N° 1 - Gennaio 2009
Gennaio : due eventi da e per dimenticare
di Antonio Ratti

GENNAIO: due eventi da e per meditare
Gennaio è caratterizzato da due eventi che da anni,ormai, fanno parte del calendario: la Giornata Mondiale per la pace, che la Chiesa celebra il 1° gennaio e la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che normalmente è l’ultima  del mese. Sono due momenti caratterizzanti del magistero ecclesiale, eppure, per varie ragioni, sembrano nascosti ai più o caduti nella ripetitività dell’abitudine; in entrambi i casi, vittime dell’oblio e dell’indifferenza.
Dopo l’ubriacatura ludica e, spesso, enologica della notte di San Silvestro è veramente impervio alzarsi la mattina e concentrarsi a riflettere sul ruolo del concetto di pace o dell’importanza della medesima per pensare in concreto a prospettive nuove di giustizia, di equilibrio sociale, di rispetto reciproco tra i popoli più fortunati e quelli meno fortunati. Eppure è necessario meditare. Pace non si limita a esprimere il silenzio delle armi; pace non significa occultare sotto la cenere delle apparenze certe voglie o ambizioni che in ogni momento possono riemergere ancora più virulente; pace non è intimidire mostrando i muscoli, l’arsenale nucleare o gli scudi spaziali; pace non è imposizione delle regole; del resto, quale umana potenza può sentirsi autorizzata a farlo? Pace è condivisione di valori; è responsabile acquisizione di obiettivi e percorsi esistenziali che esaltino la reciprocità dei diritti e dei doveri; è pienezza di vita e realizzazione della giustizia giusta senza riserve e distinguo.
Infatti, l’idea di pace si è, progressivamente, ampliata fino a comprendere ogni forma di violenza  e di sopraffazione quando queste siano viste come criterio di soluzione dei problemi personali, sociali, economici e politici. Le esigenze della pace non possono accontentarsi di denunciare gli arsenali colmi di mezzi di distruzione di massa, la corsa agli armamenti o le guerre e le guerriglie, ma si legano profondamente allo sviluppo sociale, civile, culturale, economico, politico inteso come progresso integrale della persona e della società umana, universale e solidale. L’operare per una cultura di pace potrà dare risultati soltanto quando sarà sostenuto da un preciso impegno morale: prima di educare all’obbedienza delle leggi, vanno formate le coscienze a un serio impegno per la pace. Non è tutta qui la differenza tra il Vecchio e il Nuovo Testamento? Dalla fase della Legge imposta e accettata senza poterla discutere, del tipo “prendere o lasciare”, si approda alla proposta di un itinerario esistenziale fondato sull’amore, liberamente, scelto. Non è solo dei bambini l’obbligo di crescere nel corpo, nella conoscenza e nello spirito; l’assumersi responsabilmente il dovere di gestire l’uomo ed il suo percorso terreno è degli adulti. Così, mi sembra, ha stabilito il Creatore; o mi sbaglio, come al solito? Come il Creatore ha creato e affidato all’uomo la cura della sua creazione, così Gesù ha istituito la Chiesa, l’ha dotata della sua Parola come regola statutaria, pertanto essa è un’inalienabile istituzione divina, ma anche umana, essendo destinata all’uomo e guidata dall’uomo. Ne consegue che tutte le disarmonie gestionali sono opera dell’uomo, quindi, solo quando l’uomo lo vorrà, le lacerazioni saranno ricomposte.
Gesù nel frattempo attende gesti concreti: i bizantinismi, le sofisticate argomentazioni reiterate da secoli  o nuove argomentazioni discrasiche rappresentano autocertificazioni che, al più, giustificano un comodo, quanto umano, status quo che attenta all’universalità e unicità della Chiesa, determinando un gravissimo vulnus alla chiara volontà di Gesù.
La durezza delle mie espressioni trae sostegno dal convincimento che l’ “enstragement”, cioè, l’estraniazione o separazione, non è opera del semplice credente, del tutto impreparato e inadeguato ad assumere atteggiamenti dirompenti. Il semplice credente può solo cadere, a causa della secolarizzazione imperante e della superficializzazione della fede dovuta all’ignoranza, in una forma di materialismo banale e senza sbocchi, del tipo “ateo a diciott’anni” , cioè solo quattro anni dopo la somministrazione della Cresima o Confermazione, come analizzava con acutezza e tristezza mons. Bettazzi in un suo libro degli anni ’80.                                    



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