in uso a tutti, tu solo la usi. La terra appartiene a tutti e non ai ricchi. Dunque, tu restituisci il dovuto, non elargisci il non dovuto.”. Un richiamo severo verso una equilibrata distribuzione della ricchezza, ma è un richiamo inascoltato da sempre: ce lo conferma il Vecchio Testamento, così come le modernissime società interclassiste dove una netta minoranza dispone della quasi totalità dei beni. All’epoca, mancando una codificata liturgia dei riti sacri, provvede a istituire un formulario apposito  detto Rito Ambrosiano che non viene soppresso neppure dal Concilio di Trento. Anche nel canto sacro interviene suggerendo un modo tutto nuovo, noto come canto ambrosiano e caratterizzato da composizioni poetiche che vengono cantate da tutti i partecipanti al rito. Infatti, a differenza di quanto avveniva per i Salmi, cantati da un solista o da un ristretto gruppo di coristi, gli inni ambrosiani sono cantati da tutti i partecipanti, in cori alternati: per es. uomini e donne, giovani e anziani o fanciulli e adulti; l’importante è la partecipazione di tutti al canto inteso come preghiera. Alcuni di questi inni sono stati composti da Ambrogio e menzionati da S.Agostino nelle sue Confessioni: gli si attribuisce la composizione del Te Deum Laudamus, ma la critica non è concorde. Nella sua attività pastorale pone molta attenzione a offrire ai fedeli un adeguato numero di luoghi di culto, quindi fa costruire ai lati della città quattro basiliche: basilica Apostolorum, oggi di San Nazaro, basilica di San Simpliciano, basilica di San Dionigi, basilica Martyrum, in quanto ospitava i corpi dei santi martiri Gervasio e Protasio, rinvenuti dallo stesso Ambrogio, oggi basilica di Sant’Ambrogio.

L’eredità di Ambrogio è delineata principalmente dalla sua attività pastorale a 360 gradi: la predicazione della Parola di Dio coniugata con la dottrina della Chiesa cattolica, l’attenzione ai problemi della giustizia sociale, la denuncia senza reticenze degli errori nella vita civile e politica, l’accoglienza verso le persone provenienti da paesi e popoli lontani. Sembra che i problemi e le esigenze di allora siano i medesimi di oggi: da questo punto di vista nei 1700 anni che ci separano da Ambrogio e il suo tempo non è cambiato niente. La sua intensissima vita offerta al servizio della Chiesa ha termine nel 397. Per capire chi era e com’è attuale la morale sociale di Sant’Ambrogio riporto un significativo brano tratto dal suo commento all’episodio biblico di Naboth  il povero (1Re 21): “ Quella di Naboth è una storia antica quanto al tempo in cui è avvenuta, ma nella pratica è di tutti i giorni. Chi infatti, essendo ricco, non desidera ogni giorno i beni altrui? Chi, se facoltoso, non pretende di cacciare il povero dal suo piccolo campo e di allontanare il misero dal piccolo podere ricevuto in eredità dagli avi? Chi si accontenta di ciò che ha? Quale ricco non si accende di desiderio per la proprietà del vicino? Dunque non è nato un solo Acab (il ricco), ma quel che è peggio, ogni giorno nasce un Acab, e non scompare mai da questo mondo. Se ne viene meno uno, ne sorgono molti, e quelli che rapinano sono più numerosi di quelli che perdono. Non un solo Naboth povero è stato ucciso, ma ogni giorno un Naboth viene oppresso, ogni giorno viene annientato. Terrorizzata da questa paura, l’umanità abbandona le terre, il povero emigra……… Fin dove volete arrivare, o ricchi, con i vostri insani desideri? Volete forse essere i soli ad abitare la terra?  Perché cacciate colui con il quale avete in comune la natura e pretendete di possedere per voi soli la natura? La terra è stata creata come bene comune per tutti, per i ricchi e per i poveri. Perché voi ricchi vi arrogate il diritto di proprietà? La natura, che tutti partorisce poveri, non conosce i ricchi. Nasciamo tutti senza vestiti, siamo generati senza oro e argento. La terra ci fa nascere nudi, senza cibo, vestiti e bevande e nudi ci accoglie la terra che ci ha generati: essa non accoglie nella tomba i confini delle nostre proprietà.

Le sue idee radicali e l’attualità del suo pensiero emergono in tutta la loro evidenza da questo breve passo tratto da un’omelia, che, come era suo costume, ha rielaborato per  renderla  idonea alla pubblicazione col titolo di De Nabuthae historia.

Una curiosità: papa Giovanni VIII nell’anno 881 chiama per la prima volta la diocesi di Milano “diocesi ambrosiana” in onore di un  santo che ha lasciato un’impronta indelebile nella storia della Chiesa.

 

 


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