N° 5 - Maggio 2009
Paolo ed i suoi collaboratori
di Antonio Ratti

                  

 

Paolo è consapevole che la sua opera di apostolato missionario, la sua capacità di persuasione sulla verità del Risorto, la sua determinazione di creare comunità cristiane stabili e autosufficienti, hanno bisogno di una macchina organizzativa certa e funzionale.

Da qui nasce l’esigenza di preparare fidati, capaci e autorevoli collaboratori con le idee chiare sui temi della fede, insidiata costantemente da “falsi dottori” e consuetudini secolari.

Non dimentichiamo mai che Gesù non ha lasciato scritto nulla e quindi il Nuovo Testamento, cardine della fede, è il risultato del lavoro di persone di grande intelligenza capaci di raccogliere, con l’aiuto dello Spirito Santo, il senso delle parole di Gesù e di trasmetterle con assoluta fedeltà a popoli diversi fra loro per cultura e civiltà.

Paolo di Tarso è l’autore di circa un terzo del Nuovo Testamento: 2003 versetti su 5621.

Com’è normale per l’uomo il tentativo di interpretare il nuovo sulla base del patrimonio di nozioni che gli è familiare, perché acquisito da tempo, così la suggestione di adattare la nuova fede col vecchio mondo culturale, religioso e sociale è un atteggiamento tanto diffuso da provocare grossi rischi all’integrità del messaggio di Cristo, da scatenare duri scontri destabilizzanti tra gruppi organizzati all’interno delle comunità cristiane, già alle prese di contrastati rapporti con la società civile e l’autorità romana (es.: gli arresti di Paolo).

L’Apostolo non ha il dono della poliubiquità, quindi nel suo razionale peregrinare missionario ritorna negli stessi luoghi, ma si affida anche a persone che sanno rivestire ruoli importanti (es.: l’evangelista Luca, autore anche degli Atti degli Apostoli).

Nelle lettere a Timoteo e Tito, dette “pastorali”, perché, preoccupato del futuro, dà istruzioni su come tramandare fedelmente il “deposito della fede” e su come strutturare la vita delle comunità, si accenna ad una organizzazione gerarchica che in seguito prenderà corpo.

Infatti si parla di diacono, presbitero ed episcopo: figure carismatiche che in epoca successiva assumeranno caratteri ben definiti di autorità.

Iniziando un breve viaggio tra i collaboratori più noti di Paolo, gli va riconosciuta l’apertura alla collaborazione: nella Chiesa egli non vuole fare tutto da solo, sa di non essere eterno, ma sa scegliere, preparare e avvalersi di numerosi e diversificati colleghi di apostolato.

Il primo dei suoi compagni di viaggio è Barnaba, nome giudeo –levita che vuol dire “figlio della consolazione o dell’esortazione”.

 Nativo di Cipro, risiede a Gerusalemme.

E’ tra i primi ad abbracciare il Cristianesimo dopo che la Resurrezione di Gesù è diventata la notizia del giorno in città.

Resosi conto delle necessità, anche economiche, della Chiesa nascente, vende un campo di sua proprietà consegnando il ricavato agli Apostoli.

E’ lui a farsi garante della sincera conversione di Saulo presso la comunità cristiana di Gerusalemme, la quale continuava a diffidare dell’antico persecutore, durante e dopo il breve soggiorno di Paolo in città intorno agli anni 36-37 d.C.

Barnaba, inviato ad Antiochia di Siria (40 d.C.), va a riprendere Paolo che era ritirato nella sua città natale e con lui trascorre un intero anno dedicandosi all’evangelizzazione di quella importante città, nella cui Chiesa Barnaba è conosciuto come profeta e dottore (At 13,1).

Diciamo che Paolo è restituito alla Chiesa e al suo mandato di Apostolo delle genti dalla lungimirante capacità di Barnaba di capire e conoscere le persone.

Il comune lavoro deve aver sortito risultati lusinghieri, se Barnaba è inviato in missione insieme a Paolo.

 Prende così il via quello che va sotto il nome di Primo viaggio dell’Apostolo (46 d.C.).

In realtà questo è un viaggio missionario di Barnaba accompagnato da Paolo come collaboratore e non responsabile.

E’ un percorso molto lungo che tocca Cipro, la Panfilia e la Galazia, ovvero l’odierna Anatolia,ampia regione centro-meridionale della Turchia, con le città di Pisidia, Iacono, Attaglia, Perge, Listra, e Derbe.

Al termine, insieme, partecipano al Concilio di Gerusalemme (49-50 d.C.), primo vero incontro ecumenico della Chiesa, dove vengono dibattuti vari argomenti di natura dottrinale, disciplinare e organizzativa.

Per la prima volta si avverte l’esigenza di uscire dallo spontaneismo proprio per non disperdere ma  per tutelare al meglio il messaggio di salvezza che Gesù ha affidato agli Apostoli perché lo diffondano fino ai confini della terra.

Forti della loro esperienza missionaria fra i pagani, spendono tutta la loro capacità di persuasione nel sostenere l’universalità dell’azione messianica di Gesù senza distinzione di razza o fede: siamo figli di Abramo semplicemente per la fede in Cristo.

Anche se per lungo tempo si tenta di imporla ugualmente, in questa basilare riunione gli Apostoli e gli Anziani decidono di disgiungere la pratica della circoncisione dall’identità cristiana (At 15, 1-35): il Battesimo è la sola iniziazione alla fede.

Le conseguenze non sono di poco conto: con questa risoluzione il cristianesimo si affranca da setta giudaica per portatore di un messaggio autonomo.

Subito dopo l’incontro di Gerusalemme i due decidono un nuovo viaggio missionario, questa volta verso occidente, cioè, Macedonia e Grecia.

Ma sorgono incomprensioni, perché Barnaba pensava di prendere come compagno di viaggio anche Giovanni Marco, mentre Paolo era contrario essendosi il giovane separato da loro durante il primo viaggio.

Poiché la santità non consiste nel non sbagliare mai, i due missionari si separano.

Barnaba con Giovanni Marco parte per Cipro (50 d.C.) tornando a visitare le comunità istituite durante il primo viaggio.

Da quel momento si perdono le tracce di Barnaba.

Paolo inizia il suo secondo viaggio (50-52 d.C.) verso la Grecia; a Troade incontra e conosce il medico Luca che lo seguirà fino a Roma.

Paolo che era stato duro nei confronti di Giovanni Marco, alla fine si ritrova con lui.

E’ una riconciliazione in piena regola, perché nelle ultime lettere (a Filemone e 2^ a Timoteo) Giovanni Marco compare come “il mio collaboratore”.

Tertulliano, conoscendo la profonda affinità di pensiero e la reciproca stima tra Paolo e Barnaba, attribuisce a quest’ultimo la lettera agli Ebrei che fin d’allora si dubitava sulla paternità paolina.

            

20.04.09                                                               


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