N° 3 - Marzo 2021
Relazione di Gaetano Lettieri
di Egidio Banti

Proseguiamo la pubblicazione – per la loro importanza in linea con lo spirito del “Sentiero” – delle relazioni tenute al convegno di Sarzana a ricordo di padre Vincenzo Damarco. Quella di oggi è la relazione di Gaetano Lettieri, docente di Storia del cristianesimo all’Università di Roma – La Sapienza e componente del Pontificio Comitato di Scienze storiche. Il titolo della relazione era “La figura e il pensiero di padre Damarco quale emerge dai Commenti ai Vangeli”.

La lezione che padre Vincenzo Damarco ci offre attraverso il suo Commento ai Vangeli la riconosco nella passione e nella generosità che i suoi amici e ‘discepoli’ testimoniano continuamente. Quando Paola Gari è venuta a trovarmi alla Sapienza per parlarmene, non conoscevo padre Damarco e tanto meno sapevo delle sue opere. Ebbene, prima di entrare nel cuore del mio contributo a questo convegno, mi preme far sapere che nella mia facoltà ho assegnato già due tesi di laurea su padre Damarco e che intendo organizzare un seminario sulla sua figura e sulle sue opere che coinvolga anche la congregazione dei vincenziani. Infine non si può non accogliere con grande interesse la novità costituita dalla prossima catalogazione del fondo padre Damarco che comprenderà, oltre alla sua biblioteca, anche i testi con in quali dialogano le su opere…

Nel Commento ai Vangeli, padre Damarco si propone in primo luogo di andare il più direttamente possibile a quanto in essi considera essenziale e che emerge  per profondità, semplicità e radicalità. La prima caratteristica che si ritrova è la capacità di rimanere fedele alla tradizione e nel contempo di riuscire, per così dire, a decostruire il dogma per impedirne la sclerotizzazione come la sua riduzione a legge morta: obiettivo programmatico è la trasformazione del dettato dei Vangeli in esperienza di vita.

Un secondo elemento fondamentale, che è stato esemplarmente sottolineato da don Giovanni Cereti nella sua introduzione alla seconda edizione del Commento, è costituito dall’adozione del metodo storico critico. Attraverso quel metodo padre Damarco è in grado di scandagliare in profondità il contenuto dei testi sacri senza cedere però all’ostentazione di tecnicità interpretative o di capziosità gratuite. Proprio alla luce dell’adozione del metodo storico critico si deve leggere, per esempio, l’importanza accordata alle differenze e divergenze fra i diversi Vangeli e in particolare a quelle che oppone il blocco dei i sinottici agli scritti di Giovanni. A questo proposito si deve sottolineare come padre Damarco riesca a dare conto di quella opposizione facendo nel contempo emergere la profonda unità di ispirazione di tutti e quattroche si traduce in una sorta di potenza vivificante e unificante.

Un altro tema particolarmente importante è, se posso così definirla, la “critica alla religione”, espressione ambigua che può assumere un segno sia positivo sia negativo e che rimanda al teologo Karl Barth, in particolare al suo commento alla Lettera ai Romani, scritto a ridosso della prima guerra mondiale. In esso, come nelle pagine di padre Damarco, si può rilevare l’attenzione rivolta alla tensione insopprimibile tra religione e Vangelo con il Vangelo che permette di infrangere la cristallizzazione interpretativa della tradizione religiosa. Barth e padre Damarco, ritrovano nei Vangeli un’energia che permette di riattualizzarli continuamente ed è attingendo a quella energia, che ne costituisce l’ispirazione, che il cristiano è chiamato a farne un elemento fondativo del vivere nella società.

Cercherò di esemplificare tutto questo attraverso la lettura di alcuni passi di due omelie di padre Damarco. Comincerei con il secondo commento al Vangelo di Giovanni: capitolo 16, versetti 12-15, festa della Santissima Trinità. La nozione di Trinità è senza dubbio tra le più complesse, travagliate e discusse della tradizione cristiana. Nella Chiesa ortodossa la definizione di essa non avviene che a partire dal quarto secolo e sembrerebbe perciò rimanere molto distante, per non dire estranea, alle tematiche dei Vangeli. Ebbene, nel suo commento padre Damarco si propone di far emergere questo elemento dalla pagina di Giovanni, ottenendo una sorta di intelligenza spirituale proprio attraverso l’applicazione del metodo storico critico. Nella lettura di padre Damarco, così, il passo di Giovanni ci dice che il cuore del Vangelo è un cuore trinitario, una interrelazione tra tre distinte persone divine, ma anche che esso non ha valore, e tantomeno valore dogmatico, se non condiziona la nostra vita. Nel Vangelo di Giovanni il Padre è davvero scaturigine del cosmo e dinamismo che impedisce la “stasi cimiteriale”, inquietudine che ci fa guardare oltre la nostra morte. Il mistero trinitario sembra nascere dall’intuizione del mistero della inarrestabilità della vita e di cui ogni uomo è, ad un tempo, declinazione e testimonianza. La seconda persona, il Figlio, è allo stesso tempo ‘via’ del Padre e discriminante tra le forze di vita e quelle di morte, tra l’amore altruistico come forza creante e l’egoismo come forza annichilente. La persona del Figlio si oppone così anche alla frantumazione della norma di vita, la religione nel suo senso più utile, nei mille articoli dei codici legali: formulazione che ricorda quella di Bernard Henri Levy nel “Testamento di Dio”, della “frantumazione dell’etica nei mille codici morali”. La terza persona, infine, viene interpretata come totale immersione nel fiume della vita e indispensabile rimedio contro le forze della morte, le derive egoistiche e le pratiche meschine. Il Dio di Padre Damarco, anche attraverso la lezione di Bonhoeffer, non si riduce dunque ad un dio “tappabuchi occasionale”, come neppure la Trinità si riduce a elucubrazione mentale per chi ha tempo da perdere: insieme essi devono promuovere un investimento totale in vita vissuta. In questo senso ogni attività che impegna l’uomo nell’arricchimento dell’esistenza diventa partecipazione alla dimensione trinitaria.

Similmente, a partire da Matteo, capitolo 28, versetti 16-20, la Trinità non è interpretata come celebrazione di una realtà misteriosa esterna bensì come essenza del cristianesimo nel senso di testimonianza quotidiana di ogni cristiano all’interno del suo agire nel mondo. Il Dio trinitario è un Dio che mi interpella e nello stesso tempo mi svincola dalle categorie religiose che lo stesso cristianesimo prevede. Passerei ora dalla riflessione sulla Trinità a quella sull’Eucaristia e propongo di farlo a partire dal brano di Luca, capitolo 9, versetti 11 – 17, festa del Corpus Domini. Così come la Trinità non si riduceva a pura elucubrazione, nel commento a Luca il Corpus Domini non significa celebrazione di un rito magico ma disponibilità a uno slancio di donazione, invito fatto agli altri, ai più piccoli, a venire a mangiare un pane condiviso, a farci Eucaristia per gli altri. Per padre Damarco nella carità si riassume tutto il cristianesimo e nel Padre Nostro legge “dacci ogni giorno il pane che ci occorre”, di più “dacci ogni giorno il pane di domani”. Allo stesso modo visitazione dell’altro diventa accesso ai, e condivisione dei, doni dello spirito. Viene qui, da parte di padre Damarco, un monito fortissimo e non privo di polemica: “Dovrebbero finire quelle comunioni insensate nelle quali il fedele si ripiega in se stesso, in un mare di languorosa melassa, dimenticando che proprio quando si esce di chiesa prende senso la comunione”. Il Vangelo deve farsi testimonianza e testimonianza presso gli altri: tramite gli altri la vera Eucaristia comincia con il “missa est” e l’invio nel mondo. “Fate questo in memoria di me” diventa innanzitutto “Date loro voi stessi da mangiare”: questo è l’imperativo eucaristico. A tale proposito mi sembra utile far riferimento a un’altra omelia, quella che ha per oggetto il discorso della montagna in Matteo e che padre Damarco legge inserendolo nella dialettica tra Antico e Nuovo Testamento, per cui esso rappresenta qualcosa di assolutamente inedito nella tradizione ebraica e dunque dirompente di alcune sue sclerotizzazioni. Naturalmente padre Damarco è cosciente della totale identità ebraica di Gesù e sa che la sua provocazione ha per obiettivo l’apertura della legge all’accoglienza e al recupero del suo spirito vivificante. Riferendosi a Matteo, 5, 1-12, ed utilizzando le parole di Giovanni, padre Damarco dice che con quel discorso Gesù viene a fare “cieli nuovi e terra nuova”, ed invita perciò ognuno di noi a sbarazzarsi di tutte le vecchie categorie perché ”il mondo nuovo è quello di una solidarietà inaudita e senza confini”. E prosegue: “Queste beatitudini non sono un inno alla povertà, che è sì presente ma in un’altra pagina, esse sono piuttosto un inno alla libertà”, alla liberazione. Il filosofo Levinas, con un meraviglioso doppio ossimoro, direbbe “farsi ostaggi del disarmo altrui”.




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