N° 6 - Giugno 2022
IN MORTE DI CARLO MARIA MARTINI
di Egidio Banti

 

 

 

“E’ stato un uomo di Dio, che non solo ha studiato la Sacra Scrittura, ma l’ha amata intensamente, ne ha fatto la luce della sua vita, perché tutto fosse «ad maiorem Dei gloriam», per la maggior gloria di Dio. E proprio per questo è stato capace di insegnare ai credenti e a coloro che sono alla ricerca della verità che l’unica Parola degna di essere ascoltata, accolta e seguita è quella di Dio, perché indica a tutti il cammino della verità e dell’amore. Lo è stato con una grande apertura d’animo, non rifiutando mai l’incontro e il dialogo con tutti, rispondendo concretamente all’invito dell’Apostolo di essere «pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1 Pt 4, 3-15)”.
Queste belle parole di Benedetto XVI, lette dal cardinale Angelo Comastri ai funerali di Carlo Maria Martini, in un duomo di Milano affollato come poche altre volte, non solo testimoniano l’affetto e si potrebbe forse dire l’ammirazione che, nell’ambito di una lunga amicizia, Joseph Ratzinger ha sempre nutrito per l’arcivescovo emerito di Milano. Ma fanno anche giustizia, per così dire (se anche ce ne fosse stato bisogno) di tante interpretazioni “di parte” (per essere precisi: da una parte e dall’altra) che in questa triste occasione hanno cercato di presentare il porporato scomparso, di volta in volta, come un “contestatore”, un “rivoluzionario”, quasi quasi un “eretico”.
Non vi è dubbio che, come tutte le grandi personalità della storia, ed anche della storia cristiana, Carlo Maria Martini sia stato un uomo libero, di quella libertà però che non solo non è in contrasto con la fedeltà al messaggio evangelico, ma, in persone di questa levatura, essa di quel messaggio rappresenta una sorta di lievito,  capace di farlo fermentare al proprio interno. Così fu per Agostino, così per Bernardo, così per Francesco e per tanti altri che, mai divenuti papi, furono però per i papi motivo di ispirazione e di incoraggiamento.
Nel caso di Martini, scomparso a poche settimane di distanza dall’imminente ricorrenza dei cinquant'anni del Concilio Vaticano II – cui è legato l’inizio dell’Anno della fede -, quello che in lui appariva, e di fatto probabilmente era, come elemento innovatore e “progressista”, non potrebbe essere compreso se non alla luce di due concetti che il papa indica con grande chiarezza nelle righe che abbiamo sopra riportato: l’amore (connesso con la conoscenza) per la Parola di Dio e la ricerca intesa come aspetto essenziale del cammino verso la verità.
Questi due aspetti appartengono alla natura stessa della Chiesa di Cristo: non si comprende il Vangelo di Cristo senza il richiamo alla Scrittura antica (si veda al riguardo in particolare il testo di Matteo), ma neppure lo si comprende senza la dimensione dell’Amore (Vangelo di Giovanni, in particolare), che, collocato nella storia dell’uomo, è in primo luogo dimensione di ricerca della verità: “E il Verbo si è fatto carne ed ha abitato in mezzo a noi” (Prologo di Giovanni).
Nel mondo moderno – questo Martini ci ha insegnato e ci insegna – la ricerca della verità è connaturata ad una struttura dell’uomo e della società che non accettano la sola proposizione di una tradizione che chiedono di confrontare sia con la propria coscienza sia con i risultati straordinari di una scienza che, però, non può per sua stessa natura dare risposte ultime alle attese dell’uomo.
La Parola di Dio, dunque, risulta più essenziale che mai per comprendere l’essenza dell’uomo e il suo destino. E l’atteggiamento di ricerca verso una fede “amica della ragione” non può essere inteso come eresia o tradimento del “depositum Fidei”, bensì come una sfida verso se stessi e come un’apertura al dialogo verso quanti, nel “cortile dei Gentili”, accettano di misurarsi con la fede cristiana.
E’ un cammino difficile, il primo a saperlo (perché lo ha detto e scritto più volte) è proprio Benedetto XVI. Per questo le parole da lui dettate in occasione della scomparsa di un grande amico (e sostenitore in conclave) come Carlo Maria Martini non sono solo parole autentiche e sincere. Sono anche un invito a tutti noi, credenti e non credenti, per non dimenticare la lezione dell’arcivescovo emerito di Milano per tradurla nella nostra vita di fede e nei nostri comportamenti.

 

 

 

 


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